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Lo scontro l’Aeronautica Militare e la Marina Militare non si arresta e il tema è sempre lo stesso: gli F-35B. La questione è tanto semplice quanto complessa. Semplice perché si basa sulla ripartizione della versione Stovl degli F-35 (decollo corto e atterraggio verticale); complessa perché si tratta di comprendere il ruolo delle rispettive Forza, il valore degli F-35 e i grandi nodi strategici che esistono dietro quella che è solo all’apparenza una semplice sfida tra Forze Armate.

Negli ultimi mesi si è aperto una sorta di vaso di Pandora su quanto sta accadendo all’interno della Difesa. Scontri che non sono solo politico o di “gelosie” interne, ma che concernono anche il ruolo che deve avere l’Italia nel mondo. Perché dotare una forza armata di un sistema d’arma significa assegnare a essa una precisa connotazione strategica come braccio operativo del Paese. E gli F-35, diventati negli ultimi anni il vero fulcro dei rapporti di forza tra Stati e pilastro dell’aviazione occidentale, non possono essere considerati dei meri aerei da guerra.

Attualmente, il programma italiano per gli F-35 prevede 90 esemplari così ripartiti: 60, nella versione A, in dotazione all’Aeronautica; 30 nella versione B che sarebbero da ripartire equamente tra Marina e Arma Azzurra. Ed è proprio su questa condivisione della versione Stovl che si è accesso un aspro dibattito che sta incendiando la Difesa italiana. Tra chi e quando deve ricevere esemplari che sono destinati a essere protagonisti dei conflitti del futuro.

Le ragioni dell’Aeronautica

Le motivazioni dell’una e l’altra forza risiedono nelle logiche operative. Secondo il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che ha difeso più volte la necessità dell’Am di possedere questi mezzi, gli F-35 versione B dovrebbero essere concessi alle unità della sua forza armata in quanto utili per i nuovi scenari di guerra in cui sarebbero coinvolte le unità italiane.

Il decollo corto e l’atterraggio verticale sarebbero pertanto fondamentali in aree con piste non particolarmente ampie, in luoghi in cui è difficile che le due suddette fasi siano realizzabili secondo le tecniche “ordinarie” e sarebbero quindi indicate, a detta di diverse fonti dell’Aeronautica, per i nuovi conflitti in cui potrebbe essere coinvolta l’Italia.

Ragioni cui vengono unite questioni di natura economica e logistica. Come spiegato dalle fonti dell’Aeronautica intervenute su Start, la scelta tra avere i primi esemplari a Grottaglie (sede degli AV-8) o ad Amendola comporta anche una volontà di ottimizzare le risorse. Secondo l’Am, infatti, la Marina dovrebbe comunque impiegare il proprio personale per gli AV-8 a Grottaglie – che hanno ancora una breve capacità operativa e non potrebbe inviare altri uomini ad Amendola – mentre la base in cui già operano i mezzi dell’Arma azzurra sarebbe predisposta per il loro impiego attraverso un’infrastruttura ormai collaudata.

A queste posizioni, si aggiunge anche un’altra annotazione da parte dell’aeronautica. E cioè che la versione degli F-35B non sarebbe in realtà nata per le portaerei, perché quella ritenuta più idonea è la C. Sempre come confermato da Start da una fonte della Difesa, “il modello da portaerei é l’F35-C (per portaerei dotate di catapulta) e se il problema fosse far decollare aerei da portaerei, il modello C sarebbe pienamente rispondente alle esigenze di US Navy e US Marines. Il pregio dell’F35-B é invece quello di poter operare da piste corte (requisito espresso proprio dai Marines, oltre che per poter usare navi minori). Moltiplicando significativamente gli aeroporti disponibili a terra e quindi la rischierabilità iniziale dell’aeroplano”.

Le ragioni della Marina

La Marina Militare pone un problema di natura strutturale: la versione Stovl degli F-35 dovrebbe esserle data in dotazione perché è una versione di mezzi nata affinché questi fossero imbarcati sulle portaerei. E quindi non avrebbe senso il loro utilizzo esclusivo da parte dell’Aeronautica.

Per capire le motivazioni tecniche dietro la richiesta della Marina, abbiamo sentito Renato Scarfi, già capitano di vascello e pilota della Marina: “La versione Stovl, che è nota come la versione navale dell’F-35, è destinata esclusivamente per l’utilizzo sulle navi. Questi mezzi non sono sono adatti a piste non preparate in ambiente ostile, ma richiedono una pista perfetta, pulita e totalmente idonea all’atterraggio e al decollo di questi mezzi, già solo la presenza di materiali (Fod) potrebbe portare a danni enormi alle turbine del mezzo. Non sono fatti per piste improvvisate”.

Una questione quindi strutturale cui si uniscono anche le stesse capacità operative. Sempre Scarfi ci ricorda che “la versione B ha un’autonomia inferiore e una potenza maggiore, proprio perché il mezzo è studiato per trovarsi su una portaerei e quindi già in teatro operativo. Anche il carico bellico è inferiore rispetto a quello della versione A proprio per questo motivo, perché ha al suo seguito la nave e può fare più viaggi”. “È chiaro – continua Scarfi – che avere una portaerei, senza che la Marina possa utilizzare gli aerei nati a questo scopo, è completamente inutile”.

L’ammiraglio Michele Consentino, sentito da InsideOver, esprime in maniera chiara l’esigenza della Marina, che è “connessa al requisito di natura strategica connaturato all’esistenza di un’Aviazione Navale. Essa rappresenta una componente organica alla Forza Armata comprendente velivoli ad ala fissa imbarcati sulle portaerei – adesso il Cavour e il Garibaldi, fra un po’ anche il Trieste -, elicotteri imbarcati sulle unità di superficie e basati a terra, mezzi aerei a controllo remoto e un complesso di infrastrutture concentrate nei tre hub aeronavali esistenti nella Penisola, vale a dire Grottaglie/Taranto/Brindisi, Catania/Augusta e Spezia/Luni”.

Un problema strategico

Da una parte la querelle tra forze, dall’altra un problema di natura strategica, perché è chiaro che assegnare questi mezzi alla Marina o all’Aeronautica assume un profilo di proiezione dell’Italia nei prossimi decenni.

Per quanto riguarda l’Aeronautica, l’idea è che (in estrema sintesi) qualsiasi mezzo aereo sia fisiologicamente incardinato nella Forza azzurra. Di conseguenza, questo varrebbe ancora di più per i caccia F-35 A e B.

Un tema che ha diverse sfaccettature e conseguenze. Innanzitutto cambia l’idea che si ha di capacità interforze, visto che secondo questo punto di vista l’Aeronautica metterebbe a disposizione gli aerei e ne avrebbe di fatto il controllo, la Marina i mezzi navali, l’Esercito i mezzi terrestri. Un’idea di jointness su cui però ha espresso pesanti critiche per primo l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, già capo di Stato Maggiore della Marina, il quale in una lettera diretta al ministro Lorenzo Guerini aveva ribadito come il concetto di jointness “significa capacità di Comando integrato, quello sì davvero ‘Joint’, capacità di far operare nel modo più efficace, coordinate e perfettamente integrate le componenti più pregiate delle diverse Forze Armate”. A prescindere quindi dall’appartenenza alla singola forza.

C’è poi un profilo legato proprio all’idea stessa di cosa debba fare una forza armata nei prossimi decenni. Secondo alcuni, le Forze Armate avrebbero compiti diversi ed estremamente chiari: mentre l’Aeronautica sarebbe una forza di presidio, cioè posta a tutela dello spazio aereo nazionale, la Marina avrebbe compiti di proiezione di forza in contesti lontani dai confini nazionali. In questo senso, allora, sarebbe utile assegnare gli F-35B alla Marina in quanto più utili ai compiti che le sono assegnati in diversi settori del mondo, a partire dal Mediterraneo fino al Corno d’Africa o allo stesso Golfo di Guinea. Proiezione che non necessita, per sua natura, di alcun tipo di placet esterno sull’uso delle basi dal momento che la Marina – come ci ricorda il comandante Scarfi – avrebbe di suo una “base”, la portaerei, e non dovrebbe chiedere il permesso di utilizzo di basi all’estero. Cosa che invece dovrebbe fare l’Aeronautica.

Di conseguenza, gli F-35B darebbero modo all’Italia di tutelare maggiormente gli interessi nazionali come già fatto, per esempio, dalla Francia, nel Mediterraneo orientale. Uno “show the flag” in formato più ampio. Lo dimostrerebbe anche il fatto che la portaerei Cavour, dopo l’upgrade, sarebbe in grado di disporre di F-35 versione B facendo sì che la Marina sarebbe l’unica insieme a Royal Navy e Us Marine Corps ad avere la capacità operativa con i caccia multiruolo in tempi brevi. Scarfi lo spiega chiaramente: “Con una portaerei efficiente, l’Italia ha un braccio operativo in aree di interesse fondamentali, che può essere utilizzata anche solo come ‘naval suasion’. Ma la politica sembra latitare e non volere intervenire”.

Un problema però che per l’Aeronautica non si porrebbe: la Marina potrebbe farlo ma con un’aviazione il cui perno sarebbe comunque fondato sull’Arma azzurra, negando quindi un punto di forza nell’aviazione imbarcata. E gli F-35B sarebbe utilizzabili meglio se legati all’Aeronautica.

Un problema di “marittimità” o di politica?

L’assenza della politica, fino a questo momento, sembra abbastanza evidente. Dalla Difesa non pare sia arrivato un ordine di far tacere le armi di questa querelle interna che ha risvolti di non poco conto anche nella gestione delle nostre forze di mare e di aria. E questo soprattutto se si pensa che l’Italia è uno dei Paesi maggiormente coinvolti nel programma F-35.

Roma non sembra però interessata a questo problema che solo superficialmente è uno scontro di gelosia. Quella in corso è anche una questione di ordine generale, perché si tratta di capire la direzione che deve prendere l’Italia nel prossimo futuro. Se concentrarsi sul mare o meno, se costruire gruppi portaerei in modo da essere ancora tra le prime due marine dell’Unione europea post-Brexit o se preferire il mantenimento di un assetto come quello di oggi.

Sotto questo profilo, l’ammiraglio Cosentino non ha dubbi: “L’Italia è una media potenza regionale con interessi economici globali, un concetto da cui dovrebbe derivare una strategia di difesa e sicurezza nazionale incardinata nella politica estera del Paese e che dovrebbe essere sviluppata a livello Presidenza del Consiglio, se non della Repubblica. Purtroppo questa strategia è rimasta ben custodita, forse con altri nomi, all’interno dei vari Libri Bianchi prodotti dal Ministero della Difesa dal 1985 fino a qualche anno fa ma mai approdati in Parlamento per la dovuta sanzione legislativa e attuativa delle iniziative discendenti”.

L’ammiraglio continua: “A parte ciò, l’evidenza lapalissiana – se posso usare questa definizione – è che l’Italia è una Nazione a vocazione prioritariamente marittima, con interessi sul mare in termini di sicurezza energetica, di import/export e di gran parte delle attività che contribuiscono al PIL nazionale, e anche in termini di prestigio internazionale. Purtroppo, la marittimità dell’Italia non viene recepita adeguatamente a livello politico, strategico e anche pedagogico, venendo a mancare nel nostro Paese quella tradizione marittima propria invece di altri stati europei ed extraeuropei dove essa è ben presente e radicata e guida le scelte politiche e strategiche nazionali”. 

Si tratta di scelte. Decisioni che però ricadono non solo nel presente ma nel prossimo futuro e che riguardano tutta l’Italia.