Il gruppo armato della Bandiera Bianca (White Flag) potrebbe diventare il successore regionale dell’Isis e trasformarsi nella terza iterazione terroristica di al Qaeda. Monitorato dalla agenzie di intelligence degli Stati Uniti, il gruppo armato (le prove fotografiche sono limitate a poche immagini diffuse sui social media) è attivo in Iraq dalla fine dello scorso anno nell’area nordoccidentale e centrale del Paese.
In base alle scarsissime informazioni disponibili, secondo gli Stati Uniti tra le fila della White Flag si troverebbero terroristi curdi ed ex combattenti dell’Isis guidati dall’ex commerciante curdo Assi Al-Qawali consacratosi alla causa jihadista.
Secondo il Pentagono, il gruppo armato avrebbe adottato l’ideologia jihadista dell’Isis sebbene non si escluda possa trattarsi di un gruppo di facciata per le fazioni irachene che si contendono il potere. Si ritiene che la White Flag non abbia (al momento) le capacità di condurre attacchi terroristici al di fuori del Paese: le stime parlano di circa mille unità in crescita. Tuttavia la vera natura della Bandiera Bianca (stendardo bianco con testa di leone nero) non è chiara: potrebbe rivelarsi un modello sperimentale per i piccoli gruppi terroristici indipendenti affiliati all’Isis. Potrebbe trattarsi di una nuova evoluzione del gruppo Ansar al Islam fondato nel 2011 da Faraj Ahmad Najm Al-Deen con le risorse di al Qaeda o una fazione curda intenta a contrastare le forze governative irachene nella parte settentrionale del paese. Un’altra teoria è che la Bandiera Bianca sia composta da ex membri del Partito Baath iracheno fedeli al defunto Saddam Hussein. Si dice che i baathisti operino nei campi di addestramento e si riorganizzino in unità armate. Potrebbe essere, infine, un sintomo della prossima frammentazione politica dell’Iraq. Il contesto è comunque florido per le nuove organizzazioni jihadiste come il gruppo estremista curdo chiamato Khubash. In ogni caso è sempre il ramo principale dell’Isis a rappresentare una potente forza di guerriglia con abbondanza di manodopera e risorse. L’organizzazione continua a stabilire punti d’appoggio nelle aree con popolazioni propense all’ideologia jihadista salafita.
L’evoluzione dell’Isis
L’Isis non si è mai posto l’obiettivo di istituire un’amministrazione duratura. Se la finalità fosse stata la cittadinanza, la strategia adottata sarebbe stata diversa. Certamente opposta alla scia di terrore che ha terrorizzato il Medio Oriente ed il Nord Africa e che ha provocato, inevitabilmente, l’intervento della comunità internazionale.
Il vero obiettivo dell’Isis era quello di testare un prototipo di guerra generazionale, un modello insurrezionale applicabile dinamico. Fin dal 2014 l’Isis ha pianificato la perdita dei suoi territori conquistati per concetti che richiamano chiaramente la tattica asimmetrica applicata ad una guerra lampo di conquista contro preponderanti forze nemiche (quindi l’incapacità di materiale di mantenere nel tempo i territori).
Per il terrorismo jihadista il territorio fisico in senso stretto è un’idea, mentre le sconfitte sono semplicemente prove per determinare la fede di un vero credente. La realizzazione delle aspirazioni ideologiche sono molto più importanti della gestione permanente di qualsiasi pezzo di terra.
Gli atti ritenuti controintutivi dall’Isis sono ingranaggi di una strategia guidata che privilegia la longevità concettuale alla presenza fisica. E’ altresì sbagliato, infine, considerare l’eliminazione fisica delle figure principali del movimento come essenziale per interrompere la profondità strategica digitale. La sfera di influenza della strategia del terrorismo è nel campo psicologico.
Da organizzazione ribelle a rete terroristica clandestina
Le organizzazioni insorgenti detengono e colpiscono un territorio, possono esercitare la sovranità su una popolazione, operano come forze armate strutturate sulla mobilitazione di massa. I terroristi non possiedono nessuna di queste caratteristiche (sebbene sia prevista l’illusione di una profondità).
La transizione da organizzazione ribelle con sede fissa a rete terroristica clandestina dispersa in tutto il globo si concluderà con la fine del corso materiale dell’organismo ciclico in Siria ed Iraq. Il risultato saranno azioni meno frequenti e più disperse. L’evoluzione della minaccia terroristica in Occidente è strettamente legata ai cambiamenti strategici dell’Isis in Medio Oriente e nel Nord Africa.
La narrativa Isis ha già ben delineato il ruolo dell’attuale generazione, destinata a non poter assistere al compimento delle profezie. L’Isis non ricostituirà le forze per riconquistare i territori perduti in Siria e Iraq (non è questo l’obiettivo di una forza irregolare), mentre assisteremo ad azioni ispirate al Dominio Rapido.
Tuttavia il vero ruolo dell’attuale generazione jihadista fedele all’Isis sarà quello di colpire sistematicamente l’Occidente con l’evoluzione dei lupi solitari in forza terroristica clandestina con un’entità meno centralizzata. La transizione ad organizzazione terroristica porterà l’Isis a concentrare le risorse sia per rafforzare le roccaforti esistenti in Libia, nella penisola del Sinai in Egitto, in Afghanistan e Yemen sia per tentare nuove ramificazioni nei territori (governati e non) propensi al Jihadismo salafita, dal Caucaso settentrionale all’Asia sudorientale.
Se l’Occidente non riesce a prendere atto della transizione da organizzazione insurrezionale a rete terroristica, non sarà in grado di elaborare una efficace ed adeguata strategia. La propaganda è essenziale per la sopravvivenza dell’Isis sia come gruppo che come idea per coltivare quella profondità strategica digitale. È un meccanismo prezioso con il quale far valere l’acquiescenza nel suo proto-Stato ed un’arma penetrante con cui affermare la propria egemonia terroristica all’estero. Negli anni a venire, servirà come bandiera attorno alla quale i veri credenti del califfato si raduneranno, una volta perduti i territori.