Nell’aria da diverso tempo, in preparazione da mesi, il nuovo attacco occidentale contro le postazioni libiche dell’ISIS non appare certo una sorpresa; dopo la costituzione del governo di unità nazionale a Tripoli o, per meglio dire, dell’esecutivo voluto dalle Nazioni Unite con alla guida il premier Al Serraj, è stato palese come da parte dei governi occidentali la nuova compagine governativa fatta insediare in Tripolitania ha assunto, alla lunga, la funzione di essere quell’unico attore sul campo legittimato a chiedere un intervento internazionale.

A sorprendere però, sono modalità e tempi con cui questo attacco di vasta scala sta avvenendo; a fine 2015, ad un certo punto è sembrato molto vicino l’attacco occidentale in Libia a guida italiana, tanto che quando Al Serraj è sbarcato nella capitale libica in molti hanno azzardato l’inizio delle operazioni già per la primavera del 2016. Poi questa prospettiva si è arenata, a vantaggio invece di operazioni singole compiute da forze speciali di diversi paesi (anche italiane); da un lato le difficoltà del governo voluto dall’ONU (che da sempre soffre di mancanza di autorevolezza tanto in Libia, quanto all’estero), dall’altro le velleità del generale Haftar, molto legato al Parlamento di Tobruk a sua volta appoggiato da Egitto e Francia, hanno rallentato e poi fatto naufragare del tutto l’ipotesi di nuovo intervento NATO a guida italiana.

Troppi interessi in ballo, troppe divergenze tra i diversi attori internazionali nel frastagliato campo di battaglia libico e così si è preferito fino ad oggi agire in sordina o comunque senza operazioni ufficiali; adesso il nuovo colpo di scena, che appare però come vero e proprio colpo di teatro: troppo vicina temporalmente la richiesta di aiuto del governo di Tripoli con l’inizio delle operazioni USA. La situazione è precipitata nel giro di poche ore; nel primo pomeriggio di lunedì la richiesta ufficiale dell’esecutivo di Al Serraj, nel tardo pomeriggio la notizia dei primi raid confermati dal Pentagono ed il plauso del governo di Roma, il primo ad esprimersi in Europa sulla vicenda. Ma sussistono almeno due elementi che pongono seri interrogativi sul motivo che ha spinto Washington ad accelerare in maniera così evidente i tempi per l’attacco all’ISIS in Libia; in primo luogo, dal mese di giugno da Sirte, città natale di Gheddafi e roccaforte terrorista nel paese, arrivano notizie positive che parlano di un’avanzata delle forze fedeli ad Al Serraj, le quali appaiono addirittura a pochi passi dal centro di questa importante località posta a metà strada tra Tripoli e Bengasi.

Come mai adesso, in modo così repentino ed improvviso, l’esecutivo ‘ufficiale’ libico ha richiesto l’interno aereo degli USA e perché dallo studio ovale della Casa Bianca è subito arrivata l’autorizzazione del presidente Obama a procedere? Le foto ed i video dell’ultimo mese, mostrano in maniera quasi inequivocabile che in effetti l’ISIS a Sirte è in estrema difficoltà ed ha ridotto di molto il territorio da esso controllato, anche perché da est è pressato anche dalle forze fedeli a Tobruk ed al generale Hafatr. Da sottolineare inoltre, che l’appoggio ufficiale al governo Al Serraj, è molto simile ad un assegno a vuoto: questo esecutivo non ha forze armate, non ha forze sufficienti sul campo per andare contro qualsiasi esercito, gli unici gruppi che in nome di questo governo agiscono da terra contro l’ISIS a Sirte sono quelli di Misurata, milizie armate ai tempi della cacciata di Gheddafi che oggi sono fedeli a Tripoli ma che domani potrebbero repentinamente cambiare bandiera. Gli USA cercano di dare una certa legittimità al loro intervento, ricalcando quanto avvenuto in Siria nello scorso mese di settembre, quando cioè il governo di Damasco ha chiesto l’aiuto di Mosca e la Russia si è mossa all’interno dei meandri del diritto internazionale; ma nel caso siriano, vi è in effetti un governo legittimamente espresso con proprie forze armate sul terreno, a Tripoli l’esecutivo non ha questa legittimità e non è riconosciuto dall’intera comunità internazionale e soprattutto, come detto, non ha proprie forze regolari in grado di avanzare contro il nemico.

Ma l’altra grande domanda da porsi, riguarda il perché gli USA hanno preso direttamente in mano la situazione; dopo il disastro combinato in Afghanistan ed Iraq, si è assistito ad un graduale disimpegno di Washington dal contesto mediorientale ed in particolar modo mediterraneo. Lo dimostra la gestione delle primavere arabe, l’amministrazione Obama ha sempre dato in mano all’Europa l’incombenza di intervenire vicino le proprie porte di casa: nel 2011, ad esempio, quella scellerata operazione della NATO che ha tolto di mezzo Gheddafi in Libia, è stata a conduzione francese e britannica; allo stesso modo, sulla scia di quanto effettuato cinque anni fa, si è pensato, come detto in precedenza, di dare all’Italia la nuova missione occidentale nel paese nordafricano, questa volta in funzione anti ISIS. Invece da qualche ora, le operazioni condotte sulla città di Sirte sono ad opera unicamente delle forze USA, la richiesta ufficiale di Tripoli è giunta direttamente a Washington e direttamente dallo studio di Obama è partito l’ordine di attacco. Cosa accadrà già dalle prossime ore a livello internazionale? La Russia nei mesi scorsi, ha espresso sempre la propria contrarietà ad ogni azione compiuta in Libia su richiesta di governi non riconosciuti da tutti; secondo Mosca, né Tobruk e né Tripoli hanno la legittimità per richiedere interventi stranieri nel territorio libico. Dunque, se dal Cremlino si conferma questa linea, i recenti bombardamenti americani sono da considerarsi illegittimi; c’è chi ipotizza come i raid USA a sostegno di Al Serraj possano essere una prova di forza proprio nei confronti della Russia, visto che a luglio il generale Haftar si è recato in visita a Mosca.

E l’Italia? Si è detto sopra che Roma è stata la prima capitale europea a reagire (positivamente) alla notizia delle operazioni americane; in una nota, la Farnesina si esprime favorevolmente all’iniziativa portata avanti da Washington su Sirte: “I raid in Libia – si legge in un comunicato del nostro Ministero degli Esteri – sono effettuati con il comune obiettivo di contribuire a ristabilire pace e sicurezza nel paese”. Proprio in questa nota, il governo si affretta a precisare che l’Italia non ha alcun ruolo operativo nella missione.

Dunque, Roma in questo momento non sta svolgendo alcuna funzione di supporto agli USA; il governo italiano, pur sostenendo apertamente Al Serraj, è comunque preoccupato di evitare di apparire troppo sbilanciato per uno dei due esecutivi che si contendono il governo in Libia: gli interessi economici del nostro paese, sono soprattutto in Tripolitania, ma anche in Cirenaica (ossia nella regione storica dove più forte è il radicamento di Haftar e del parlamento di Tobruk) ai tempi di Gheddafi il peso economico assunto da Roma è aumentato considerevolmente. Per l’Italia mantenere rapporti privilegiati con le forze libiche, sia tripoline che cirenaiche che di altre tribù e fazioni che lottano da cinque anni per il potere, è di vitale importanza: il nostro paese si è indebolito notevolmente all’interno dello scacchiere mediterraneo, specie dopo le primavere arabe, il rischio di compromettere ulteriormente il proprio prestigio in Libia è troppo alto. A rischio ci sono stabilimenti petroliferi, accordi economici, rapporti commerciali in varie zone nel paese, oltre ovviamente alla questione migratoria.

L’ondata di sbarchi incessante, aumentata specie dopo la chiusura della rotta balcanica, rende vitale per l’Italia seguire da vicino la situazione in Libia con la speranza, quanto prima possibile, di giungere ad un accordo con le forze sul campo che aiutino il nostro paese ad alleviare la pressione derivante dall’aumento, in maniera costante, delle partenze dalle spiagge libiche di viaggi della speranza verso le nostre coste.

Roma in Libia ha perso già con il semplice appoggio, nel 2011, delle operazioni NATO contro Gheddafi, il cui governo ha favorito l’implementazione degli accordi italo – libici; negli anni successivi, i vari esecutivi italiani hanno fatto ben poco per rimediare, complice anche una difficile situazione sul campo. Il raid aereo USA delle scorse ore, aggiunge un nuovo capitolo nell’intricata matassa libica; per l’Italia ed i suoi interessi nel paese nordafricano, potrebbero arrivare momenti ancora più difficili, l’impressione è che Roma alla lunga può aspirare soltanto ad un ruolo di secondo piano ed è costretta, suo malgrado, a guardare da lontano una situazione che invece le interessa da vicino, sia in senso geografico che economico e politico.





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