La prima guerra convenzionale fra Stati europei desta abbastanza preoccupazione anche negli Usa, ma non troppo. La maggioranza degli americani, soprattutto fra i repubblicani, appare più concentrata sui problemi interni, come l’inflazione, che non del conflitto nel Vecchio Continente. Il presidente Joe Biden continua a perdere consensi, con lo stesso ritmo con cui li perdeva prima della guerra. Non c’è alcun effetto “rally round the flag”, con la popolazione che si stringe attorno al leader, come di solito si osserva durante una grave crisi. Ma il punto di vista degli americani è chiaro. La Russia è il nemico, la maggioranza assoluta è d’accordo sul sostegno all’Ucraina. La politica estera statunitense è riuscita ad ottenere un successo notevole nel rendere più compatta la Nato, ma al di fuori delle democrazie occidentali e degli alleati del Pacifico, la politica delle sanzioni non fa presa.

Come detto manca l’effetto “rally round the flag”: i consensi per il presidente Joe Biden e per la sua politica continuano a calare. Secondo la media dei sondaggi di Real Clear Politics, l’attuale tasso di gradimento è fermo al 40,8% contro un tasso di disapprovazione del 53,8%. Sono dati abbastanza gravi, soprattutto se li si legge in prospettiva. Dal gennaio 2021 ad oggi, il calo è stato pressoché costante, dal tasso di approvazione del 56% iniziale al 40,8% attuale. La guerra non ha cambiato nulla: il 24 febbraio, data di inizio, il 41,5% degli americani approvava l’operato del presidente, il dato è stato quasi costante. Due i motivi principali: la guerra, appunto, non è in cima alle preoccupazioni degli americani e la maggioranza ritiene che Biden debba affrontare la questione con un piglio più aggressivo. Secondo un sondaggio Norc commissionato dalla Associated Press, lo pensa il 54% degli americani, la maggioranza assoluta, mentre appena l’8% ritiene che stia facendo già troppo per aiutare gli ucraini.

Questo perché, nell’opinione pubblica americana, la Russia è vista ormai, di nuovo, come un nemico. Non come un rivale, tantomeno come un partner, ma come un nemico, come ai tempi dell’Unione Sovietica. Si tratta di una novità: prima della guerra solo 4 americani su 10 la consideravano una nazione nemica, oggi ben 7 su 10. Sempre secondo il sondaggio per l’Associated Press, il 68% degli americani ritiene che sia giusto imporre sanzioni alla Russia di Putin, il 61% che sia giusto inviare armi agli ucraini, ma solo il 22% sarebbe favorevole ad un intervento armato statunitense a favore del Paese aggredito.

Gli americani, dunque, sono assolutamente convinti da che parte stare in questa guerra. Solo che non sono sufficientemente coinvolti per chiedere un intervento. E non apprezzano fino in fondo la gestione della crisi da parte dell’amministrazione Biden. Su quest’ultimo punto, il presidente può mettere a bilancio un ottimo successo e un grave insuccesso, ormai oggettivi. L’ottimo successo è quello dell’intelligence statunitense: gli Usa avevano correttamente individuato il rischio dell’invasione russa dell’Ucraina, prima degli altri alleati europei. Il Regno Unito concordava, ma Germania e Francia hanno sempre negato il pericolo fino all’ultimo. Oggi Biden può ben dire di avere visto giusto. Ma l’indiscutibile insuccesso è il fallimento della deterrenza. La Russia ha attaccato un Paese ai confini della Nato, nonostante il presidente americano avesse deciso di rendere pubblica l’intelligence che aveva per le mani. Forse ha influito anche la rassicurazione di non-intervento, ribadita da Biden fino all’ultimo?

Nel dare pieno appoggio alla causa ucraina, gli Usa hanno ottenuto un nuovo ricompattamento dello schieramento della Nato. Se prima della guerra appariva in ordine sparso, come sempre negli ultimi decenni, dopo il 24 febbraio l’Alleanza ha ripreso vigore e parla con una sola voce. L’idea di un ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato era solo un’ipotesi prima di febbraio. Oggi è quasi una certezza. Anche sul piano diplomatico, gli Usa hanno ottenuto due grandi successi all’Onu: la condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina è stata votata da 141 Paesi su 193, solo 5 contrari fra cui la Russia stessa. Idem per l’espulsione di Mosca dal Consiglio per i diritti umani, votata da 93 Paesi, contro 58 astenuti e 24 contrari.

Ma all’atto pratico, la politica di Biden di isolamento di Putin con le sanzioni economiche è riuscita a metà. Non è riuscito a trasformare dei voti di condanna in impegni economici concreti. La maggioranza schiacciante dei Paesi commercia ancora con Mosca, solo il 19% degli Stati nel mondo applica misure restrittive. Questi costituiscono comunque il 59% del Pil mondiale, ma vuol dire anche che c’è anche un insieme di Paesi con il 41% del Pil mondiale (e fra questi si annoverano tutti gli emergenti) che non intende isolare la Russia. Fra gli Stati che rifiutano di imporre sanzioni si trovano anche degli alleati strategici degli Stati Uniti, come Israele, che pure riceve ogni anno 3,8 miliardi di dollari in aiuti militari da Washington, più del doppio di quanto finora è stato speso per l’Ucraina. E neppure la Turchia vuole tagliare i legami economici con il vicino russo, anche se è un membro importante della Nato.

Gli Usa non sono riusciti a coinvolgere le potenze emergenti. Il Sud Africa è neutrale e il suo presidente Cyril Ramaphosa accusa la Nato di aver provocato la guerra. L’India si mantiene su una linea di rigorosa neutralità. La Cina appoggia la Russia, a qualsiasi condizione. Gli Usa di Biden hanno dimostrato efficacemente di saper proiettare la loro influenza in Occidente, ma neppure fra tutti gli alleati. Mentre nel resto del mondo la partita è apertissima.

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