Lo scorso luglio il generale Mark Milley, capo di stato maggiore della Difesa Usa, ha chiamato la Cina la “principale sfida alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti per i prossimi 50-100 anni”. Il generale non ha fatto altro che esplicitare, una volta di più, quello che è l’indirizzo di politica estera della Casa Bianca, espresso già nella National Defense Strategy del 2018. In quel documento programmatico l’esecutivo ha spostato l’attenzione del Dipartimento della Difesa principalmente verso due attori del palcoscenico globale: la Russia e la Cina.
Guardando all’orizzonte geopolitico, non c’è alcun dubbio, però, che nel lungo periodo Pechino rappresenti lo sfidante strategico principale per Washington, e lo stesso Dipartimento della Difesa è stato molto chiaro più volte in tal senso ribadendo come il teatro indo-pacifico rappresenti quello prioritario. Pertanto in quel settore si richiede la presenza di un numero maggiore di assetti militari in posizioni avanzate per fungere da deterrente in modo da scongiurare una possibile aggressione cinese e, in caso questa avvenisse, reagire prontamente.
In base a queste linee guida e sulla scorta di un programma dalle finalità simili, però destinato all’Europa che si chiama Edi, sta nascendo l’Ipdi (Indo-Pacific Deterrence Intiative).
L’Edi, acronimo di European Deterrence Intiative, è l’evoluzione del programma Eri (European Reassurance Initiative) voluto dall’amministrazione Obama quando nel 2015, a seguito della crisi ucraina dell’anno precedente, Washington ha stabilito di rafforzare la propria presenza nell’Europa Orientale per rassicurare quei Paesi che più si sono sentiti minacciati dalla condotta della Russia.
Andando a guardare più in dettaglio i principi che regolano l’Ipdi, si possono individuare due linee guida base: la “deterrenza via negazione” e la “deterrenza via ritorsione”. La prima vedrebbe gli Stati Uniti insieme ai suoi alleati concentrarsi a scongiurare una aggressione cinese rendendo oltremodo chiaro che qualsiasi azione del Pla (People’s Liberation Army) verrebbe bloccata prima del suo termine. In altre parole l’azione militare di Usa e alleati si limiterebbe a “negare” alla Cina i suoi obiettivi immediati: il transito per lo stretto di Taiwan oppure bloccare un tentativo di sbarco sulle isole Senkaku. La seconda si riferisce ad un’azione di più ampio respiro, non solo quindi di tipo militare, che minaccerebbe le linee commerciali cinesi imponendo sanzioni economiche ed altre misure coercitive similari. Sostanzialmente quindi il fine non è solo quello di sconfiggere militarmente le possibili azioni della Cina ma anche “punire” la classe politica e dirigente per tali azioni.
Con queste linee politiche in mente è stato richiesto all’Indopacom, il comando militare dell’indo-pacifico, tramite il National Defense Authorization Act, di stabilire un piano programmatico da consegnare entro marzo; piano stilato dall’ammiraglio Philip Davidson, comandante in capo dell’Indopacom, che ha preso il nome di Regain the Advantage è che è servito alla politica come canovaccio su cui presentare la prima bozza per l’Ipdi.
L’ammiraglio ha stabilito che servano circa 20 miliardi di dollari spalmati su cinque anni per “riconquistare in vantaggio” americano nel Pacifico, di cui 1,6 per l’anno 2021. Nel documento si legge che la maggior parte di questi fondi, pari all’81%, è destinata a due settori precisi: postura e architettura delle forze in campo e letalità delle stesse. Quest’ultima prevede la maggior parte degli investimenti per radar e generali sistemi di fuoco di precisione a lungo raggio, mentre la postura e l’architettura delle forze riguarda una migliore dispersione sullo scacchiere e una ricollocazione delle stesse in tutta l’area indopacifica.
In dettaglio l’ammiraglio si è soffermato sull’esigenza di dotare di nuovi radar e sistemi missilistici le Hawaii, Guam e Palau. Questi sforzi in particolare vanno però considerati nel contesto della Missile Defense Review che prevede particolare attenzione per il territorio continentale: il programma Gmd (Ground-based Midcourse Defense) per la difesa contro i missili balistici ha in essere la sostituzione dei kill vehicle che stanno diventando obsolescenti.
La politica è andata oltre le linee stabilite dal comandante dell’Indopacom, in quanto considerate troppo contingenti: la bozza dell’Ipdi è stata stilata dal deputato Mac Thornberry, capogruppo della minoranza repubblicana presso la Commissione Difesa della Camera dei rappresentanti. Thornberry ha “raccolto programmi già noti raggruppandoli sotto un’unica direzione politica” per migliorare la capacità di deterrenza verso la Cina e dimostrare agli alleati la volontà di coinvolgimento di Washington.
Il progetto, che pesca a piene mani dalla relazione Regain the Advantage, è articolato su cinque punti che richiedono ciascuno un finanziamento che per il solo anno 2021 ammonterebbe a 6,09 miliardi di dollari.
Il primo riguarda l’aumento della presenza e la letalità del dispositivo interforze che prevede uno stanziamento di un miliardo di dollari e riguarda il dispiegamento di sistemi missilistici come Tomahawk, Jassm-Er, radar, capacità di comunicazione e raccolta dati di intelligence. A titolo di esempio per l’isola di Guam ci sono 77 milioni per un sistema di difesa missilistico permanente basato a terra.
Il secondo punto riguarda la logistica e il preposizionamento delle forze a cui spetta un miliardo e mezzo per la preparazione di “kit” logistici da distribuire su base regionale così come è avvenuto in Europa proprio grazie all’Edi, il dispiegamento navale per la capacità di surge, l’immagazzinamento di munizioni, la creazione di un centro per la movimentazione che faciliti il trasporto aereo e navale.
Il terzo è rivolto al miglioramento delle infrastrutture e alla costruzione di nuove, con particolare attenzione alla dispersione in tutto il teatro che vedrà lo stanziamento di 2,1 miliardi di dollari.
Il quarto riguarda il rafforzamento dei rapporti con alleati e partner dal punto di vista del miglioramento delle capacità di intercomunicazione (data link) per un valore di 350 milioni.
Il quinto ed ultimo riguarda le esercitazioni che dovranno aumentare in frequenza e a cui è destinato 1 miliardo.
Rispetto al documento dell’ammiraglio Davidson esistono delle differenze sostanziali: ad esempio la voce esercitazioni veniva stimata abbisognare di 100 milioni di dollari per il 2021, inoltre si può notare un ridistribuzione delle risorse rispetto a quel 81% originario che sommava le voci “postura” e “letalità delle forze” che ora è circa del 61%.
L’Ipdi dovrà comunque superare gli ostacoli dell’iter congressuale e la richiesta di sei miliardi di dollari per il 2021 potrebbe naufragare davanti alle esigenze di razionalizzazione delle spese a causa della pandemia in corso, però è interessante comunque sottolineare che i 20 miliardi di spesa complessiva rappresentino l’80% di quanto gli Stati uniti hanno speso per l’Edi dal 2014 a oggi.
L’Indo-Pacific Deterrence Initiative non è l’unico strumento della Casa Bianca per “riconquistare il vantaggio” in quel settore del globo, ma fa parte di un più ampio programma di politica estera fortemente voluto da questo esecutivo, che si è deciso a mettere in pratica il pivot to Asia, ovvero lo spostamento dell’attenzione geopolitica verso il continente asiatico e quindi con il Pacifico in primo piano.
Il progetto, infatti, si affianca a un piano di più ampio respiro dell’amministrazione Usa previsto per l’area indo-pacifica che si chiama Aria (Asia Reassurance Initiative Act) che stabilisce le nuove priorità americane per quel settore.
In particolare la Casa Bianca si fa promotrice della diffusione dei principi della democrazia, della società civile, dei diritti umani, del rispetto delle leggi internazionali e si fa carico di risolvere i dossier che riguardano la Corea del Nord, l’attività terroristica nel Sudest asiatico, le questioni sulla proprietà intellettuale che riguardano la Cina ed intende rafforzare il coinvolgimento americano nell’Asean (Association of the Southeast Asia Nations). Per il raggiungimento di tali obiettivi Washington deve fare riferimento soprattutto ai suoi alleati nell’area, ovvero il Giappone e la Corea del Sud che spesso e volentieri si trovano su posizioni opposte per non dire di aperto conflitto, e che pertanto avranno necessariamente un ruolo di primo piano nell’Ipdi.