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Secondo i piani del Pentagono la Marina Militare degli Stati Uniti vedrà un aumento significativo del numero di navi che arriveranno a circa 530 unità, secondo i documenti ottenuti in esclusiva da Defense News.

Lo studio per la forza navale del futuro è stato formulato per l’ufficio del segretario alla Difesa dal Cape (Cost Assessment and Program Evaluation), l’ufficio di valutazione dei programmi e dei relativi costi del Pentagono, e dal think tank Hudson Institute. Il programma di acquisizione mostra che l’U.S. Navy si sta muovendo verso una forza più leggera con molte più navi ma meno portaerei e grandi unità di superficie; al contrario, la flotta includerà più unità minori, veicoli di superficie e subacquei senza pilota oltre a una componente di supporto logistico più ampliata.

I due enti incaricati dal segretario alla Difesa Mark Esper di progettare come dovrebbe essere la futura Marina militare Usa, suggeriscono una flotta forte di 480/534 navi, tenendo conto delle piattaforme con e senza equipaggio. Un numero che rappresenta un aumento di almeno il 35% delle rispetto all’attuale obiettivo fissato in 355 unità con equipaggio da schierare entro il 2030.

Questi studi risalgono ad aprile del 2020 e si prefiggono di raggiungere l’obiettivo entro il 2045. Sappiamo, sempre grazie a Defense News, che da allora sono stati valutati anche attraverso simulazioni di guerra, e sono stati incorporati, almeno in parte, nel Future Naval Force Study della Marina. Questo nuovo piano di riforma strutturale delle forze doveva inizialmente essere completato lo scorso anno, ma è stato ripetutamente rinviato e l’emergenza Covid19 ha contribuito a ritardarne l’assunzione. Attualmente, il progetto è di utilizzare questo studio per istruire il prossimo piano di costruzione navale, che sarà messo a bilancio per l’anno fiscale 2022 quindi reso noto nel periodo di febbraio/marzo 2021.

Un occhio di riguardo sarà dato alle portaerei. La proposta dell’Hudson Institute, infatti, include anche la costruzione quattro portaerei leggere più piccole oltre alle restanti più grandi della classe Nimitz e Ford, ma il piano, così come quello precedente che fissava in 355 le unità per la flotta, richiede una riduzione delle unità più grandi a nove unità, sebbene l’U.S. Navy abbia sempre cercato di avere 12 portaerei attive nel suo registro.

Il Cape raccomandava anche un totale di 80/90 grandi unità di superficie, una categoria che attualmente include i cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke e gli incrociatori della classe Ticonderoga, mentre l’istituto Hudson ritiene opportuno ridurre il numero di questo tipo di navi. Arleigh Burke e Ticonderoga insieme ammontano a 89 nell’attuale flotta statunitense. Si è anche pensato ad una futura grande unità di superficie, che potrebbe sostituire entrambi i tipi, ma l’U.S. Navy deve ancora formulare i requisiti di base per questa nave.

Sempre l’ufficio costi e programmi del Pentagono, prevede circa 70 unità minori di superficie, mentre il think tank propone di ridurle a sole 56. Al momento, le due classi di Littoral Combat Ships (Lcs) della Marina sono le uniche navi utilizzate in questa categoria. In ultima analisi per quanto riguarda questa tipologia di unità la Marina Usa prevede di acquistarne 38 navi tipo Freedom e Independence a fronte delle 55 originariamente previste, e alcune sono già uscite di linea.

L’U.S. Navy intende dotarsi anche di una nuova fregata, unità che manca dal servizio dal pensionamento delle Oliver Hazard Perry, col programma FFG(X) vinto da Fincantieri proprio recentemente.

Per quanto riguarda le unità subacquee, entrambi gli enti autori del rapporto concordano nella necessità di aumentarne il numero. La Marina Usa è in procinto di iniziare lo sviluppo di un nuovo sottomarino d’attacco con capacità più simili alle unità della classe Seawolf avanzata, originariamente progettate principalmente come hunter-killer, piuttosto che verso un sottomarino multiruolo come quelli della classe Virginia.

Nel documento viene richiesta la presenza in linea di un numero di navi da guerra anfibie compreso tra le 15 e le 19 unità, con il Cape che indica la necessità di 10 grandi navi d’assalto, come le classi Wasp e America. Il concetto base, infatti, è avere unità più piccole in grado di operare come una portaerei (imbarcando gli F-35B) per avere una capacità di ridondanza della proiezione del potere aereo e quindi evitare che la perdita di una superportaerei della classe Nimitz o Ford mini pesantemente le capacità della flotta. Del resto la perdita di una Wasp, o America, diventerebbe più accettabile (per costi anche umani) rispetto alla perdita di una Nimitz.

Parallelamente alle grosse unità anfibie, i piani prevedono un aumento anche del numero di quelle minori: vengono stimante tra le 20 e 26 navi leggere (Law) con la possibilità di arrivare anche a 30. Qui si nota quindi come la necessità di riforma del Corpo dei Marines, messa per iscritto dal suo comandante, sia stata recepita dall’U.S. Navy: la capacità di proiezione anfibia deve tornare a essere quella di un tempo perdendo le componenti pesanti, diventando quindi flessibile e pertanto basandosi su piccole unità o comunque su piccoli gruppi da sbarco per istituire sia nuove bolle A2/AD nel Pacifico, sia “controbolle” di contrasto a quelle cinesi.

Chiaramente anche le navi di supporto logistico e rifornitrici di squadra saranno aumentate (rispettivamente tra le 19 e le 30 e tra le 21 e 31), mentre risulta molto interessante osservare come il piano preveda una notevole quantità di naviglio sottile anche senza pilota: si prevede infatti l’acquisizione di dozzine di navi di superficie senza equipaggio (Usv) – tra cui anche “navi terminator” totalmente robotizzate – anche di grandi dimensioni (circa quelle delle corvette tradizionali) e grandi veicoli sottomarini senza pilota (Xluuv – Extra Large Unmanned Underwater Vehicle). Secondo il rapporto ci saranno tra i 65 e 87 grandi Usv e tra i 40 e 60 Xluuv.

Un piano certamente ambizioso, che è rivolto a garantirsi la superiorità marittima nei confronti della Cina entro i prossimi trent’anni. Pechino, infatti, ha intrapreso una campagna massiccia di potenziamento della sua flotta e, attualmente, è il Paese che sta sfornando più unità militari al mondo: i suoi cantieri navali hanno costruito, ad esempio, 18 unità nel 2016 e 14 l’anno successivo. Per fare un paragone negli Stati Uniti, negli stessi anni, sono state varate 5 e 8 nuove navi. Questo impressionante ritmo ha permesso alla Cina di diventare, recentemente, la nazione con la più grande Marina al mondo. Grande però, non significa potente: la Pla Navy è ancora fortemente carente nella capacità di proiezione di forza avendo solo due portaerei (una appena entrata in servizio) e ancora poche unità da assalto anfibio se paragonate a quelle in linea negli Stati Uniti.

Un piano che, però, potrebbe scontrarsi con la realtà nella sua attuazione.

Già l’obiettivo di 355 navi era considerato ambizioso. Nel 2019 il Congressional Budget Office (Cbo) aveva valutato che il piano di costruzione navale che la Marina aveva pubblicato quell’anno, che prevedeva di raggiungere le 355 unità entro il 2034, sarebbe costato circa un trilione di dollari (ovvero mille miliardi di dollari). La stessa U.S. Navy aveva inoltre riconosciuto che, dopo aver raggiunto il numero di navi desiderato, avrebbe avuto bisogno di 40 miliardi di dollari all’anno solo per il loro mantenimento e per l’impiego, cifra pari circa al 30% in più di quanto spende ogni anno in questo momento.

I bilanci per la Difesa statunitense sono in diminuzione, ed è particolarmente difficile, in generale, prevedere come potrebbe essere la capacità finanziaria in un periodo compreso da qui a 15/25 anni. Aggiungiamo che le prospettive di bilancio vengono rese ancora più incerte dalla realtà della pandemia in corso, che ha già portato a una accentuata recessione negli Stati Uniti, pertanto risulta che l’U.S. Navy ha problemi a trovare i fondi per la flotta già ora.

Secondariamente la Marina, negli ultimi anni, ha avuto difficoltà a raggiungere le aliquote di reclutamento, pertanto aumentare il numero di navi significa aumentare gli equipaggi nonostante la maggior presenza di sistemi unmanned. È stato proposto anche il progetto di ridurre la consistenza dei singoli equipaggi, ma c’è il rischio che il carico di lavoro aumenti, e pertanto possano nascere problemi di efficienza legata allo stress, o anche alla capacità addestrativa, che possono portare a incidenti in mare come quelli avvenuti recentemente che hanno coinvolto diverse unità americane.

Vengono sollevate anche problematiche legate alle capacità cantieristiche: ci si chiede infatti se le infrastrutture possano supportare non solo la costruzione di così tante unità, ma anche la loro manutenzione. A quanto sembra, infatti, cantieri navali della Marina sono in cattive condizioni: sebbene siano stati effettuati alcuni investimenti per ristrutturarli, non sono stati in grado di tenere il passo con il carico di lavoro che già hanno. Come riporta The Drive, due anni fa, il Government Accountability Office (Gao) ha valutato che l’U.S. Navy ha perso più di due decenni nella flotta dei sottomarini d’attacco a causa di ritardi nei lavori di manutenzione. Esiste anche la possibilità di un ostacolo di tipo prettamente politico, con il Congresso che potrebbe rivedere e ridimensionare i piani in itinere. Resta quindi da vedere come il piano del Cape e dell’Hudson Institute sarà messo in atto affinché la Marina statunitense possa garantirsi la supremazia globale in modo duraturo.

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