“Per funzionare devi entrare nella testa del tuo avversario e capire i suoi obiettivi”. In questo caso l’avversario è la Cina di Xi Jinping e il tentativo di carpire questi obiettivi è del comitato Usa che mira a definire come contenere la Repubblica popolare. Il 19 aprile un pugno di deputati americani ha partecipato a una simulazione, in gergo un Tabletops Exercise (TTX), per capire come affrontare l’invasione cinese di Taiwan. Questo gruppo di deputati, sia repubblicani sia democratici, fa parte del Comitato del Congresso creato per indagare sulla competizione strategica tra Stati Uniti e Cina. Sul tavolo della TTX un unico obiettivo: come combattere l’invasione cinese di Taiwan prevista per il 2027.

Il gioco di guerra anti cinese

Il gioco di guerra è stato creato e gestito dal un think tank americano, il Center for a New American Security (CNAS) dopo essere stato commissionato dai deputati del comitato. Come ha sottolineato la stampa americana, la simulazione prevedeva due ruoli ben distinti. Da un lato due esperti del CNAS nei panni della Cina, il red team; dall’altro il blue team composto dai deputati nel ruolo di consiglieri del National Security Council, un organo impegnato a fornire al presidente Usa suggerimenti in materia di sicurezza nazionale.

Il punto di partenza della simulazione, hanno detto gli operatori del CNAS a Semafor, è la decisione di Taiwan di dichiarare la propria indipendenza e la successiva risposta militare della Cina. Uno scenario apocalittico se non fosse che da anni pezzi importanti dell’amministrazione americana rilasciano profezie sull’inizio della guerra nello stretto. Ultima in ordine di tempo quella del generale Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, che prevede un colpo di mano della Repubblica popolare entro quattro anni.

Tante le opzioni sul tabletops del CNAS: azioni diplomatiche, militari, ma anche economiche. Già in passato, infatti, il think tank con sede a Washington aveva creato modelli previsionali per una possibile guerra nello stretto e soprattutto di un possibile intervento a stelle e strisce. Secondo gli analisti, Taipei e Washington sarebbero in grado di frenare le operazioni cinesi, ma sostenendo costi umani ed economici enormi. Non a caso la simulazione del 19 aprile ha incorporato valutazioni economiche di un possibile scontro tra Cina e Usa.

Il generale Mark Milley Foto: EPA/OLIVIER HOSLET

Cosa c’è dietro alla simulazione

Architetto e mente dietro questo “gioco di guerra” uno dei falchi anti cinesi più attivi a Washington, il deputato repubblicano Mike Gallagher, che presiede il comitato e che da tempo è attivo nelle operazioni di contenimento della Cina. Come scrive Politico, Gallagher è convinto che portare forme di simulazione simili tra i parlamentari sia molto utile. Il deputato, già nel marzo scorso, aveva preso parte in Florida a un altro wargame a tema Taiwan e dopo l’esperienza aveva detto di voler incrementare l’uso dei Tabletops Exercise a Washington.

“Queste esercitazioni”, ha raccontato a Politico, “sono strumenti utili sia per mostrare ai parlamentari le ricadute delle leggi che votano, sia per capire le strategie degli avversari”. Per Becca Wasser, che durante il “gioco” faceva parte del red team, si tratta di un’occasione importante “per aiutare i legislatori a capire e riflettere su scenari reali”.

Mike Gallagher in visita a Taiwan nel febbraio del 2023

L’esito della guerra simulata

Per i falchi anti cinesi in volo su Washington il “gioco” è solo un primo passo, quello che i membri del comitato definiscono una presa di coscienza. Gli esiti della simulazione non sono stari rivelati, ma qualche esponente a parlato con la stampa. Un deputato repubblicano ha spiegato che un tema centrale per gli Usa deve essere quello di fare tutto ciò che è possibile per dissuadere la Cina dall’invasione. In pratica vincere una guerra, direbbe Sun Tzu, prima ancora di combatterla.

Secondo Politico la simulazione ha messo in luce come dispiegamento di truppe americane nella regione aiuterebbe a ridurre le perdite, ma soprattutto che aumentare il piazzamento di missili a lungo raggio renderebbe la risposta americana più efficace in caso di una guerra. Da questo, a cascata, ne deriverebbe un aumento significativo della produzione di armi. Non solo. Sarebbe anche emersa a gran voce la necessità di implementare gli aiuti militari a Taiwan. I 400 missili anti nave Harpoon acquistati da Taipei sarebbero solo un segmento di un piano più ampio. Sul piatto pende un pacchetto da 19 miliardi rallentato dagli ultimi mesi a causa delle forniture che gli Usa destinano all’Ucraina. Ritardo che ha creato non pochi mugugni tra i corridoi di Washington. “È chiaro”, ha detto Gallagher al termine dei lavori, “che bisogna agire per scoraggiare l’azione del Partito comunista cinese e per questo Taiwan va armata fino ai denti prima che la situazione precipiti”.

Il “gioco” ha messo anche in guardia sul rischio di collasso dell’economia globale durante la guerra. Nella simulazione, ad esempio, la Cina è stata tagliata fuori dal circuito SWIFT (quello che gestisce i pagamenti da banche diverse), e si è previsto uno sfilacciamento delle catene del valore mondiali con conseguente tonfo dei mercati mondiali.

cina taiwan mappa
Mappa di Alberto Bellotto

Il messaggio politico a Biden e Xi

Fonti del comitato hanno fatto filtrare che le tempistiche non sono casuali. Si sta per aprire la stagione del National Defense Authorization Act, il documento cardine sull’indirizzo di spesa per il Pentagono. L’obiettivo dei legislatori è quello incidere sulle priorità di sicurezza nazionale incluse del documento e di fatto indirizzare le richieste del dipartimento della Difesa.

Gli ultimi mesi sono stati segnati da continue schermaglie lungo l’asse Washington Pechino. A novembre il faccia a faccia tra Xi Jinping e Joe Biden al G20 di Bali in Indonesia sembrava aver rasserenato gli animi. Ma qualche mese dopo due episodi hanno fatto aumentare di nuovo le tensioni. Il primo tra gennaio e febbraio con la scoperta d’un presunto pallone spia cinese sui cieli statunitensi che ha fatto saltare la visita del segretario di Stato Antony Blinken a Pechino.

Il secondo è arrivato qualche mese dopo, con la riapertura del dossier Taiwan a causa della contestata visita della presidente dell’isola Tsai Ing-wen proprio negli Stati Uniti dove ha incontrato, in California, il nuovo speaker della Camera dei deputati Kevin McCarthy. Una missione che ha comportato la risposta muscolare di Pechino con un nuovo giro di esercitazioni torno a Taiwan.

Nel frattempo i viaggi diplomatici dei funzionari americani a Taipei non sono mai finiti. Lo stesso falco Gallagher è volato sull’isola tra il 17 e 20 febbraio mentre all’inizio di aprile una delegazione bipartisan è atterrata nella provincia ribelle, come la definisce Pechino, per una nuovo ciclo di incontri, condita anche con una serie di polemiche per le parole del deputato texano Michael McCaul (capo del comitato affari esteri della Camera) che ha letteralmente paragonato Xi Jinping ad Adolf Hitler. Segnali, strette di mano e parole che rendono sempre più complesso ridurre la pressione in quella fetta di Asia.

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