Il Generale Allen è stato Vice Comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti, prima di servire come comandante dell’International Security Assistance Force e Stati Uniti in forze in Afghanistan. Il 13 settembre 2014, il presidente Barack Obama ha nominato il generale Allen come inviato speciale del Presidente della Repubblica per la Coalizione globale contro l’ISIS. Intervistato dal think thank “Il Nodo di Gordio” ha risposto a domande su argomenti che lo hanno visto coinvolto in prima persona. La guerra contro l’IS in Iraq e Siria: le forze della coalizione stanno davvero avendo ragione della minaccia jihadista? E quale è stato l’apporto dell’intervento russo? Determinante, come sostengono alcuni, oppure mirato esclusivamente a rafforzare il potere di Assad, garantendosi le basi di Tartus e Latakia?L’intervento era orientato a stabilizzare il regime di Assad, che è l’unico alleato dei russi nel Mediterraneo, le relazioni Russia-Siria infatti hanno grandi precedenti. Abbiamo sperato che l’intervento russo fosse orientato nell’assisterci a combattere il Daesh, effettivamente la collaborazione vi è stata ma solamente per alcuni attacchi nelle regioni interne senza nessun coordinamento reale su larga scala. Solo il 50% dei bombardamenti aerei è stato su obiettivi Daesh. Ciò che i russi hanno fatto in Siria è stato dimostrare al mondo la loro capacità di dispiegamento di forze: lanciare missili Cruise dal Mar Caspio, utilizzare i bombardieri Blackjack, ne sono degli esempi. Tutto ciò è molto di più rispetto allo sforzo che sarebbe necessario per stabilizzare il regime di Assad. Queste azioni hanno complicato la situazione, invece di creare un ambiente adatto alla transizione democratica, ne hanno creato uno per la stabilizzazione di Assad, un governo a cui dettare le condizioni nel processo di pace a Ginevra. Anche se sembra in difficoltà nell’area siro-irakena, l’IS mostra la capacità di diffondersi come una vera e propria Hydra in altre regioni del mondo islamico, dalla Libia all’Afghanistan, dall’Asia Centrale all’Africa sub-sahariana. Come è possibile arginare questa metastasi? E la risposta può essere solo militare?No, uno dei fondamenti dottrinali dello Stato Islamico è che si è auto-definito e facendo questo, il Daesh ha incorporato altre organizzazioni come Ansar Al-Sharia in Libia, Boko Haram in Nigeria. Molte di queste organizzazioni già esistevano e non sono cresciute grazie al Daesh; cerchiamo di contenere il Daesh in Iraq e Siria e lavoriamo con partner regionali per contenere altre minacce come Boko Haram o Khorasan in Afghanistan. Nelle periferie ci coordiniamo con altre forze per affrontare i satelliti, collaboriamo per migliorare le capacità militari ma anche aiutare questi Stati ad avere una migliore resilienza politica creando opportunità di crescita economica. Il Daesh ha tre componenti: il cuore che è in Iraq e Siria, i satelliti anche abbastanza lontani dal centro, fino anche nel sud-est asiatico, e il network che connette le prime due. La struttura non è attaccabile militarmente, ma con il coordinamento dei servizi di intelligence dei vari partner globali. Se distruggiamo il network, le province rimangono isolate ed è più facile per i nostri partner annientarle. Obama ha dovuto rinunciare al completo ritiro dall’Afghanistan. Quali prospettive vi sono in tale scenario di una soluzione del conflitto civile che travaglia il paese?I Talebani rifiutano un processo di pace e gli Stati Uniti devono rispondere ad una importante domanda: fermare il processo di ritiro delle forze. Bisogna infatti considerarne gli effetti. Dare la capacità di governare a Ashraf Ghani con il capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah. L’Afghanistan non è un paese pacificato: c’è sempre stato un solo leader a decidere tutta la politica del Paese, Karzai. e la sua leadership era in un periodo di guerra. Il secondo punto è che in questo momento non sappiamo dove va l’economia dell’Afghanistan: il Paese è molto ricco, poggia su mille miliardi di dollari di risorse naturali. Ciò che dobbiamo fare, per migliorare le condizioni di sicurezza è stabilizzare la governance del Paese. Con l’arrivo del Daesh in Afghanistan e Pakistan, con la riemersione dei Talebani, non è il momento di ritirare le truppe. La NATO deve essere preparata a collaborare con il nuovo Presidente per fare una approfondita analisi dell’ambiente strategico con cui si ha a che fare. Molti analisti parlano della necessità di riformare e rinnovare le Forze Armate Statunitensi, per renderle atte ad affrontare i nuovi tipi di minaccia. Cosa ne pensa?Dobbiamo fare tesoro delle esperienze di 14 anni di guerra al terrorismo a bassa intensità. L’altra cosa è la minaccia russa sul fianco storico della NATO e lo sviluppo di altre potenziali controparti; dobbiamo recuperare la capacità della NATO di combattere una guerra ad alta intensità, una battaglia di strategia, di potenza di fuoco che non abbiamo combattuto finora come NATO; la guerra in Afghanistan era una guerra della NATO ma non ad alta intensità. Dobbiamo fare le due cose insieme: la Nato deve essere abituata ad una guerra ad alta intensità, futuro certo dei prossimi conflitti. Antonciro Cozzi Associate Analyst del think tank “Il Nodo di Gordio”
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