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L’invio di una portaerei è sempre un segnale. E la decisione del governo francese di inviare la Charles de Gaulle nel Mediterraneo orientale per “sostenere” le operazioni contro lo Stato islamico non fa eccezione. La Francia non perde di vista un’area fondamentale dal punto di vista strategico, diplomatico, e di sicurezza come quella del Medio Oriente. E il rafforzamento della presenza militare di Parigi nello scacchiere del Levante rende ancora più chiara la netta volontà da parte di Emmanuel Macron di non essere messo da parte nella regione.

La Francia non può fare a meno né del Medio Oriente né del Mediterraneo orientale. Sono troppi gli interessi che fanno sì che le autorità francesi non abbandonino quell’area del mondo: a cominciare sicuramente dalla lotta al terrorismo. L’operazione Chammal, versione francese di Inherent Resolve, prosegue ininterrottamente. E non a caso il ministro della Difesa Florence Parly ha espressamente indicato l’invio della portaerei Charles de Gaulle come di un messaggio rivolto a tutte le forze alleate e avversarie dell’impegno da parte del suo Paese nella guerra a Daesh. Soprattutto in un momento in cui la regione si infiamma e le maggiori reti terroriste possono tornare ad avere il sopravvento sui fragilissimi governi locali.

Ma dietro lo scopo, evidente, di rinforzare l’apparato militare dispiegato dalla Francia per Chammal, ci sono sicuramente altri scopi, meno manifesti, ma altrettanto importanti per Parigi. La portaerei francese rimarrà nell’area tra il bacino del Levante e il Medio Oriente almeno fino ad aprile 2020. E le dinamiche che infiammano la regione diventano ogni giorno pi pericolose e a rischio escalation.

La Francia ha da temo confermato che da quella regione non vuole andarsene. Emmanuel Macron ha fatto intendere da subito a tutti i suoi alleati e rivali di essere l’unico leader europeo (e dell’Unione europea) in gradi di dispiegare uomini, navi e mezzi aerei per far fronte alle varie crisi belliche aperte in Medio Oriente. È stata la Francia a bombardare Damasco insieme a Stati Uniti e Regno Unito dopo le accuse su un presunto uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano. Ed è la Francia che continua a colpire le postazioni di Isis in Siria (nonché le sue vecchia basi ormai abbandonate dopo il ritiro delle forze speciali). Ma è anche la stessa Francia ad aver assunto la guida (di fatto) delle operazioni delle flotte europee per unirsi all’Operazione Sentinella degli Stati Uniti a Hormuz, fornendo anche la base navale negli Emirati Arabi Uniti come hub di controllo delle manovre. E sempre la Francia, in quell’area di mondo, ha concluso da pochi mesi un accordo con Cipro per una base navale nell’isola e continua ad avere Egitto e Emirati quali i maggiori partner dell’industria della Difesa francese.

Se a questi motivi si aggiunge l’interesse di Total di evitare che Recep Tayyip Erdogan si frapponga fra l’azienda francese e il gas del Levante, va da sé che Parigi non possa affatto dirsi tranquilla sul fronte del Mediterraneo orientale. Ed è anche per questo che l’invio della portaerei Charles de Gaulle ha il significato di un avvertimento generale a chiunque creda di poter fare a meno di trattare con la Francia.

Ciò che sta avvenendo in queste settimane in tutto l’arco del Mediterraneo orientale(e in generale cdi quello allargato) non va letto a compartimenti stagni: ma è tutto un gioco di incastri e di concatenazioni di cause ed effetti. La Francia ha i suoi militarci che occupano tutta la cintura del Sahel proprio sotto le maggiori aree di crisi dell’Africa settentrionale, ha ottimi rapporti con i Paesi del Medio Oriente e da tempo è coinvolta nelle operazioni in Siria e Iraq: proprio lì dove l’uccisione di Qasem Soleimani ha fatto temere l’inizio di una nuova escalation generalizzata nella regione. La portaerei è un avvertimento, ma anche uno strumento per proiettare la propria forza in tutta l’area: la Francia è già l’, pronta ad assumere una nuova posizione di vantaggio. Ed è un segnale di particolare importanza per i nemici ma anche per gli alleati (o presunti tali). L’Italia in primis, che nelle acque cipriote non ha solo Eni, ma anche fondamentali interessi di tipo strategico.