Mi trovo nella LNR, la cosiddetta Repubblica Popolare di Lugansk. La situazione appare calma, sembra calma. Ma è una calma “strana”, cupa, carica di tristezza, soprattutto carica di presentimenti. Non la calma dei parchi in fiore ma quella dei villaggi dove regnano l’abbandono e la rovina.In effetti, molti dei centri abitati in prossimità del fronte appaiono ora come delle città fantasma. È rimasto in piedi ben poco, tutto è stato distrutto. Tra le rovine i calcinacci e i crateri delle bombe, crescono ora le erbacce.Sono stato a Sokol’niki, un sobborgo a circa 100 km da Lugansk in direzione nord-occidentale. L’estate dell’anno scorso è stato teatro di cruenti combattimenti. È situato in prossimità della linea del fronte, linea che coincide col confine. Un confine che separa: da una parte i territori sotto il potere di Kiev e dall’altra i territori “secessionisti”, che “di fatto” sono ormai autonomi e indipendenti da Kiev.La frontiera qui scorre lungo il corso del fiume Severskij Donetsk. La nostra riva, è difesa da un’unità dei cosacchi del Don. Sull’altra sponda davanti a noi, a nord, a poco più di un centinaio di metri di distanza, occultate nella boscaglia, ci sono già le postazioni dell’esercito ucraino.Da mesi su questo quadrante del fronte c’è una guerra di logoramento a bassa intensità. Gli sniper da entrambi le parti sono sempre in agguato sui loro fucili di precisione. Anche se spesso si tratta solo di tiri isolati, questi colpi servono comunque a mantenere sotto pressione le rispettive postazioni.Il 2 maggio, sul lato della Repubblica Popolare di Lugansk, è stato colpito un militare cosacco Andrej Blizhnivkov di 35 anni. Lascia una moglie e due figli piccoli. Ho visto le poche cose che portava con se: un pugnale, qualche tessera e una bandiera, quella dei cosacchi del Don, ora verranno consegnate a sua moglie.Nonostante il dolore per la sua scomparsa i suoi compagni lo ricordano con onore e stima, un vero eroe, mi dicono, che ha difeso la sua terra e che ha fatto il suo dovere. La sua foto, ultima di una lunga serie, è già stata posta sulla parete, all’interno del loro quartier generale, dove vengono ricordati tutti i loro caduti. Le foto sono attorniate dal “nastrino di San Giorno” dagli inconfondibili colori arancione e nero, ormai diventato un simbolo, rappresenta la vittoria sul nazi-fascismo.Sulle posizioni al fronte la vita è molto dura, manca tutta, si vive nel fango nella sporcizia.. Alla mia domanda: com’è la situazione? C’è la tregua? I cosacchi mi rispondono: “Tranquilla! ma… Non ci sono combattimenti attivi, ma quattro giorni, fa c’è stato un morto”. È pericoloso! Non si sa da dove arrivano i colpi”. Alla mia domanda: quanto sono distanti le linee ucraine? Rispondono: “vicino, al di là del fiume, sentiamo i loro cani abbaiare”.Sono stato a Djakovo, un villaggio non distante dalla città di Antrazit, per la cerimonia d’inaugurazione di un monumento dedicato ai caduti dell’Armata rossa che durante la “Grande guerra patriottica” liberarono questi territori dai tedeschi. Una cerimonia molto toccante, alla quale hanno preso parte non solo i militari ma anche tante donne, bambini..In prossimità del 9 maggio, data in cui in tutta la Russia come anche nel Donbass si festeggia il “Den Pobedy” (Il giorno della Vittoria), queste manifestazioni sono frequenti. Qui nel Lugansk, mi dicono: “Ricordiamo i nostri eroi del passato e del presente, quelli che, ieri come oggi, lottarono lottano e muoiono per la libertà della nostra terra”.Sostieni il reportage nel Donbass
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