Le portaerei sono ancora un’arma capace di fare la differenza nella guerra contemporanea oppure si avviano verso la strada del tramonto, quali enormi e costosissimi vettori divenuti facili bersagli per i nuovi sistemi missilistici e i sottomarini killer?

A cento anni dalla nascita dei primi vettori aeronavali, la portaerei britanniche classe Glorius convertite su scafi mercantili e dotate di un ponte per il lancio e il recupero di velivoli navalizzati come i biplani da caccia Sopwith Pup e Camel 2F.1, e dal loro primo impiego operativo, il raid lanciato sulla base di dirigibili zeppelin di Tondern nel luglio del 1918; ci si interroga sulla loro obsolescenza. Proprio adesso che tutte le maggiori potenze mondiali stanno impegnando ulteriori enormi sforzi e investimenti per dotarsi di vettori all’avanguardia come le nuove portaerei inglesi classe Queen Elizabeth, le superportaerei americane classe Gerald R. Ford, e le portaerei di nuova generazione in via di progettazione da Francia, Russia , Cina.

L’esordio delle portaerei

Inizialmente le unità di marina che imbarcavano aerei – idrovolanti lanciati da catapulte – concepivano la capacità di un aereo nel bel mezzo del mare non come vettore offensivo, ma come risorsa prettamente ricognitiva, che poteva localizzare la posizione delle le navi nemiche per portarsi sulla loro rotta e dare luogo a una battaglia misurata dai cannoni di corazzate e incrociatori pesanti. Solo in seguito, con il sorgere della nuova minaccia del bombardamento, si pensò che navi in grado lanciare degli aerei armati da posizione avanzata potevano fornire un vantaggio tattico. Le prime unità impiegate per ottenere questo vantaggio furono delle piccole piattaforme trainate, chiamate “Flying Boat“, precorritrici delle prime portaerei britanniche varate tra il 1917 e il 1918.

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Divenute operative al termine del primo conflitto mondiale – tanto da non poter far la differenza – le portaerei si guadagneranno la fama di arma strategica durante la seconda guerra mondiale; permettendo alle marine belligeranti che le possedevano di compiere missioni decisive che cambieranno le sorti del conflitto e della storia: si pensi all’Operazione Z, l’attacco giapponese lanciato contro Pearl Harbour; all’Operazione Pedestal, rifornimento di aerei nell’avamposto strategico di Malta che rimase per questo in mano alleata; o il semplice lancio di un aereosilurante Sworfish decollato per dare la caccia alla corazzata Bismarck, che con siluro ben piazzato al timone privò la marina nazista della sua ammiraglia.

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Trascorso un secolo, dopo che centinaia di portaerei hanno incrociato negli oceani lanciando raid in decine di conflitti in tutto il globo, dalla crisi di Suez, alle Falkland, fino alle recenti missioni nel Siraq, ci si interroga se queste dispendiosa unità navali, che hanno raggiunto misure di oltre 300 metri di lunghezza e 100mila tonnellate di dislocamento, siano ancora da considerarsi l’apice della potenza marittima di uno Stato e dalla proiezione della sua potenza nel mondo, o solo dei giganteschi, costosi, sofisticati ma obsoleti “bersagli galleggianti”; che potrebbero divenire facili prede dei nuovi missili anti-nave supersonici , magari sganciati da un singolo caccia stealth capace di spedirle in fondo all’Oceano come valse per la corazzata Bismarck.

Un’epoca giunta al termine, o pronta per un nuovo inizio?

Recentemente, ad una provocazione ricevuta dalla Difesa britannica che dipinse come un “ferro vecchio” la portaerei russa Admiral Kuznetstov(oggi in cantiere per essere revisionata),  Mosca rispose che la nuova avanguardistica portaerei varata dalla Royal Navy non era altro che un “ampio e conveniente obiettivo per i missili antinave“. Questo aprì una serie di riflessione sull’argomento e sulla reali capacità di questo tipo di unità nella guerra moderna oltre alle minacce che potevano incombere su di esse. Tra queste le principali sono i missili antinave sempre più letali, e i sottomarini “hunter killer” invisibili, che con una salva di siluri messa a segno potrebbero affondare in un colpo solo una nave da guerra da 13 miliardi di dollari, che imbarca un gruppo aereo di 70 velivoli, e con oltre 5mila uomini tra marinai, piloti e marines a bordo (esempio tarato sulla Uss Gerald G. Ford).

Tuttavia, a margine delle riflessioni ad ampio spettro, gli analisti alle dipendenze delle maggiori potenze – Russia compresa – non hanno reputato sufficiente questo campanello d’allarme, non reputando affatto terminata l’epoca delle portaerei. Questo tipo di tecnologia infatti, che oggi può lanciare e recuperare una vasta di gamma di aeromobili ad ala fissa e rotante: caccia multiruolo, elicotteri anti-sommergibile, velivoli per la guerra elettronica e per l’acquisizione di dati – tutti rifornibili in volo e capaci di raggiungere ogni angolo del globo – è tuttora nella liste delle precedenze di tutte le potenze internazionali. Gli Stati Uniti in primis che possiedono oltre 12 di questi vettori, considerandoli ancora un’arma strategica. Fondamentale come proiezione di potenza.

Quale futuro per le portaerei?

L’epoca delle portaerei non sembra giunta al termine dunque. La priorità piuttosto che abbandonare questa tipologia di nave da guerra che appare ancora indispensabile nei conflitti moderni, è quella di rendere i vettori aeronavali meno vulnerabili a queste nuove minacce. Rendendo la griglia di difesa garantita dai sistemi d’arma per la soppressione delle minacce a corto/medio/lungo raggio sempre più efficace. O pensare alla progettazione e allo sviluppo di unità di stazza inferiore alle portaerei odierne, dotante di velivoli armati senza equipaggio che minimizzino la presenza umana a bordo e le eventuali perdite: aprendo un nuovo capitolo nella storia delle portaerei e mantenendo intatta la loro supremazia. Se le marine militari del futuro riusciranno a ovviare a queste nuove necessità, sviluppando nuove tecnologie per contrastare e rispondere a queste minacce incombenti, le portaerei potranno solcare i mari con la loro incontrastata potenza per un altro secolo.