Cina e Stati Uniti per il momento si limitano a combattere a distanza. Le due potenze da mesi si stanno fronteggiando con esercitazioni incrociate nelle acque più calde del globo, quelle de Mar cinese meridionale. L’ennesimo atto di questa danza pericolosa è iniziato intorno al 22 agosto. La marina cinese ha dato il via a ben cinque esercitazioni in quattro distinti quadranti che vanno dal Golfo di Bohai fino al Mar cinese meridionale.
Quattro fronti per un’esercitazione insolita
Nei giorni scorsi, ha scritto Associated Press, l’autorità cinese per la sicurezza in mare ha confermato che dal 24 agosto al 30 settembre vaste pozioni di mare saranno off limits, in particolare tutte le navi non autorizzate dovranno dirigersi a cinque miglia nautiche, circa 9,26 chilometri, rispetto alle aree interessate, un messaggio perentorio che però non ha fornito altri dettagli.
L’idea della marina dell’Esercito Popolare di Liberazione è quella di muoversi in quattro regioni con almeno cinque dispositivi. La prima serie di esercitazioni dovrebbe tendersi nel lembo di mare a Est dell’isola di Hainan – che ospita anche uno dei porti che fungono da appoggio alle portaerei cinesi – nei pressi alle isole Paracelso. Negli stessi giorni, leggermente più a Nord, ma sempre nel Mar Cinese Meridionale, è stata isolata l’area a largo della provincia del Guangdong per altre operazioni che dovrebbero concludersi il 29 agosto.
Woody Island all’interno dell’arcipelago delle isole Paracelso
Un terzo dispositivo è stato invece attivato nel Mar Cinese Orientale, dove domenica 23 agosto forze navali e aeree hanno condotto esercitazioni pratiche in varie condizioni atmosferiche. come confermato dallo stesso Eastern Theatre Command. Altra area delimitata è stata quella del Mar Giallo, a est del porto di Lianyungang, che sarà teatro di test balistici fino a fine mese. Ultimo punto caldo sarà invece quello del Golfo di Bohai, non lontano dalla città-prefettura di Tangshan, dove verranno effettuati altri test missilistici.
Il 25 agosto nel pieno svolgimento delle esercitazioni le forze cinesi hanno accusato gli Stati Uniti di azioni di disturbo. In particolare con l’ingresso nella no-fly zone di due aerei spia, un U-2 e un RC-135S. Il primo sarebbe partito da una base americana in Corea del Sud e avrebbe sorvolato il Golfo di Bohai, mentre il secondo, ha scritto il thinl tank cinese South China Sea Probing Initiative, sarebbe transitato sul Mar Cinese Meridionale.
USAF RC-135S #62-4128 is flying across the #SouthChinaSea, which appears to be a transfer rather than reconnaissance mission, Aug 26. pic.twitter.com/lubKZQRIk2
— SCS Probing Initiative (@SCS_PI) August 26, 2020
Il giorno dopo nell’ambito delle esercitazioni le forze cinesi hanno effettuato una serie di test missilistici con dei vettori di medio raggio. Secondo New York Times e South China Morning Post il lancio avrebbe coinvolto dei vettori della famiglia Dongfeng, con ogni probabilità il DF-26B e DF-21D, ribattezzati anche come “missile killer delle portaerei“. Il primo sarebbe stato lanciato dalla provincia settentrionale del Qinghai mentre il secondo da quella dello Zhejiang e entrambi si sarebbero inabissati tra l’isola di Hainan e le Paracelso.
Il passaggio aereo americano e i test missilistici confermano la posizione di diversi analisti che hanno visto il dispiegamento di fine agosto come un’occasione per lanciare diversi messaggi, soprattutto a Washington. Il primo, il più importante sia sul fronte interno che quello esterno, indica la volontà di mostrarsi capaci a mobilitare le proprie forze in più settori. Collin Koh, analista del S. Rajaratnam School of International Studies di Singapore, ha spiegato al South China Morning Post che con l’azione della marina in più aree Pechino vuole anche sottolineare che le sue forze armate non sono state in alcun modo influenzate dalla pandemia da coronavirus.
Per l’analista cinese Song Zhongping tutto e da ricondurre agli scenari di guerra per il prossimo futuro. Per Zhongping qualsiasi conflitto che potrà scoppiare nei prossimi anni avverrà in più location, per questo Pechino vuole lavorare molto sulla possibilità di sostenere più fronti di attacco. Non solo. Le operazioni nella baia di Bohai dimostrerebbero che l’esercito si sta impegnando sui meccanismi difensivi dato che il golfo è la porta diretta per Pechino.
La guerra delle esercitazioni nel Mar Cinese Meridionale
La multi esercitazione cinese si avvia a chiudere una caldissima estate nei mari asiatici. Da luglio in poi Washington e Pechino si sono fronteggiate con una serie di prove muscolari che potrebbero continuare nel prossimo futuro. Esercitazioni e contro esercitazioni che hanno nel Mar Cinese Meridionale il fulcro di tutto.
A inizio luglio unità della marina cinese hanno tenuto delle esercitazioni nel cuore delle acque contestate delle isole Paracelso. Nei giorni antecedenti ai “war games” diversi media avevano pubblicato le immagini satellitari che immortalavano una nave d’assalto anfibia nei pressi di Woody Island. Quelle esercitazioni, stando a informazioni del portale The Diplomat, avevano coinvolto anche la guardia costiera cinese.
Qualche giorno dopo è stato il turno degli americani che intorno al 6 luglio hanno portato nell’area ben due portaerei, la Uss Nimitz e la USS Ronald Reagan, coi rispettivi gruppi di attacco. Un dispiegamento di forze visto solo altre due volte negli ultimi 20 anni, il primo nel 2001 e il secondo nel 2014. Stando ai documenti ufficiali l’esercitazione prevedeva di lavorare sulle capacità di difesa aerea e di ampliamento degli attacchi marini da parte di velivoli partiti dalle portaerei. Non solo. Ai lavori si è unito anche un bombardiere B-52 partito direttamente dalla base di Barksdale, in Louisiana.
L’altro segnale che Washington ha voluto mandare riguarda la difesa della sua teoria dell’Indo-Pacifico libero e aperto. Negli stessi giorni il segretario di Stato Mike Pompeo ha attaccato frontalmente la Cina proprio sulle acque contese del Mar Cinese Meridionale evidenziando come le richieste di Pechino siano completamente illegali, respingendo quindi ogni tipo rivendicazione.
In tutta risposta Pechino qualche settimana dopo ha rimobilitato le proprie forze per una nuova serie di esercitazioni iniziata intorno al 25 luglio e terminata all’inizio di agosto. Un po’ come per gli americani anche in questo caso alla marina cinese si sono affiancati i voli di alcuni bombardieri, in particolare gli H-6G e gli H-6J, che hanno simulato decolli notturni, incursioni a lungo raggio e attacchi a obiettivi navali.
Un altro quadrante molto caldo è quello che ruota intorno a Taiwan. Tra il 9 e 11 agosto il segretario alla Salute Usa Alex Azar si è recato in visita diplomatica a Taipei facendo andare su tutte le furie il governo di Pechino. La mattina del 10 luglio aerei dell’aviazione cinese hanno attraversato la linea mediana nello stretto di Taiwan avvicinandosi a Formosa. Normalmente la linea viene rispettata sia da Pechino che da Taipei, ma ultimamente la Repubblica popolare si è fatta più aggressiva. Secondo rapporti del governo taiwanese negli ultimi anni Pechino l’ha varcata solo in tre occasioni, una nel 1999, una nel 2019 e una nel marzo di quest’anno.
Secondo il Global Times, quotidiano cinese in lingua inglese vicino alle posizioni del governo, la breve esercitazione cinese è stata la risposta alla mossa americana che ha incrinato la pace diplomatica tra Pachino e Washington. Il giornale però è andato oltre paventando nuove e più provocatorie esercitazioni, in particolare test missilistici a Est di Taiwan vicini a Guam. Qualche giorno dopo la marina cinese ha svolto un’altra esercitazione balistica più a Nord vicino all’isola di Zhoushan, vicino a Shanghai.
Quasi in contemporanea più a Sud a circa 1.500 chilometri di distanza gli Usa rispondevano con un’altra esercitazione. Stando a un comunicato della marina americana la Uss Ronald Reagan ha condotto una serie di operazioni di volo e esercitazioni per la stabilità marittima.
Il ritorno americano nell’area
Questa “battaglia” si tiene in un momento molto delicato per gli Stati Uniti. Non solo per le complicazioni legate al Covid-19, ma soprattutto per quanto riguarda le elezioni presidenziali del 3 novembre prossimo. In politica estera l’incertezza del voto pesa soprattutto sulla policy asiatica che verrà con ogni probabilità riscritta nel 2021. Nonostante questo la presidenza di Donald Trump si è contraddistinta soprattutto per il contenimento della Cina. Contenimento che passa anche dal Mar Cinese Meridionale.
Negli ultimi anni il numero di operazioni americane nella zona è notevolmente aumentato, come nel caso dei Freedom of Navigation Operations, atti di navigazione nelle aree contese. Secondo i dati della flotta americana nel pacifico il numero di queste operazioni è notevolmente aumentato negli ultimi anni. Se nel 2014 il conto era inchiodato a 0, nel 2019 le operazioni registrate sono state nove. Quest’anno, nonostante l’epidemia, il conteggio è già salito a sette con addirittura due passaggi ravvicinati il 28 e 29 aprile. Un’attività che si accompagna a quella dei sorvoli, come quello dei bombardieri B-1B Lancers a maggio e luglio. Operazioni che ovviamente hanno scatenato le ire cinesi. Secondo un ufficiale del Pentagono sentito da Fox News tra marzo e maggio caccia cinesi hanno intercettato e sfidato aerei da ricognizione Usa almeno nove volte.
Le mosse diplomatiche che svelano i limiti cinesi
L’ultimo gruppo di esercitazioni messe in campo da Pechino è particolarmente significativo se incrociato con le attività americane perché mostra chiaramente un’ipotetica linea del fronte in caso di conflitto, una linea che va dal Golfo di Bohai fino al cuore del Mar Cinese Meridionale. Pechino ha voluto dimostrare di essere in grado di sostenere un fonte così ampio, ma ci sono almeno due aspetti che la tradiscono. Una marina ancora lontana da quella americana e soprattutto l’attività diplomatica.
A luglio la Cina ha riunito i diplomatici dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico chiedendo esplicitamente di non dare seguito alle richieste americane nell’Area. Secondo quando scrive il South China Morning Post non è chiaro se l’esito dell’incontro ha avuto risultati reali, ma il timing è indicativo: tre settimane dopo la dura presa di posizione americana di Mike Pompeo. Rigettando le pretese cinesi Washington spera di unificare un fronte anti-cinese, in particolare Filippine, Vietnam, Malesia, Indonesia e Brunei, tutti Paesi che hanno feroci dispute territoriali con la Repubblica popolare. Una battaglia di alleanze che potrebbe decidere presto le sorti dell’intera regione.