L’invasione russa dell’Ucraina cominciata nella notte del 24 febbraio 2022, avrebbe dovuto portare, secondo i piani del Cremlino, alla rapida caduta di Zelensky, alla demilitarizzazione del Paese e all’allontanamento di Kiev dall’orbita occidentale, determinando una sorta di neutralità forzata dal sapore di un controllo da parte di Mosca.
La “operazione militare speciale”, così è stato chiamato il conflitto dalla propaganda governativa russa, ha dimostrato diverse lacune strutturali nelle forze armate russe, e palesato alcuni grossolani errori tattici che hanno contribuito a determinare il fallimento del raggiungimento degli obiettivi originariamente prefissati dallo Stato maggiore russo.
Gli errori di valutazione
Mosca ha sottovalutato la capacità di reazione e resistenza dell’esercito ucraino perché la sua intelligence è stata scarsamente efficace nel valutare sia il potenziale bellico di Kiev, sia la volontà di combattere e di opporsi all’invasione del popolo e delle forze armate ucraine. Testimonianze di fonte russa giunteci nel corso della guerra dimostrano che i comandi russi si aspettavano di trovarsi davanti a una popolazione amichevole e che l’esercito ucraino si sfaldasse sin dalla prime fasi delle operazioni, in quanto si riteneva, erroneamente, che il governo Zelensky fosse inviso alla maggior parte del popolo ucraino. Avrebbe quindi dovuto essere una guerra di liberazione, secondo Mosca, ma come abbiamo visto così non è stato se non per alcune regioni del Donbass, più per motivazioni determinate da un conflitto che perdura dal 2014 che per reale parteggiamento per la causa russa. Da notare, a tal proposito, che anche le popolazioni russofone degli oblast’ occupati durante l’invasione dello scorso febbraio, si sono dimostrate ostili alle forze di Mosca una volta finite sotto il fuoco russo.
Un altro errore di valutazione commesso da Mosca è stato l’aver sottovalutato l’aiuto occidentale, che si è palesato non solo attraverso l’invio di armamenti, munizioni e aiuti economici, ma anche con la condivisione di preziosi dati di intelligence raccolti principalmente da Stati Uniti, Regno Unito e alcuni altri Paesi dell’Alleanza Atlantica. Difatti è stato possibile neutralizzare il tentato blitz russo sull’aeroporto di Hostomel, situato a circa 30 chilometri a nord-ovest della capitale ucraina, effettuato nelle prime ore del conflitto, grazie alle informazioni raccolte e condivise in tempo reale dall’intelligence statunitense e britannica.
Cattiva intelligence, per i russi, ha significato anche non poter eliminare completamente la minaccia della difesa aerea ucraina: l’attività di soppressione/distruzione delle difese aeree (Sead/Dead) effettuata nei primi giorni della campagna, sebbene abbia portato all’eliminazione di un centinaio di sistemi avversari, non ha completamente disarticolato l’architettura difensiva ucraina, che in buona parte era stata decentrata nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti l’inizio del conflitto. Questo fattore, insieme alla stessa dottrina russa di impiego dello strumento aereo, ha comportato l’impossibilità per le forze aerospaziali russe (le Vks – Vozdushno-Kosmicheskie Sily) di ottenere la superiorità aerea se non localmente e per un limitato arco temporale. La Russia, difatti, non postula il dominio dei cieli come lo intendiamo in Occidente, ma si limita a usare lo strumento aereo in funzione delle operazioni terrestri, quindi a supporto delle direttrici di avanzata delle forze meccanizzate/corazzate. Da notare che anche l’attività di interdizione deputata ai missili (siano essi da crociera o balistici) non ha colpito pesantemente le infrastrutture strategiche ucraine (porti, aeroporti, snodi ferroviari, reti elettriche e di comunicazione), forse perché Mosca era convinta di poter conquistare rapidamente il Paese con un regime change, quindi senza spargere troppa distruzione.



Le scelte sbagliate sul campo
Passando alle operazioni terrestri, un grossolano errore, ma ancora una volta ascrivibile all’erronea valutazione sulla rapida caduta del governo di Kiev, è stato quello di invadere l’Ucraina da troppe direttrici con un numero di uomini e mezzi non sufficiente: si contavano infatti sei linee di avanzata principali (cinque se consideriamo doppia quella sulla capitale) molto distanti tra di loro e utilizzanti circa tra i 140 e i 200mila uomini (di cui buona parte tenuta a guardia dei confini). Questa tattica ha avuto il risultato di disperdere le esigue forze su un territorio molto vasto, lasciando “le punte di lancia” russe in balia di loro stesse, non avendo forze di copertura ai fianchi.
Un altro errore fatale, anch’esso dovuto alla scarsità di personale impiegato, è stato quello di far avanzare le colonne corazzate e meccanizzate senza un adeguato numero di fanteria di supporto. In questo modo i fondamentali Mbt (Main Battle Tank) sono stati facile preda delle truppe ucraine organizzate in piccoli gruppi di fuoco (dell’ordine di grandezza plotone o compagnia) utilizzanti tattiche di guerriglia e impieganti i micidiali Atgm (Anti Tank Guided Weapon) forniti in buona parte dagli alleati occidentali (Javelin, Nlaw e altri).
A tal proposito, alle unità russe, organizzate in Btg (Batallion Tactical Group), nei primi mesi del conflitto è mancata una capacità di Counter-Uas (Unmanned Air System) leggera che potesse essere efficace contro i piccoli droni di derivazione commerciale utilizzati dagli ucraini per attività di ricognizione, controllo di fuoco d’artiglieria e come loitering munitions improvvisate.
Se questi sono stati i principali errori tattici commessi dai russi, come detto esistono anche carenze strutturali nell’esercito di Mosca che hanno avuto un pesante effetto sulle operazioni belliche.
Il punto debole di Mosca: la logistica
Innanzitutto la capacità logistica russa ha dimostrato tutta la sua macchinosità e inefficienza: il sistema di approvvigionamento russo si base su grossi centri di smistamento collegati alla rete ferroviaria da cui partono camion pesanti che devono per forza utilizzare una rete stradale efficiente. L’Ucraina, in vasti settori del fronte, non ha né una rete ferroviaria adatta, né una stradale diffusa, pertanto i camion si sono a volte trovati in pericolosi “ingorghi” e anche impossibilitati a raggiungere i centri logistici più avanzati, in quanto lontani da strade percorribili.
Non va nemmeno dimenticato che la capacità logistica russa è fortemente menomata dalla corruzione, che nel Paese è endemica e diffusa a tutti i livelli delle forze armate: pertanto abbiamo assistito a mezzi che restavano senza benzina, con le ruote sgonfie, oppure molto più semplicemente fermi per problemi meccanici.
Lo stesso organigramma dell’esercito ha influito sull’esito dei combattimenti: sebbene la Russia, nel 2008, abbia lanciato una riforma delle forze armate (voluta da Anatoly Serdyukov), essa è rimasta incompiuta e ora l’esercito russo si trova composto da unità livello battaglione insieme a quelle di livello divisione, mancando, in numerosi casi, di unità intermedie (le brigate), che sono fondamentali per il coordinamento sul campo di battaglia. Inoltre, è rimasto l’impianto gerarchico di stile sovietico, che lascia poco spazio di manovra ai comandanti sul campo, per cui ogni variazione sui piani di battaglia originari in base alle nuove informazioni raccolte durante le operazioni viene attuata con molte ore di ritardo (in alcuni casi sino a 24) per seguire la scala gerarchica.

Il personale e l’equipaggiamento
Un altro fattore limitante e derivante sempre dalla mancata riforma delle forze armate, è la presenza di una buona fetta di personale di leva nelle unità combattenti (circa il 30% degli effettivi). Si tratta di soldati ufficialmente non impiegabili in guerre all’estero secondo la legislazione vigente in Russia, e soprattutto molto meno addestrati e motivati rispetto ai professionisti.
Sempre dal punto di vista strutturale, ma determinato da cause contingenti, tra i problemi delle forze armate russe troviamo la carenza di equipaggiamento da alta tecnologia. L’embargo a cui è sottoposta la Russia sin dal 2014 ha bloccato la possibilità di accedere liberamente ai microchip di fabbricazione occidentale che andavano a equipaggiare i sistemi di navigazione (e altri) dei velivoli o dei missili da crociera e balistici russi. La produzione locale, come abbiamo visto, non è ancora in grado di poter rimpiazzare i chip costruiti in Occidente (sia per mancanza di adeguati finanziamenti, sia per gap tecnologico) e pertanto Mosca ha dovuto usare con parsimonia il proprio munizionamento di precisione affidandosi per lo più a quello non guidato a caduta libera. Dal punto di vista missilistico, proprio per evitare di consumare le scorte di vettori ad alta precisione e quindi non intaccare la capacità di deterrenza missilistica nei confronti dell’Alleanza Atlantica, Mosca ha dovuto ricorrere ai sistemi obsoleti (come il Kh-22 o AS-4 “Kitchen” in codice Nato) oppure non nati per l’attacco al suolo (i missili del sistema di difesa aerea S-300).
Da ultimo, passando al settore navale il conflitto ha evidenziato come alcune unità della Flotta russa (anche non obsolete) siano di fatto inadatte ad ambienti contestati (nemmeno altamente) come la piccola “bolla” A2/Ad stabilita dagli ucraini nell’area di Odessa utilizzando sistemi missilistici (Neptun ma più probabilmente gli Harpoon), Ucav (Unmanned Combat Air Vehicle) come i Bayraktar TB2 e unità sottili veloci. L’affondamento dell’incrociatore Moskva, la fine di ogni tentativo di rioccupare l’isola dei Serpenti ma soprattutto lo spostamento delle operazioni navali più a est col trasferimento degli assetti più preziosi (i sottomarini classe Kilo) da Sebastopoli a Novorossiysk è lì a dimostrarlo.