Le operazioni della Turchia nel nord della Siria hanno avuto un effetto: trasformare le regioni occupate in protettorati turchi. Dopo l’intervento delle forze armate di Ankara e delle milizie ad essa collegate, le province di Afrin, Jarabulus e, per certi versi, Idlib, sono diventate qualcosa di più di territori sotto la “protezione” dell’esercito turco. Attraverso Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’Ulivo – le due campagne di Ankara in Siria – Recep Tayyip Erdogan ha preso il pieno controllo di queste regioni, rendendole di fatto completamente dipendenti dalla Turchia.
Creare un protettorato turco sul modello di Cipro Nord
Il piano di Erdogan è stato da sempre questo. Una volta capito che Bashar al Assad non sarebbe stato rovesciato dalle forze ribelli, il presidente turco ha pensato che l’unico obiettivo raggiungibile sarebbe stato quello di espandere la sua influenza. E l’ha fatto, nel nord della Siria, sfruttando i legami con le forze jihadiste ma anche il nemico curdo.
Con l’obiettivo di sconfiggere le forze curde per evitare che essere creassero una sorta di muro avversario al di sotto della Turchia, Erdogan ha fatto avanzare le truppe occupando i territori ritenuti strategicamente fondamentali. Ma questa avanzata si è trasformata non solo in una campagna militare contro i curdi, ma in una vera e propria presa di possesso di quei territori, oggi molto più legati ad Ankara che a Damasco.
Come è stato notato dal Jerusalem Institute for Strategic Studies, il piano del Sultano non sembra essere molto diverso da quanto realizzato dai turchi nel 1974 con l’invasione di Cipro Nord. Anche in quel caso, l’intervento militare, almeno da parte turca, fu definito come una sorta di operazione di pace.
L’invasione di Cipro veniva definita dai turchi come “Operazione di pace a Cipro”, così come oggi l’invasione del nord della Siria è chiamata con il nome (tragicamente ironico) di “Ramoscello d’ulivo”. Due operazioni ammantate di pacifismo che hanno in realtà avuto o sperando di avere uno scopo ben più concreto: l’annessione di un nuovo territorio.
E che Jarabulus e Afrin possano lentamente trasformarsi in due nuove Cipro Nord della Siria non è un’eventualità così remota. Il coinvolgimento militare turco ha aumentato la dipendenza economica, politica e militare di queste regioni con il Paese del Sultano. Tra pulizie etniche nei confronti dei curdi, ricollocamenti della popolazione filo-turca in quelle aree e pieno controllo della sicurezza e delle infrastrutture provinciali, le due province sono state completamente riorganizzate sulla Turchia per renderle di fatto inscindibili dai destini di Ankara. E non a caso sono state designate come aree dove far tornare parte dei rifugiati siriani scappati in Turchia all’inizio della guerra.
I turchi si sentono legittimati a conquistare Afrin
L’opinione pubblica turca, in particolare l’elettorato di Erdogan, non si è mai sentito un estraneo in Siria. Una parte della stampa turca ha anche cercato di legittimare l’intervento militare ad Afrin andando a riprendere il mito secondo cui la città sarebbe stata fondata da un ufficiale ottomano di nome Mustafa Namık. Del resto Erdogan ha da sempre il sogno di ripristinare l’area d’influenza dell’antico impero ottomano.
Sempre per continuare nel solco della legittimazione storica, l’agenzia di stampa turca Anadolu, a luglio di quest’anno, ha addirittura annunciato che i funzionari locali avevano trovato nell’area Afrin il quartier generale del padre fondatore della Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, quando era intento a combattere la Gran Bretagna nella Prima Guerra Mondiale. Agenzia di stampa che poi ricordava come l’Esercito siriano libero (la costola siriana della Turchia) avesse “liberato Afrin dai terroristi”.
Oltre alla legittimazione storica, c’è poi quella etnica. Come già scritto su questa testata, Erdogan ha avviato una campagna di sostituzione etnica della provincia espellendo i curdi e sostituendoli con le popolazioni affini al governo. Non solo sono stati trasferiti i ribelli e i terroristi che non si sono arresi all’esercito siriano, ma è stato anche facilitato il ritorno dei profughi siriani e il rafforzamento della popolazione turcomanna, che rappresenta l’8% della popolazione. Proprio per sostenere questa etnica, il governo turco reso possibile il dispiegamento nell’area delle brigate turkmene Muntasır Billah.
Gli investimenti turchi nel nord della Siria
Oltre alla legittimazione politica, la Turchia ha iniziato da tempo a investire nella Siria settentrionale per renderla legata indissolubilmente all’economia e alla politica di Ankara. Per prima cosa, l’esercito ha ricostruito tutta la rete viaria che collega queste regioni alla Turchia. In questo modo, il commercio si sviluppa verso il territorio turco e, allo stesso tempo, sarà più facile per gli investitori turchi accedere alle aree sotto il controllo delle forze di Ankara.
L’influenza turca nell’economia dei due cantoni si riflette anche nell’uso della moneta. Poiché il commercio è incentrato sull’importazione di beni dalla Turchia e su alcune prima esportazioni verso il territorio turco, la popolazione trova ormai più facile utilizzare la lira turca per gli acquisti dei beni invece che usare la lira siriana, che la guerra ha reso molto più rara.
Penetrazione culturale
Ma anche sotto il profilo culturale e sociale la situazione non è affatto migliore per la Siria. E non è un caso se, da alcuni anni, soprattutto dopo l’operazione Scudo dell’Eufrate del 2016, i nazionalisti parlano del nord della Siria come dell’82esima provincia turca.
La lingua turca comincia ad essere di uso comune e utilizzata nei cartelloni stradali, mentre on va dimenticato che, come scritto su Occhi della Guerra,”la scuola viene rifornita di professori turchi dal provveditorato di Gaziantep, la polizia viene addestrata da soldati dell’esercito di Ankara”, mentre le strade pullulano di bandiere turche. Ma anche le poste e le banche sono quasi completamente turche o legate al sistema turco.
È la Turchia che fornisce assistenza medica a Jarabulus. L’ospedale da campo costruito dal governo turco è efficientissimo, i medici sono pagati dalle autorità turche e l’elettricità è fornita al cantone direttamente da Ankara con cavi che collegano la regione direttamente alle centrali anatoliche. Mentre ad Afrin è la Turchia ad aver ricostruito le scuole e aver messo solo l’arabo eliminando definitivamente la lingua curda. Il protettorato è sempre più una realtà.