Quello delle “zone di sicurezza” in Siria è un progetto che il presidente turco Erdogan ha in mente da tempo. Già nel 2014 da Ankara si parlava di un’area “cuscinetto” tra Turchia e Siria, un gergo non così lontano da quello espresso nel Donbass a proposito di Russia e Ucraina. Si può dire che per Erdogan la situazione non è così dissimile: al “sultano” serve spazio sia per isolare i curdi del Pkk da quelli siriani e sia per creare una zona dove poter riportare buona parte dei profughi siriani giunti nella penisola anatolica negli ultimi dieci anni. Adesso sembra che il progetto stia andando in porto. Così come sottolineato da Domenico Quirico su La Stampa, lo stesso Erdogan ha presentato in un videomessaggio un progetto volto a creare alloggi per centomila famiglie nelle regioni siriane in mano alle milizie da lui finanziate. Un’annessione de facto di un territorio siriano, elemento che potrebbe scatenare perplessità da parte del presidente siriano Bashar Al Assad e delle Russia, prima alleata di Damasco.

Il progetto di Erdogan

Ankara dal 2011 ha costantemente provato ad approfittare del caos siriano per abbattere il governo di Assad, considerato vicino all’Iran per via della sua appartenenza alla fede alauita-sciita, e installare un regime sunnita o comunque più vicino agli interessi turchi. Per farlo Erdogan ha aperto la cosiddetta “autostrada del jihad“. Ha cioè dato la possibilità a migliaia di foreign fighters fedeli all’islam radicale di entrare in Anatolia e raggiungere la Siria. In questo modo decine di gruppi jihadisti hanno potuto prendere gradualmente il controllo soprattutto delle regioni settentrionali del territorio siriano. Ma con uno Stato in via di disfacimento, ben presto Erdogan ha dovuto fare i conti con un primo effetto boomerang della sua politica: l’arrivo cioè di milioni di profughi. Oggi la Turchia ne ospita 3.5 milioni, un esodo raramente visto nella storia recente. Ankara li sta ospitando anche grazie ai circa tre miliardi di Euro all’anno che riceve dall’Unione Europea, erogati dal 2016 con un accordo in cui Bruxelles ha accettato di sganciare gli assegni in cambio della promessa turca (non sempre mantenuta a dir la verità) di blindare le frontiere con il Vecchio Continente.

C’è stato poi un altro effetto boomerang per Erdogan. Nel nord della Siria, anche dopo l’inizio delle operazioni russe che hanno permesso ad Assad di recuperare gran parte del territorio che aveva perso, ad avanzare contro i gruppi jihadisti sono stati principalmente i curdi. E così la Turchia si è ritrovata a condividere chilometri di confine con gruppi filocurdi, alleati del Pkk. Lo spauracchio della creazione di una vasta entità autonoma curda a sud delle sue frontiere, ha dato l’input principale a Erdogan per i progetti sulle “zone di sicurezza”. Tra il 2016 e il 2019 la Turchia per tre volte, con il tacito assenso russo, è entrata in territorio siriano per occupare alcune regioni e far indietreggiare i curdi. Non lo ha fatto direttamente per la verità, bensì usando una variegata moltitudine di sigle sunnite siriane “riciclate” dalla prima fase della guerra civile a cui ha offerto supporto aereo. I cantoni di Afrin, così come alcuni tra quelli compresi all’interno della provincia di Al Hasakah, sono attualmente controllati dalle milizie filoturche.

Qui Erdogan vuole installare vere e proprie nuove città in cui far tornare i profughi siriani attualmente ospitati nel suo territorio. Nel videomessaggio trasmesso nei giorni scorsi, si è rivolto “fratelli e alle sorelle siriani che abbiamo accolto”, promettendo loro che il rientro in patria non sarà traumatico. Avranno a disposizione alloggi monofamiliari, con annessi tutti i servizi: scuole, ospedali, uffici, mezzi di trasporto. Il ministro dell’Interno turco Soylu Suleyman, visitando uno dei campi profughi nei giorni scorsi ha parlato di centomila alloggi già pronti entro l’anno. Una corsa contro il tempo. Perché per Erdogan la creazione delle “colonie” nel nord della Turchia avrebbe molteplici vantaggi. Permetterebbe in primis di consolidare le fasce di sicurezza anti curde. Ma soprattutto allevierebbe la pressione interna derivante dalla questione dei profughi. Una questione anche politica: il prossimo anno si vota e l’opposizione potrebbe cavalcare il malcontento di parte della popolazione per i tanti soldi stanziati a favore dei siriani, in una fase di grande affanno per l’economia turca.

Le possibili perplessità di Putin

Se per Erdogan il ritorno in Siria dei rifugiati sarebbe un affare, per Assad e per Putin la situazione sarebbe un po’ diversa. Ankara chiamerebbe queste zone come fasce di sicurezza, Damasco e Mosca le vedrebbero invece come vere colonie filoturche in territorio siriano. Il rischio per il governo di Assad sarebbe proprio quello di perdere per sempre molte aree settentrionali, i cui abitanti siriani guarderebbero più ad Ankara che a Damasco. Un’annessione in piena regola, non gradita a Mosca. Il Cremlino ha sempre fatto dell’integrità territoriale siriana la propria bandiera nell’aiutare il presidente Assad a combattere contro i miliziani islamisti.

Il progetto di Erdogan potrebbe quindi accendere scintille tra Turchia e Russia in Siria. Con riflessi ovviamente anche sull’Ucraina, dove Ankara è impegnata ad attestarsi come principale forza mediatrice tra Mosca e Kiev. Il presidente turco forse ha capito che è questo il momento di agire: la Russia potrebbe dover scendere a patti per evitare lo spettro di vedere acque agitate nel contesto siriano. Patti che implicherebbero almeno un parziale via libera alle zone cuscinetto.





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