Senza più cibo e con pochissime risorse rimaste a disposizione. E il pericolo, ormai imminente, di una “carestia diffusa”. Perché oggi, la situazione nello Yemen, è molto più grave di quando le Nazioni Unite avevano avvertito di un rischio di povertà all’inizio del 2017 e, di nuovo, lo scorso novembre. A riferirlo, martedì, al Consiglio di sicurezza, Mark Lowcock, il sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari. 

Secondo quanto riportato da Al Jazeera, per il funzionario, la stima del mese scorso, secondo cui 11 milioni di persone potrebbero affrontare presto le “condizioni pre-carestia”, in realtà, si avvicinerebbe ai 14 milioni. Circa la metà della popolazione yemenita. Che, tra l’altro, si affiderebbe quasi completamente agli aiuti umanitari per la sopravvivenza. 

Secondo le Nazioni Unite, le condizioni necessarie per dichiarare condizioni di carestia in un Paese sono diverse. La prima: una famiglia su cinque deve affrontare un’estrema mancanza di cibo. E poi quando più del 30% dei bambini di età inferiore ai cinque anni soffre di malnutrizione acuta. Al Palazzo di Vetro sono in corso le valutazioni per misurare il tasso di rischio nel Paese e i risultati, almeno iniziali, sono previsti per metà novembre. 

“Lo Yemen è quasi interamente dipendente dalle importazioni di cibo, carburante e medicinali. E gli scambi valutari disponibili sono stati semplicemente inadeguati a finanziare livelli di importazioni per sostenere la popolazione”, ha specificato Lowcock. All’inizio del 2017, le Nazioni Unite e i suoi partner erano stati in grado di fornire aiuto ad almeno tre milioni di yemeniti affamati. Ma l’assistenza era aumentata, grazie ai finanziamenti inviati da alcuni donatori, aveva raggiunto otto milioni di persone. Molto al di sotto, però, dei 14 milioni di abitanti del paese arabo più povero. 

Una crisi alimentare che, quindi, non si è mai arrestata dall’inizio del conflitto, nel 2014. E che sarebbe, in gran parte, il risultato di un’intensificazione dei combattimenti attorno alla città portuale di Hodeidah. Dove non si fermano né i bombardamenti né gli attacchi aerei. Che si sarebbero invece inaspriti dal 13 giugno, dopo che l’alleanza Emirati Arabi Uniti ha lanciato un’operazione per riconquistare il porto. Considerato, da tutti, strategico.

La città è, da quattro anni, sotto il controllo dei ribelli Houthi, insieme ad altre aree costiere e gran parte dello Yemen settentrionale. Il porto di Hodeidah è sempre stato responsabile della consegna del 70% delle importazioni del Paese, in particolare cibo, carburante e assistenza umanitaria. I sauditi, negli anni di conflitto, hanno accusato i ribelli Houthi di utilizzare il porto per contrabbandare armi dall’Iran. 

Ma, in generale, il conflitto nel Paese è iniziato con l’acquisizione della capitale, Sana’a, da parte dei ribelli Houthi, che hanno rovesciato il governo del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi, riconosciuto a livello internazionale. La guerra, finora, ha ucciso oltre 10mila persone e provocato la peggior crisi umanitaria al mondo. Oltre a un’epidemia di colera.

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