Giovedì 16 dicembre 2021. Forse ai più questa data non dirà assolutamente nulla. I media, quel giorno, parlano della quarta ondata del Covid-19, di un nuovo record dei contagi e del preoccupante aumento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Ma mentre Omicron imperversa su tutti i giornali, a livello internazionale succede qualcosa che getterà le basi dell’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio scorso, prendendo di sprovvista un po’ tutte le cancelliere occidentali, nonostante gli avvertimenti dell’intelligence statunitense circa un imminente attacco delle truppe russe. Che cosa succede, dunque, quel fatidico giovedì? L’Occidente respinge in toto le richieste di Mosca, che chiedeva da tempo di mettere a freno le ambizioni di Kiev di entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica, esortando altresì la Federazione Russa a interrompere il dispiegamento di truppe militari lungo il confine con l’Ucraina.

Così l’Occidente ha respinto le richieste di Mosca

Quel giorno, i leader dell’Unione Europea, riuniti a Bruxelles, come riportato da France24, insistono sulla “necessità urgente per la Russia di allentare le tensioni causate dal rafforzamento militare lungo il confine con l’Ucraina e dalla retorica aggressiva”, sottolineando la minaccia di imporre “conseguenze enormi e costi elevati” a Mosca attraverso sanzioni, coordinate con i partner dell’Ue a Londra e Washington. Stessa posizione di Washington, che rimarca l’intenzione di mettere in atto una rappresaglia “massiccia” in caso di invasione russa dell’Ucraina. Infine, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg bolla la Russia come “aggressore”. Eppure il tempo della diplomazia non è ancora terminato, ci sono ancora dei timidi spiragli per un accordo o, quantomeno, un compresso che forse può momentaneamente raffreddare gli animi.


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Emergono tuttavia delle incomprensioni dettate – anche – da due diverse visioni delle relazioni internazionali. Il presidente russo Vladimir Putin pretende un dialogo diretto con la controparte statunitense Joe Biden per risolvere la situazione di stallo, ma i leader europei nel loro vertice spingono per un ritorno al “formato Normandia”, ossia un dialogo a quattro tra Parigi, Berlino, Kiev e Mosca. Questo, tuttavia, alla Russia non interessa: vuole dialogare con la superpotenza americana e stringere un accordo direttamente con Washington. Il giorno prima, mercoledì 15 dicembre 2021, la Russia consegna un elenco di richieste di sicurezza all’Assistente Segretario di Stato americano Karen Donfried, che poi vola al quartier generale della Nato a Bruxelles per discuterne con Stoltenberg.

Il mancato compresso che ha portato alla guerra

I vertici dell’Alleanza Atlantica sanno quale sia la posizione di Mosca, nota da tempo: no all’ingresso di Kiev nella Nato. Una questione strategica fondamentale su cui il Cremlino – già fortemente preoccupato e infastidito dai miliardi di dollari in armi donati all’esercito ucraino dalla Nato e dagli Usa all’esercito ucraino – non transige. Tuttavia, con buona pace di ogni possibile compromesso, in quel fatidico giovedì 16 dicembre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg spiana la strada all’entrata delll’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, tenendo una conferenza stampa congiunta con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per insistere sul fatto che qualsiasi decisione sull’adesione spetta a Kiev e ai 30 Stati membri dell’alleanza. Non a Putin e alla Russia. “Non scenderemo a compromessi sul diritto dell’Ucraina di scegliere la propria strada. Non scenderemo a compromessi sul diritto della Nato di proteggere e difendere tutti gli alleati della Nato”, spiega Stoltenberg. Il Segretario generale dell’Alleanza va oltre, sottolineando che non sono possibili compromessi con Mosca sulla “partnership della Nato con l’Ucraina”, descrivendola come “importante per entrambe le parti” e “non una minaccia per la Russia”.

Nel vertice del giorno precedente, Zelensky incontrava i leader dell’Ue, dicendosi “frustrato” del fatto che le potenze europee, in particolare, si rifiutassero di intraprendere un’azione preventiva contro la Russia, preferendo minacciare una risposta in caso di azione russa. “Dal 2014, dall’inizio della guerra, credo che sostanzialmente la Russia abbia spinto l’Ucraina nella Nato”, spiegava Zelenesky. “Fondamentalmente credo che oggi la stessa Russia stia aprendo il difficile percorso dell’Ucraina verso la Nato”. Parole che allarmano subito Mosca. Il vice ministro degli esteri russo Sergei Ryabkov fa sapere a Karen Donfried che l’Alleanza Atlantica deve “fermare la sua espansione verso est” e “ritirare la promessa che l’Ucraina potrebbe diventare un candidato per l’adesione” all’Alleanza Atlantica. È una sorta di ultimatum, anche se le potenze occidentali non sembrano prenderlo troppo sul serio. “Mosca non vuole tornare al formato Normandia e vuole negoziare con gli Stati Uniti”, spiega all’Afp un alto diplomatico europeo. Risultato: nessun compresso né uno straccio di accordo, ognuno rimane ancorato sulla propria posizione, convinto delle sue ragioni. Da lì in poi la situazione precipita e i contatti si raffreddano ulteriormente. Posizioni inconciliabili e contatti irrecuperabili. Fino al 24 febbraio scorso, il giorno in cui la guerra è tornata in Europa.

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