I colloqui bilaterali tra Mosca e Kiev di ieri a Istanbul sembrano il vero primo passo verso il raggiungimento di un cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina. Il viceministro della Difesa della Russia ha promesso di “ridurre drasticamente l’attività militare” nelle direzioni di Kiev e Chernihiv per “aumentare la fiducia reciproca e arrivare a nuovi negoziati per firmare un accordo di pace”.
Mosca ha poi segnalato che questo non implica un cessate il fuoco, e che per arrivare a un trattato di pace a condizioni reciprocamente accettabili “c’è ancora molta strada da fare”. Questa mattina, infatti, i bombardamenti nella zona nordovest della capitale sono proseguiti, permettendo a Kiev di affermare che quella russa è stata una dichiarazione “ingannevole” volta a effettuare una “rotazione delle singole unità” con l’intento di “fuorviare la leadership militare” ucraina.
Benché fonti militari statunitensi segnalino che alcuni mezzi militari russi ieri abbiano già cominciato a ritirarsi dalla capitale verso la Bielorussia, c’è ancora molta cautela di fronte alle aperture russe: la decisione di sospendere le azioni militari verso Kiev e Chernihiv potrebbe essere solo una mossa per riorganizzarsi.
Tornando ai colloqui l’Ucraina ha proposto di adottare uno status neutrale, evitando di entrare a far parte di alleanze militari internazionali e di ospitare basi sul proprio territorio, oltre ad essere disposta ad affrontare la questione del riconoscimento della Crimea in consultazioni bilaterali della durata di 15 anni.
Questo primo vero spiraglio di accordo diplomatico, però, non pone fine alle operazioni militari russe di più ampio respiro: come affermato da Mosca già nella giornata di venerdì scorso, l’obiettivo, adesso, è quello di continuare a “mettere in sicurezza” il Donbass. Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha affermato in una teleconferenza che “nel complesso, i principali obiettivi della prima fase di questa operazione sono stati raggiunti”. Secondo Shoigu, “il potenziale di combattimento delle Forze Armate ucraine è stato notevolmente ridotto, il che ci permette di concentrare l’attenzione e i nostri sforzi principali sul raggiungimento dell’obiettivo primario, cioè la liberazione del Donbass”. Mosca ha spiegato che i separatisti sostenuti dalla Russia ora controllano il 93% della regione ucraina di Luhansk e il 54% della regione di Donetsk, e pertanto il prossimo passo sarà chiudere l’abbraccio russo che va dalla Crimea al Donbass.
Uno degli obiettivi strategici russi di questo conflitto, e per il momento il solo che hanno davvero raggiunto, è infatti quello di stabilire continuità territoriale tra la penisola crimeana, dove, a Sebastopoli, si trova la sede della Flotta del Mar Nero, e la Federazione. Per farlo a Mosca, oltre alla conquista della città di Mariupol, serve il controllo sull’intero oblast di Donetsk.
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Abbiamo già avuto modo di dire che questo cambio di obiettivo, il terzo dall’inizio del conflitto, è funzione dello stallo nei combattimenti: la Russia, che in questa operazione ha impiegato circa 190mila uomini distribuiti su un fronte molto vasto e su 5 direttrici principali di attacco (4 se si considera unica la doppia discesa, da nordest e nordovest, verso Kiev), dopo i primi successi si è ritrovata invischiata in un conflitto di logoramento che ha messo in crisi la sua già fragile struttura logistica.
Questa situazione ha permesso anche all’Ucraina di imbastire alcune controffensive di alleggerimento, soprattutto intorno alla capitale, nella regione di Mykolaiv, Kherson e Chernihiv, che, sebbene non coordinate, hanno disarticolato alcuni settori del fronte costringendo i russi a indietreggiare.
Il fatto che la Russia abbia dichiarato di volersi concentrare nel Donbass dimostrerebbe, secondo l’intelligence britannica, che Mosca stenta a sostenere “più di un fronte” e l’attenzione dichiarata verso i distretti di Donetsk e Luhansk è probabilmente una “tacita ammissione che sta faticando sostenere più di un significativo asse di avanzamento”. C’è sicuramente del vero in queste dichiarazioni, come abbiamo detto, però la decisione di continuare le operazioni principalmente nel Donbass non significa il ritiro dagli altri fronti.
Mosca è obbligata a mantenere una certa aliquota, anche importante, di truppe lungo tutte le direttrici di attacco per tenere impegnate le forze ucraine, onde evitare che Kiev possa spostarle là dove più servono, ovvero dove l’avanzata russa continuerà.
La decisione di continuare le operazioni esclusivamente nel Donbass, però, dimostra che la Russia fatica – e non poco – a proseguire nel conflitto, nonostante il mantenimento delle linee, in senso generale, permetta a Mosca di far affluire truppe da altre regioni della Federazione: nella giornata di ieri, martedì 29, si sono visti mezzi militari che erano partiti dall’Ossezia del Sud – regione della Georgia occupata dopo il breve conflitto del 2008 – intorno al 17 marzo. Probabilmente lo stesso modus operandi è in corso anche in altri settori, non solo in quello del Donbass, ma richiede tempo sia per le distanze enormi (si sono visti treni con mezzi militari in movimento dall’estremo oriente russo), sia per la difficoltà di schierare uomini e mezzi avendo a disposizione in Ucraina solo la rete stradale – meno agevole rispetto a quella ferroviaria – e anche in considerazione delle limitazioni logistiche strutturali dell’esercito russo.
L’intelligence britannica ripete poi quanto va dicendo da giorni, ovvero che “la Russia continuerà probabilmente a compensare la sua ridotta capacità di manovra a terra attraverso massicci attacchi di artiglieria e di missili”, come quelli che abbiamo visto sin dall’inizio del conflitto. Questa è però anche una precisa tattica che caratterizza il modo di combattere russo da sempre: utilizzare in modo massiccio l’artiglieria e i sistemi missilistici campali di concerto con l’avanzata terrestre, mettendo in secondo piano l’aviazione per quanto riguarda il sostegno tattico alle operazioni preferendo usarla per compiti più “strategici” come l’eliminazione di depositi di munizioni, carburante, caserme, aeroporti (col lancio di missili da crociera). L’impronta della dottrina militare russa è infatti fortemente “terrestre” e lo si è visto ancora una volta in questo conflitto.