Se ad Ankara, durante i colloqui con Mike Pence, i volti erano tirati ed il clima complessivamente teso, a Sochi invece sono emersi sorrisi e strette di mano ed una conferenza stampa che nella capitale turca non c’è stata. Già da questi dettagli ben si può intuire la profonda differenza tra i colloqui di Recep Tayyip Erdogan con il vice presidente Usa e quelli invece tenuti, nella località sul mar Nero, tra il presidente turco e Vladimir Putin. E la tregua raggiunta, questa volta, sembra delineare scenari più chiari con la possibilità dunque di vedere, seppur non definitivamente, le armi tacere.
I punti dell’intesa
Ciò che risalta agli occhi guardando una mappa della Siria aggiornata con quanto decretato a Sochi è la scomparsa del Rojava. Quella regione che dal 2014 ha voluto sperimentare una forma di autonomia con un proprio governo ed un proprio statuto può essere ormai catalogata tra le esperienze riposte negli scaffali della storia. Infatti tra Putin ed Erdogan il primo nodo sciolto nell’accordo ha riguardato la titolarità di quella fascia di 30 chilometri all’interno del territorio siriano di cui già, la scorsa settimana, si è parlato durante i colloqui con la delegazione americana. In quell’occasione, si è stabilito che i curdi dovevano ritirarsi proprio da quella fascia al fine di consentire la creazione di un margine di sicurezza con la Turchia. Senza però chiarire chi dovesse occupare questo territorio, visto che gli americani hanno già fatto le valigie.
A Sochi è stato stabilito proprio questo: saranno i soldati siriani a sostituire i curdi in ritirata verso sud. Ma non solo: oltre ad una fascia di 30 chilometri, si è parlato di una lingua di terra al suo interno, ampia non più di 10 chilometri, in cui verranno organizzati pattugliamenti congiunti da russi e turchi. Con un’eccezione: la città a maggioranza curda di Qamishli, la quale si trova a ridosso del confine turco, non sarà soggetta a questi pattugliamenti visto che è già da quasi due settimane in mano alle forze fedeli al presidente Bashar al Assad. In pratica, le Sdf hanno rinunciato ad avere ruoli politici e militari, ecco perché è possibile parlare di fine del Rojava.
Con questo accordo però, si è garantito il non ingresso di turchi e filo turchi in aree abitate dai curdi in Siria. Ankara infatti, continuerà ad avanzare le sue pretese soltanto nella striscia di territorio poco ad est dell’Eufrate conquistata durante le azioni militari dell’operazione “Primavera di Pace“. Il progetto iniziale di Erdogan, il quale già pensava ad una striscia estesa da Afrin fino al confine iracheno, è quindi naufragato al pari del Rojava. A guadagnarci è senza dubbio Bashar Al Assad, che può adesso tornare in aree in cui l’esercito ha perso il controllo dal 2012. Dal canto suo però, Erdogan ha potuto accettare questo accordo in quanto ha ottenuto il suo obiettivo minimo: la garanzia dei mancati contatti tra curdi turchi e curdi siriani. Ecco perché il presidente turco è potuto tornare ad Ankara dichiarando di fermare il conflitto per almeno altre 150 ore.
Come cambia la geografia siriana
Come detto, Assad può ritenersi il più soddisfatto dall’accordo di Sochi. Le zone curde gradualmente torneranno sotto il proprio controllo. E questo non vorrà dire soltanto riposizionare bandiere siriane in territori che sembravano oramai perduti. Ricostituire l’integrità territoriale della Siria comporterà molti vantaggi tanto politici, quanto anche pratici. Attraversando nuovamente l’Eufrate, Damasco potrà usufruire infatti dei giacimenti petrolieri dell’area di Tabqa e quelli del gas della provincia di Al Hasakah. Un modo per tornare ad esportare materie prime, ma anche per rifornire di energia il territorio occidentale della Siria, controllato oramai da un anno e mezzo quasi interamente dal governo. Questo vorrà dire avere introiti vitali per far ripartire l’economia e la ricostruzione, ma anche evitare razionamenti e limitazioni nelle forniture di energia alla popolazione che abita nelle città più importanti.
In poche parole, quella parte di Siria potrebbe ricominciare ad essere un luogo “normale”. E questo è vitale per poter parlare di un altro punto concordato a Sochi: il ritorno dei profughi siriani attualmente in Turchia. Erdogan li voleva posizionare nella fascia ideata nel momento di avviare l’operazione nel nord della Siria, andando anche ad alterare gli equilibri etnici di questa regione con i curdi che avrebbero rischiato di diventare minoranza. Adesso invece, con i siriani che riprendono il controllo dei vari territori, è possibile far tornare i profughi nelle proprie aree di origine ed in tutto il paese.
Tornando alla divisione geografica della Siria, va fatta una menzione sull’autostrada M4, l’arteria che collega Aleppo con Qamishli. Destinata a diventare terreno di scontro principale tra curdi e filo turchi, adesso la strada segnerà di fatto il confine tra aree in mano alle milizie filo turche e quelle passate sotto il comando di Damasco nelle zone di Al Hasakah dove si è combattuto fino alla settimana scorsa. Per tal motivo, questa arteria vitale anche per far riprendere i commerci nella zona, verrà presidiata congiuntamente da russi e siriani.
In definitiva, Putin ed Erdogan hanno ridisegnato la nuova mappa della Siria: il presidente russo ha potuto ridare in mano al suo alleato Assad quei territori persi durante la guerra, il presidente turco ha potuto esultare per la garanzia della fascia di sicurezza, mantenendo il controllo di una piccola porzione della provincia di Al Hasakah. I curdi, lasciati soli dopo il ritiro Usa, hanno preferito ovviamente la loro sopravvivenza alla difesa del Rojava.