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Nella giornata di mercoledì 23 ottobre due bombardieri strategici Tupolev Tu-160 russi sono arrivati in Sudafrica dopo un volo record di più di 11mila chilometri durato oltre 13 ore. I due velivoli, accompagnati da un Antonov An-124, un Ilyushin Il-62 e da una serie di aerocisterne Il-78, sono atterrati sull’aeroporto militare di Waterkloof, vicino alla capitale amministrativa Pretoria, e sono decollati dalla base di Engels, vicino alla città di Saratov, nell’omonimo oblast, che è sede del 121esimo reggimento bombardieri pesanti delle guardie operante con gli ultimi 14 velivoli Tu-160 rimasti nella Vks (Vozdušno-Kosmičeskie Sily), le forze aerospaziali russe.

Secondo il comando dell’aeronautica russa il volo di trasferimento ha avuto luogo nello spazio aereo sopra le acque del Mar Caspio e del Mar Arabico, oltre che dell’Oceano Indiano. Nell’ultima fase, i velivoli russi sono stati scortati dai caccia Jas-39 Gripen sudafricani.

Il gruppo sarebbe dovuto arrivare nella giornata del 22, ma inconvenienti tecnici non meglio identificati ne hanno posticipato l’arrivo di 24 ore.

La prima volta dei bombardieri russi in Africa

La “visita di cortesia” segna la prima volta che bombardieri russi atterrano in un Paese africano. In particolare, come ricorda anche Darren Olivier, esperto nel settore Difesa e direttore del African Defence Review, la visita sarebbe dovuta avvenire nel 2016, in coincidenza con la manifestazione Africa Aerospace & Defence, ma all’ultimo momento è stata rinviata sine die, molto probabilmente a causa dell’impiego dei Tu-160 nella campagna di bombardamento in Siria.

Il viaggio diplomatico dei bombardieri strategici russi coincide con l’apertura, a Sochi sul Mar Nero, del primo summit russo-africano fortemente voluto dal presidente Putin che sta lavorando per espandere l’influenza della Russia in tutta l’Africa.

“L’incontro al vertice è rivolto ad approfondire le relazioni amichevoli tra la Federazione Russa e i Paesi del continente africano sia a livello bilaterale che multilaterale; forgiare collaborazioni più strette su problemi regionali e internazionali di comune interesse” sono state le parole della presidenza sudafricana in merito alla partecipazione di Pretoria all’evento di Sochi, che ha come scopo quello di implementare il dialogo strategico portandolo ad un livello più elevato per contribuire alla stabilità, alla pace e allo sviluppo sostenibile nel continente africano. “La partecipazione del Sudafrica al summit è in linea coi pilastri della nostra politica estera che sono rivolti ad incoraggiare la cooperazione Nord-Sud in vari campi tecnici così come nello sviluppo economico” ha infine concluso la nota della presidenza.

Il comunicato del ministero della Difesa sudafricano è ancora più specifico. Si legge che “La Rsa (Repubblica sudafricana) e la Federazione Russa hanno forti e storici legami stabiliti il 28 febbraio del 1992. Le relazioni Military to Military tra i due Paesi non sono solamente volte a meri sforzi politici ma anche ad incoraggiare una mutua e benefica collaborazione basata su interessi comuni. È in quest’ottica ed in ottemperanza degli accordi stipulati tra i rispettivi ministri della Difesa nel giugno del 1995 che l’aeronautica militare russa ha effettuato la visita in Sudafrica”.

Il ministero della Difesa si riferisce all’accordo stipulato tra il neoeletto presidente Mandela (1994) e Mosca per la cooperazione in ambito militare. Una collaborazione che è andata via via stringendosi nel tempo sino ad arrivare all’ingresso del Sudafrica nei Brics (2018), un organismo che vede partecipare Russia, Brasile, India, Cina, Sudafrica e ora anche Turchia come alternativa al sistema monetario ed economico internazionale del Fmi sin dal 2014.

La “diplomazia dei bombardieri” di Mosca

Per la Russia la visita dei bombardieri Tu-160, che attualmente sono in fase di rimodernamento, in Sudafrica ha un duplice obiettivo: innanzitutto è la dimostrazione al mondo della capacità delle forze strategiche russe di condurre operazioni militari in teatri molto lontani dal proprio territorio nazionale.

La Russia, ormai da qualche anno e con sempre maggior frequenza, sta conducendo lunghe missioni di pattugliamento che vedono l’impiego di bombardieri Tu-160 “Blackjack”, Tu-95MS “Bear” e Tu-142 “Bear F” in diversi teatri globali: dall’Atlantico, dove i bombardieri russi hanno ripreso le crociere per sondare le difese della Nato sul fronte nord, sino all’Estremo Oriente, nel Pacifico, dove a scadenza quasi mensile e con la novità della partecipazione cinese, effettuano voli intorno all’arcipelago giapponese e alla Corea del Sud, passando, ovviamente, per la regione Artica che è tornata prepotentemente al centro della politica strategica di Mosca.

La Russia però non dimentica il sud del mondo. Già in passato, anche recente, proprio una coppia di Tupolev Tu-160 è atterrata in Venezuela per rafforzare i legami tra Mosca e Caracas e soprattutto per aprire alla possibilità di ottenere una base semipermanente in quel settore, diventato cruciale proprio per le tensioni che intercorrono tra Maduro e Trump. La Russia, cioè, si è inserita là dove ha visto aprirsi uno spiraglio per contrastare il tentativo statunitense di essere arbitro delle contese in America Latina, ed è proprio questo il secondo obiettivo, oltre quello della mera dimostrazione di forza, del Cremlino.

Vanno fatte alcune considerazioni tecniche, però, che esulano dal campo diplomatico. La Russia sta cercando, con molta fatica a causa dell’economia traballante sotto i colpi sia delle sanzioni sia della sua strutturale dipendenza dal volatile mercato degli idrocarburi, di rinnovare le sue Forze Armate.

Molti progetti, per questo, sono stati abbandonati, altri semplicemente rinviati, in generale quindi Mosca ha dovuto razionalizzare le risorse per rimodernare i propri assetti missilistici, navali, aerei e terrestri. I problemi tecnici dei Tu-160 che ne hanno rimandato la partenza per il Sudafrica sono una “spia” che si è accesa e che conferma la difficoltà di Mosca a tornare ad avere una proiezione di forza di carattere globale. Del resto la maggior parte dei fondi viene dirottata verso l’unico strumento efficace di deterrenza, rappresentato dalle forze missilistiche strategiche – se pur con tagli di programmi anche in questo settore – e verso la componente navale di superficie e sottomarina, che, ancora oggi, rappresenta l’unico strumento efficace di proiezione di forza di una nazione.

Ritardi e cancellazioni, come detto, non si contano, ma la Russia sta abilmente barcamenandosi in un rinnovo delle sue Forze Armate (missili ipersonici, armi laser, velivoli di quinta e prossimamente sesta generazione, testate Hgv) che sta preoccupando non poco Washington, che in alcuni settori (come nell’ipersonico) è attualmente indietro rispetto a Mosca o a Pechino.

A livello diplomatico queste “visite di cortesia” diventano quindi importanti per la cooperazione in ambito militare nell’ottica della vendita di armi made in Russia (pensiamo agli S-400 ad esempio) e per cercare di ampliare il proprio raggio d’azione del soft power del Cremlino, che si propone come leader nel campo energetico non solo degli idrocarburi: non è un segreto che la Russia stia lavorando attivamente per la vendita e costruzione di tecnologia nel campo dell’energia atomica in vari Paesi in via di sviluppo. Il continente africano quindi rappresenta una nuova frontiera per Mosca, che deve però fare i conti con la concorrenza cinese, che da almeno due decadi ha messo le radici in Africa.

Si capisce bene, quindi, l’importanza di mantenere stretti i legami di tipo militare, l’unico strumento realmente efficace della politica estera di Mosca: proprio a fine novembre, la Russia parteciperà ad una esercitazione navale congiunta con la Marina Cinese e quella Sudafricana, e non ci stupiremmo se da Pretoria non arrivassero commesse per l’acquisto di sistemi da difesa aerea come l’S-400 o per qualche cacciabombardiere come quelli della famiglia dei Su-30/35 o i nuovi Mig-35.

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