Il conflitto in Ucraina è ormai entrato in quella che è unanimemente considerata la sua seconda fase: ora la Russia punta a occupare tutta la regione geografica del Donbass, con la seria possibilità di una manovra accerchiante più ampia che avrebbe nella città fluviale di Dnipro il suo fulcro, oltre a consolidare quel corridoio terrestre che va dalla Crimea alla Federazione Russa e che passa per le fasce costiere degli oblast di Kherson, Zaporizhzhia e Donetsk.
A ovest del fiume Dnepr, nei pressi della foce, i russi sono ormai stabilmente asserragliati anche se sembra che l’avanzata verso e oltre Mykolaiv, come i pesanti bombardamenti dei giorni scorsi lasciava presagire, non sia ancora stata messa in atto: stabilire se per difficoltà degli attaccanti o se si tratti solo di un attacco diversivo risulta in questa fase ancora prematuro. Vero è che le azioni di bombardamento – missilistico e aereo – si sono fatte più intense anche in quel settore e sono tornate a interessare Odessa spingendosi anche più a ovest, sino al fiume Dnestr, dove il ponte che collega le due sponde del fiume, nei pressi del suo estuario, è stato seriamente danneggiato (alcune fonti lo danno per distrutto).
In questo caso possiamo affermare che gli attacchi in profondità hanno una duplice valenza: distruggere le vie di rifornimento ucraine nell’ovest del Paese e cercare di disarticolare il sistema logistico di Kiev, andando a colpire serbatoi di carburante e altre infrastrutture come gli snodi ferroviari.
L’avanzata russa non è rapida e non sta pienamente mettendo in pratica il concetto di “guerra in profondità” di stampo sovietico, che prevede pesanti bombardamenti di artiglieria e aerei (l’aviazione è usata, ancora oggi, principalmente per il supporto tattico durante l’avanzata).
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Il generale Alexander Dvornikov, subentrato al comando delle operazioni, sembra ancora in fase di studio, ma più probabilmente sta attenendo che le unità di fanteria ritirate nelle settimane precedenti dai settori di Kiev/Chernihiv vengano riarmate e riorganizzate con rinforzi freschi a completamento delle perdite subite: l’intelligence statunitense stima che in questa fase la Russia stia impiegando 92 BTG (Gruppi tattici di battaglioni), le unità mobili autonome formate da circa 700 uomini in cui è organizzato l’esercito russo per questa operazione.
I limiti della fanteria
Proprio questa stessa organizzazione ha dimostrato tutti i suoi limiti dai primi giorni di guerra: le unità sono state pensate per essere altamente mobili, autosufficienti ma limitatamente a una rapida operazione (massimo 7 giorni), con un elevato grado di indipendenza rispetto agli standard russi (che ancora risentono dell’esperienza sovietica fortemente accentrante riguardo alla catena di comando). Entrambe queste ultime caratteristiche, che risultano eccellenti per un conflitto di counterinsurgency o per un’operazione simmetrica “lampo”, si sono rivelate controproducenti in questa guerra: la rete logistica russa è imperniata sulle ferrovie, e non poter usufruire di questo mezzo di trasporto proprio per via della rapida e profonda avanzata iniziale (soprattutto su Kiev), dovendosi quindi affidare al trasporto su gomma (e quindi alla rete stradale che in ucraina è scarsa e legata agli snodi cittadini in mano ucraina), ha ritardato l’arrivo di rifornimenti e soprattutto ha esposto le loro linee ai contrattacchi terrestri ucraini. La stessa catena di comando si è rivelata inadeguata: i BTG operavano spesso in autonomia in modo poco coordinato, mancando di un’unità di comando superiore di livello brigata o divisione in grado di elaborare piani precisi.
L’avanzata quindi si è arenata dopo 5/7 giorni sotto il suo stesso peso, ma il contributo ucraino è stato comunque fondamentale a questo scopo. L’esercito di Kiev è riuscito a imbastire alcuni contrattacchi, ma mai profondi, anche utilizzando unità terrestri meccanizzate e corazzate consistenti (sino al livello brigata), a dimostrazione che il dominio dei cieli non è stato mai ottenuto in modo continuo dalla Russia. Del resto, come abbiamo avuto modo di dire, è anche probabile che nei piani di Mosca non ci fosse questa esigenza, probabilmente perché si pensava a una breve campagna terrestre. A suffragare quest’ipotesi è lo stesso schieramento iniziale delle truppe russe ed il loro ordine di battaglia: l’esercito, coi suoi circa 100 BTG, è stato posizionato lungo tutto il confine ucraino (anche bielorusso) e le direttrici di invasione sono state tante (5 o 7 a seconda di come si considerano quelle su Kiev) e mai convergenti fatta esclusione per quelle sulla capitale, che infatti ha visto le truppe di Mosca arrivare dopo poco tempo.
Un errore tattico imperdonabile. La divisione delle forze – esigue per un’operazione simile – è già di per sé una cattiva scelta (Napoleone a Waterloo docet) e se a questa si aggiunge la decisione di avanzare per linee parallele, si espongono i fianchi delle direttrici di attacco (e delle fragili linee di rifornimento) ai contrattacchi nemici. Quello che si è visto “in grande” lo si è visto anche “in piccolo”: i reparti di Mbt (Main Battle Tank) russi sono stati fatti avanzare, spesso anche nei centri abitati, senza il supporto della fanteria e lungo un’unica direttrice di attacco, senza manovre diversive o di fiancheggiamento. Il risultato è stato esporli ai contrattacchi dei difensori, meglio asserragliati e soprattutto con una conoscenza del campo di battaglia superiore, che a volte ne hanno fatto strage con l’uso di Atgm o con un preciso tiro di artiglieria (o entrambi), spesso corretto da droni anche di origine commerciale.
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Gli errori di Kiev
Da parte ucraina sono stati commessi gravi errori tattici nelle primissime fasi del conflitto: se il decentramento di sistemi da difesa aerea e cacciabombardieri ha relativamente funzionato, l’esercito ucraino non ha distrutto i vitali ponti nel sud del Paese, trovandosi così con le formazioni corazzate e meccanizzate russe saldamente a ovest del fiume Dnepr dopo pochissimi giorni di guerra. Invece altrove, dove quest’attività è stata svolta, come ad esempio nell’area di Sumy/Kharkiv, le forze russe sono state messe seriamente in difficoltà tanto che l’avanzata è stata sostanzialmente bloccata, e proprio dalla zona di Sumy, nella seconda fase, le truppe sono state ritirate.
Un secondo errore ucraino, imputabile però alla stessa natura dell’esercito che era in fase di modernizzazione e ristrutturazione, è stato lo scarso coordinamento (o forse del tutto assente) tra le unità così come avvenuto per i russi: i contrattacchi sono stati isolati, spesso ad opera di formazioni ridotte e mal gestite, e se in alcuni settori sono stati efficaci ricacciando indietro i russi, lo si deve più alla scarsa reazione nemica che all’effettiva capacità dei comandanti, che anche qui sono apparsi isolati gli uni dagli altri.
Gli errori russi
In questa nuova fase i russi sembra che stiano commettendo alcuni degli errori visti nella prima: le avanzate nel Donbass e nel sud appaiono mal coordinate e perlopiù su direttrici parallele: sebbene ora il fronte sia “più concentrato” rispetto a prima, il generale Dvornikov appare ancora titubante, forse perché in attesa dei rimpiazzi. L’operazione nell’est ucraino, cominciata ormai da più di 10 giorni, non ha ottenuto grandi risultati a parte l’occupazione di qualche villaggio e cittadina, ma riteniamo che la decisione di non eliminare ogni resistenza a Mariupol permetterà di liberare alcune unità che, una volta riequipaggiate e ricostituite nella loro interezza, potranno essere gettate nella mischia.
L’Ucraina però ha guadagnato tempo prezioso per poter organizzare il contrasto alla “guerra in profondità” russa: la nuova tranche di aiuti militari occidentali (costituiti per la maggior parte da sistemi di artiglieria, anche a razzo, a lunga gittata) sta giungendo ai reparti mentre i soldati di Kiev stanno seguendo corsi di addestramento in Occidente per poter usare l’equipaggiamento fornito. Ancora una volta, nonostante i droni e altri sistemi d’arma avveniristici, la battaglia si vince nel fango dei campi, e la fanteria, insieme a quanto le ruota intorno (Mbt compresi) resta lo strumento essenziale per farlo, soprattutto in uno scenario dove nessuno dei due contendenti detiene la superiorità aerea che, lo ricordiamo, è vitale conseguire per vincere un conflitto terrestre o marittimo.