La nuova amministrazione Biden sta per affrontare una tematica strategica molto importante: quella legata agli arsenali atomici e al controllo degli stessi. Gli Stati Uniti si trovano in un momento critico, in cui le decisioni prese ora influenzeranno la forza nucleare statunitense sul lungo periodo (almeno sino ai prossimo anni ’70 e ’80) stante la vita prevista per diversi sistemi d’arma di questo tipo (bombardieri, missili, sottomarini).
Un’analisi di Defense News prospetta che la Casa Bianca potrebbe seguire il modello dell’amministrazione Obama, e perseguire ulteriori accordi sul controllo degli armamenti nucleari mentre modernizza la triade nucleare statunitense. L’altra opzione, che è quella supportata da molti think tank progressisti, è di ridimensionare notevolmente il processo di modernizzazione delle forze nucleari Usa ed eliminare unilateralmente centinaia di sistemi (anche singoli come le testate) nel tentativo di persuadere Russia e Cina a sedersi al tavolo dei negoziati.
Quest’ultima posizione è finalizzata all’interesse dei dem di oltre Atlantico di spendere meno nel settore della difesa, rilanciato dall’amministrazione Trump come uno dei volano per l’economia statunitense, tagliando le armi nucleari mentre rispolverano la postura di affidarsi ai tratti internazionali per mostrarsi impegnati a voler ridurre le scorte globali di armi atomiche attraverso accordi sul controllo degli armamenti.
Defense News afferma, non a torto, che molte di queste proposte progressiste di riduzione unilaterale degli arsenali atomici degli Stati Uniti non tengono conto di un fattore diplomatico molto importante: un arsenale nucleare completamente modernizzato è il mezzo più probabile per raggiungere l’obiettivo che si pongono di ridurre gli arsenali nucleari globali.
Una triade nucleare modernizzata fornirebbe, infatti, una capacità di persuasione, una “leva”, molto maggiore su Russia e Cina al tavolo negoziale, trovando anche il supporto dei Repubblicani per via del fatto che garantirebbe una capacità di deterrenza efficace.
Del resto nello storico delle azioni concernenti l’arsenale atomico degli Stati Uniti, si nota che quelle intraprese unilateralmente non sono state ricambiate dagli avversari.
Ad esempio, la precedente politica statunitense era quella di non sviluppare nuove testate, ma il Dipartimento della Difesa ha osservato che la Russia sta sviluppando nuovi vettori nucleari, mentre la Cina probabilmente intende farlo nell’immediato futuro per colmare il gap numerico che la separa dalle due superpotenze atomiche. Gli Stati Uniti, inoltre, si sono astenuti dal dispiegare missili balistici intercontinentali mobili, mentre Russia e Cina no, oltre al fatto di non avere un missile balistico con capacità nucleare lanciabile dall’aria, mentre Mosca e Pechino stanno lavorando per ottenere questa capacità, anzi, sembra che l’abbiano già ottenuta soprattutto se guardiamo alla Russia e al missile ipersonico Kh-47M2 Kinzhal oppure se pensiamo a quanto visto recentemente in Cina, che ha mostrato un bombardiere H-6N armato con quello che è sembrato un missile balistico Df-17.
A ben vedere nemmeno le più significative riduzioni nucleari unilaterali statunitensi, come quelle del 1991 e del 1992 che hanno eliminato molte armi nucleari tattiche dall’arsenale degli Stati Uniti, offrono un precedente confortante. La Russia, infatti, ha conservato e modernizzato fino a 2mila delle sue armi nucleari non strategiche.
In conclusione la diminuzione unilaterale degli arsenali da parte degli Stati Uniti semplicemente non è una scelta auspicabile sulla via della reciprocità nei confronti di Russia o Cina, che infatti stanno schierando armi più moderne ed efficaci non solo nel campo missilistico (le testate Hgv tipo la russa Avangard) ma anche in altri ambiti delle forze strategiche: pensiamo al supersiluro nucleare Poseidon in grado di colpire autonomamente un bersaglio costiero con una testa atomica dopo un viaggio “intercontinentale”.
La strada da perseguire, secondo alcuni analisti, dovrebbe essere quella di ottenere “la leva”, un peso diplomatico efficace, per futuri negoziati sul controllo degli armamenti: una tattica che ha il pregio, dimostrato e dimostrabile – sebbene non perfetto – di essere un mezzo molto più affidabile per ottenere una reciproca diminuzione degli arsenali.
D’altro canto c’è un fattore, che nell’analisi di Defense News viene solo accennato, che invece è molto importante in quanto ha determinato l’iniziale squilibrio dei contrappesi atomici delle potenze globali che ha causato la successiva ricerca di strumenti di consegna più moderni ed efficaci: la difesa antimissile. Le dimensioni e le capacità delle difese missilistiche americane e russe non sono più comparabili stante la quasi copertura globale di quelle Usa raggiunta attraverso la disseminazione di sistemi come l’Aegis Ashore o il Thaad in Paesi alleati che si trovano ad avere una posizione strategica intorno ai confini russi o cinesi.
Ricordiamo, infatti, che sono stati proprio l’abbandono del Trattato Abm, ormai più di 20 anni fa, da parte di Washington ed il suo programma di difesa missilistica globale, che hanno condizionato i programmi russi per la costruzione di nuove armi nucleari strategiche in grado di penetrare il nuovo “scudo antimissile” statunitense: Mosca, per poter continuare ad avere una capacità di deterrenza nucleare credibile, – l’unica capacità di deterrenza che ha Mosca stante il fatto che quella convenzionale è fortemente minata dalla scarsità di fondi e quindi di mezzi – ha investito buona parte del suo budget per la difesa in nuovi sistemi come l’Avangard, i missili ipersonici, i missili da crociera a propulsione atomica ed i siluri nucleari a lunghissima portata. Non è un caso infatti, che si vociferi che gli Stati Uniti vogliano includere, in un futuro nuovo trattato di riduzione degli armamenti, anche questi nuovi sistemi, ma, stante il prolungamento del New Start, sarà tutto rimandato di un quinquennio molto probabilmente.
Proprio i Trattati, da quello sulle forze nucleari a raggio intermedio (Inf) sino allo Start, hanno un doppio ruolo: di riduzione degli arsenali (e controllo diretto reciproco) e di spinta verso la ricerca di reciprocità delle capacità degli stessi.
In breve questo tipo di leva ha avuto una grande importanza nei negoziati in passato e non ci sono prove convincenti che possa smettere di averla nel presente o nel prossimo futuro.
Come esempio concreto, se i Dem favoriscono il meccanismo di eliminazione unilaterale degli missili balistici intercontinentali statunitensi, senza preoccuparsi di come quegli stessi missili possano avere un ruolo fondamentale per fare pressione su Russia e Cina affinché eliminino parte dei loro arsenali nucleari, non ci sarà nessun tipo di riduzione spontanea dalla parte opposta, e aspettarsi una simile eventualità rasenta l’ingenuità, oltre che la miopia.
C’è anche una questione squisitamente di politica interna in favore della linea che vede la necessità di evitare il disarmo unilaterale e, nel contempo, la continuazione della modernizzazione dell’arsenale atomico Usa: tale politica ha ottenuto il sostegno bipartisan da quando è iniziata sotto l’amministrazione Obama, come dimostra il fatto che la gestione Trump ha apportato solo piccoli aggiustamenti che erano necessari per rimanere al passo con l’evolversi della minaccia.
L’eliminazione unilaterale di un numero significativo di armi nucleari statunitensi, ora, nelle prime fasi della modernizzazione nucleare statunitense, farebbe perdere quel sostegno bipartisan, oltre a mettere in pericolo la capacità di deterrenza, provocare la preoccupazione degli alleati che si affidano all’ombrello nucleare statunitense e creare un pericoloso squilibrio nel principio della mutua distruzione assicurata, che sino ad oggi è quello che ha evitato che si assistesse ad un primo, risolutivo, attacco nucleare, eccezion fatta per la decisione di mettere in servizio testate a basso potenziale, ovviamente, che rappresenta uno dei fattori più destabilizzanti della nuova corsa agli armamenti nucleari.