Il sostegno all’Ucraina è un punto centrale dell’attuale agenda estera dell’amministrazione Biden. Gli Stati Uniti, in queste ultime settimane, hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari a favore di Kiev da 275 milioni di dollari. Un contributo che, come ha spiegato una nota del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, “porta il valore totale dell’assistenza militare Usa all’Ucraina a 20 miliardi di dollari, dall’inizio dell’amministrazione Biden”. Una specifica, quest’ultima, che può apparire superficiale, ma che in realtà serve a ribadire come il sostegno alla causa ucraina sia più risalente nel tempo, strategica e non tattica, e che il presidente democratico ha sicuramente aumentato in concomitanza con l’invasione russa iniziata a febbraio.
Se il supporto di Washington a Kiev risulta un elemento mai messo in dubbio, altro discorso riguarda il modo in cui questo aiuto viene deciso, attuato e soprattutto gestito. Perché mentre in linea teorica il supporto all’Ucraina non viene negato da nessuna parte politica, il dibattito pubblico americano si è particolarmente concentrato in questi ultimi mesi sul controllo di questo ingente quantitativo di aiuti.
Questa esigenza si realizza e viene invocata sotto diverse forme e con diversi livelli. Uno dei temi è soprattutto quello economico, particolarmente caro soprattutto alla parte più a destra dei repubblicani. Il partito di opposizione Usa chiede un controllo capillare per informare pienamente i cittadini di come siano spesi i soldi dei contribuenti e – in linea con un tradizionale “isolazionismo” – pretende che questi aiuti siano ridotti al minimo indispensabile senza pesare sulle casse dello Stato e sulle imprese. Questa richiesta, che è aumentata specialmente in campagna elettorale per le elezioni di metà mandato, è stata confermata anche dentro lo stesso governo Usa, ma rischia di essere un auspicio di difficile realizzazione. Il giornale Politico ha pubblicato un’inchiesta che parte da un cablogramma di settembre, firmato dall’ambasciatrice americana Bridget Brink, che descriveva l’enorme difficoltà dei funzionari dell’ambasciata americana a Kiev nel controllare come vengono gestiti i soldi inviati all’Ucraina. Si tratta di decine di miliardi di dollari in armi e aiuti di varia natura che arrivano nel Paese con sempre minore possibilità di monitorarli: vuoi per la situazione sul campo, per l’impossibilità di avere più personale, difficoltà a trovare aziende che lavorino in aree a rischio e vincoli di varia natura.
Come spiega Politico, il cablogramma esce in un momento in cui i repubblicani stanno assumendo una postura sempre meno accondiscendente verso il sostegno senza limiti all’Ucraina. Ma non va dimenticato che in questi mesi anche da parte dello stesso presidente Joe Biden, come da parte di altri vertici Usa, siano in realtà giunte delle dichiarazioni che certificano il desiderio Usa di contenere e indirizzare in modo preciso gli aiuti forniti a Kiev. Questo vale non solo per gli aiuti civili, ma anche appunto su quelli militari. Washington non ha mai negato il sostegno alle forze ucraine, tuttavia ha tenuto a ribadire più volte di non volere un allargamento del conflitto, che il pensiero è verso la difesa del Paese e che quello che giunge in Ucraina non è “un assegno in bianco”. Spesso i giornali Usa hanno riportato di divergenze tra lo stesso Biden e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per la quantità degli aiuti. Ed esistono segmenti trasversali alla politica statunitense, quindi anche democratici, che iniziano a chiedersi se questo coinvolgimento del Pentagono non stia assumendo le caratteristiche di un intervento indiretto e che fondamentalmente distante dall’opinione pubblica Usa. Politico segnala ad esempio che “alcuni democratici hanno sostenuto una supervisione speciale a lungo termine per l’Ucraina. E sottolineano le esperienze americane nella creazione di ispettori generali speciali per l’Iraq e l’Afghanistan”. “Tali organismi sono stati istituiti”, ricorda il giornale, “quando è diventato chiaro che fossero necessarie squadre specifiche di investigatori con risorse speciali per monitorare le ingenti somme di denaro che affluivano in quei Paesi le cui istituzioni erano sottoposte a forte stress o fallite”.
La guerra rende tutto questo controllo tanto urgente quanto, appunto, sempre più difficile. Da un lato gli attacchi russi alimentano la richiesta di aiuti, specialmente riguardo la protezione delle infrastrutture (come specificato anche dallo stesso Zelensky a Biden nell’ultima conversazione). Dall’altro lato, il caos del conflitto non aiuta a controllare né in modo trasparente né in modo corretto come vengono gestiti sia gli aiuti militari che quelli finanziari, specialmente perché, come spiega il cablogramma della diplomazia Usa, in larga parte si basa su soldati e funzionari ucraini che si trovano sul campo. Infine, l’amministrazione dem vuole monitorare ma allo stesso tempo non può dare l’impressione di non essere pienamente convinta della bontà della causa, e qualsiasi freno può essere letto come un disimpegno che la Casa Bianca, in questa fase, non sembra volersi concedere, tanto più se questo si traduce in un semaforo verde alle istanze della destra repubblicana. Il rischio che l’aumento dei controlli e le indagini sugli aiuti venga letto come un’ammissione di negligenza è molto elevato.