Da una parte il ritiro dalla città di Kherson e lo spostamento delle truppe russe sulla riva orientale del fiume Dnepr. Dall’altra parte, la trincea costruita nel territorio del Donbass, la cosiddetta “linea Wagner”, fortificazione realizzata dall’omonimo gruppo di contractors fondato da Evgenij Prighozin e vera legione straniera agli ordini del Cremlino. Le ultime immagini che giungono dalle forze russe in Ucraina danno il segnale di un assestamento. Il generale Surovikin, nuovo comandante delle truppe di Mosca nella cosiddetta “operazione militare speciale”, aveva come obiettivo quello di paralizzare la controffensiva ucraina.
Ma quello che sembra avere ottenuto in questa fase è soprattutto una situazione di stallo: il bombardamento delle infrastrutture ha minato le avanzate dell’esercito di Kiev e colpito le risorse economiche e logistiche ucraine; allo stesso tempo, però, la ritirata da Kherson e la costruzione delle trincee a est dell’Ucraina segnalano che le forze del Cremlino, in questa fase della guerra, non possono andare oltre. L’invasione è ferma, senza possibilità di vittorie significative, mentre si prova a consolidare la conquista dei territori avvenuta durante questi lunghi mesi di conflitto in attesa che l’inverno congeli le operazioni.
Lo stallo tra i due eserciti
L’impressione è che in questo momento si sia di fronte a una sorta di “mezzogiorno di fuoco” in cui le due forze in campo – esercito invasore e invaso – si osservano e cercano di capire chi farà la prossima mossa e se il colpo inferto potrebbe essere letale. Nessuno è convinto delle scelte dell’altro. La cautela mostrata dallo Stato maggiore ucraino e dal presidente Volodymyr Zelensky induce a credere che non vi siano certezze definitive su cosa stia avvenendo o potrebbe avvenire sul fronte meridionale. L’esercito ucraino in queste ore – stando alle prime informazioni – ha issato la bandiera nazionale nella piazza principale della città, altre truppe hanno preso diverse località dei dintorni e la città sembra ormai sotto completo controllo di Kiev. A est, invece, la situazione è sostanzialmente bloccata su battaglie incerte tra i villaggi non lontano da Donetsk.
La domanda che tutti si pongono è cosa voglia ottenere esattamente Putin con queste ultime mosse. Perché la ritirata da Kherson non può essere letta senza metterla in parallelo con la fortificazione del fronte del Donbass e con il rafforzamento del contingente russo conseguente alla mobilitazione "parziale". C'è un disegno complessivo, una ridefinizione dei vari fronti in cui sono impiegate le forze di Mosca che sembra realizzare nuove linee su cui si poggia tutta la rinnovata strategia del Cremlino. Ed è su questo punto interrogativo che si gioca l'analisi delle decisioni di Putin e della sua Difesa, così come gli effetti su un eventuale negoziato che, fino a questo momento, appare ancora estremamente fumoso.
Il significato dei due fronti
Kherson e quella linea Wagner nel Donbass danno l'impressione di avere un duplice significato, quella di linea rossa o quello di trappola. Molti osservatori ritengono che la ritirata a sud sia il messaggio con cui si potrebbero avviare le trattative tra Mosca e Washington, e, unendolo alla fortificazione dell'altro fronte dell'Ucraina orientale, ciò che appare possibile è che la Russia in questo momento stia compattando il territorio che ritiene imprescindibile per il futuro accordo. Da un lato, cede su una città-simbolo come quella sulle rive del Dnepr, dall'altro lato forma dei nuovi "confini" per cristallizzare la propria invasione e affermare delle nuove linee di demarcazione.
Questo, nella mente di Putin, è probabilmente il limite ultimo della sua ritirata. Oltre questo, non può esserci altro che la disfatta. Cedere anche sull'altra riva del Dnepr significherebbe lasciare il controllo del nord della Crimea agli ucraini. Cedere a est, significherebbe tradire l'obiettivo principale dell'invasione russa secondo le direttive del presidente russo: "liberare" le autoproclamate repubbliche popolari poi annesse alla Federazione Russa. È su questo che molti commentatori ritengono possa articolarsi una trattativa che, in ogni caso, significherebbe non solo la cessione di grosse porzioni di territorio ucraino a un Paese che lo ha invaso, ma anche, per gli ucraini, una resa di fronte a un nemico in ritirata.
Il calcolo di Mosca dietro la ritirata
D'altro canto, non si deve nemmeno sottovalutare l'ipotesi che questa ritirata e le trincee in Donbass non siano l'anticamera di un negoziato, ma una mossa dovuta a due prese di coscienza: una sull'incapacità di controllare Kherson, l'altra sull'impossibilità di mantenere il territorio orientale senza difendersi da un'altra eventuale controffensiva ucraina. Questo potrebbe voler dire che la Difesa russa non ha affatto perso interesse né verso altri territori del Donbass né verso l'area di Kherson (che ricordiamo però essere stata "annessa" con i referendum farsa). Molti sottolineano anzi il rischio che questi movimenti possano essere semmai una svolta per riorganizzarsi in vista dell'inverno, evitando ora bagni di sangue e provando poi a mettersi nella posizione di colpire gli ucraini tentando una nuova offensiva.
Su questo, gli esperti si dividono. Da Kiev, come detto, non hanno mostrato particolare ottimismo: qualcuno ritiene probabile che molti edifici e strade di Kherson siano stati minati al punto da renderla una "città di morte". L'American Institute for the Study of War, come riporta Adnkronos, ha smentito l'ipotesi della trappola ritenendo che i russi "preferiscono un ritiro organizzato delle truppe invece di cercare di fermare completamente la controffensiva ucraina" e che "il ritiro della Russia dalla sponda occidentale del Dnepr non è certo una trappola mirata ad attirare le truppe ucraine in una difficile battaglia vicino a Kherson". Il generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo del vertice interforze, ha invece detto ad Adnkronos che, tra le varie ipotesi sul ritiro potrebbe anche esserci quella dell'inganno contro gli ucraini. Sarà solo il tempo a dare delle risposte: quello che appare però chiaro è che i russi stiano come costruendo una grande "frontiera" che indica un doppio limite, quello dell'invasione e quello della controffensiva.
Da Mosca continuano a dire che non c'è alcuna "umiliazione" e che quel territorio è parte della Federazione Russia in quanto "questo status è legalmente definito e fissato" e "non ci sono e non possono esserci cambiamenti" spiega Dmitry Peskov. Parole che non aiutano a rispondere alle domande sul significato di queste ulteriori mosse dei comandi russi. Se è solo propaganda, è possibile che la presidenza russa stia cercando di far passare il messaggio che questo cambiamento sia solo una fase per evitare un ulteriore crollo di fiducia nei mezzi dell'Armata (e di consenso per l'invasione). Se invece nasconde una verità, significa che il Cremlino non ha affatto abbandonato i piani per Kherson, allontanando pertanto l'ipotesi di un compromesso.