Sfruttare le caratteristiche degli animali per ottenere vantaggi materiali nei conflitti armati. Oggi se ne parla sempre meno. Si dà per scontato che le guerre siano ormai combattute solo ed esclusivamente da soldati attraverso l’utilizzo di apparecchiature e mezzi sempre più tecnologici. Eppure, accanto a droni, carri armati e missili, possono ancora giocare ruoli fondamentali anche alleati non umani insospettabili.

Cani, gatti, piccioni, asini, cammelli, delfini e pipistrelli: la lista potrebbe essere lunghissima. Più o meno direttamente, nel corso della storia queste e altre specie hanno sempre risposto presente se chiamate in causa, mostrandosi validissime per qualsiasi scenario. Anche per quelli più impervi e proibitivi. Svariate le mansioni svolte: protettori e compagni dei militari, mezzi di trasporto, ricerca e salvataggio, unità mediche, messaggeri e spie insospettabili o anche sabotatori a tradimento.

Sarebbe impossibile affrontare un tema del genere facendo una rassegna storica prendendo in considerazione qualsiasi epoca storica, visto che, soprattutto nei secoli passati, era prassi diffusa affidarsi agli animali (pensiamo ai cavalli utilizzati al posto dei veicoli). A partire dal XX secolo la meccanizzazione e modernizzazione delle forze armate hanno preso il sopravvento, limitando il coinvolgimento delle bestiole nelle campagne militari. Ciò nonostante, esistono ancora casi recenti – seppur limitati – di animali in prima linea, arruolati in missioni delicatissime e fondamentali. Basta dare un’occhiata alla Russia nella guerra in Ucraina.

I delfini nella guerra in Ucraina

I riflettori si sono accesi su questo tema in seguito alla notizia dell’utilizzo dei delfini da parte della Marina russa nell’attuale guerra in Ucraina. E proprio la Russia è uno degli attori che ha più recentemente investito sull’arruolamento di animali in mansioni militari.

Qualche settimana fa, in uno dei suoi aggiornamenti quotidiani di intelligence, il ministero della Difesa britannico spiegava che la Marina militare russa aveva potenziato le difese per proteggere la propria flotta nel porto di Sebastopoli, nel Mar Nero. In che modo? Presumibilmente usando anche i delfini per contrastare l’azione di probabili sommozzatori nemici. Le foto analizzate dagli 007 di Londra mostravano un elevato numero di recinti nei pressi del suddetto scalo.

“Dalle immagini si può vedere che il numero di recinti di mammiferi nel porto è quasi raddoppiato. Molto probabilmente contengono delfini. Nell’Artico, la flotta utilizza anche balene e foche. La Russia utilizza animali addestrati per vari compiti. Quelli di stanza nel porto di Sebastopoli, molto probabilmente sono lì per contrastare i sommozzatori nemici”, si poteva leggere nell’analisi.

Dall’estate del 2022, Mosca ha investito in importanti miglioramenti della sicurezza della base della Flotta del Mar Nero, inclusi almeno quattro strati di reti e sbarramenti all’ingresso del porto. Di recente, queste difese sono state probabilmente incrementate anche da un maggior numero di mammiferi marini addestrati.

Ma, nello specifico, che ruolo possono ricoprire i delfini? Gli animali marini sono addestrati a trovare nuotatori da combattimento e rilevare mine. Possono inoltre indossare un’imbracatura dotata di fotocamera o dispositivi sonar, così da inviare segnali e informazioni chiave ai militari.

Balene e foche

La Marina russa avrebbe utilizzato balene beluga e foche per una serie di missioni nelle acque artiche, dove si sta giocando una partita fondamentale per il controllo di ampie porzioni marittime ricche di risorse strategiche. Pochi giorni fa, le autorità norvegesi hanno raccontato che nel 2019 una balena beluga era stata avvistata per la prima volta nella Norvegia artica. L’animale era munito di quella che sembrava essere un’imbracatura di fabbricazione russa. Da questo particolare, c’è chi ha ipotizzato che la bestiola potesse provenire da una struttura militare di Mosca.

In ogni caso, nel 2016 il ministero della Difesa russo ha cercato di acquistare cinque delfini come parte dei tentativi di rilanciare il suo uso dell’era sovietica dei cetacei altamente intelligenti per compiti militari. Ricordiamo che sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti hanno sfruttato i delfini durante la Guerra Fredda, addestrandoli a rilevare sottomarini, mine e individuare oggetti o individui sospetti vicino a porti e navi.

Un colonnello sovietico in pensione ha raccontato all’Afp che Mosca ha persino addestrato i delfini a piazzare ordigni esplosivi sulle navi nemiche. Sapevano come rilevare siluri abbandonati e navi affondate nel Mar Nero, ha dichiarato Viktor Baranets, che ha affermato di aver assistito all’addestramento militare dei delfini nell’era sovietica e post-sovietica.

Per la cronaca, la Marina degli Stati Uniti ha utilizzato i leoni marini; li ha “schierati” in Bahrain nel 2003 per sostenere l’operazione Enduring Freedom dopo gli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington.

Gli asini spagnoli in Afghanistan

Quarant’anni fa i sovietici usarono asini spagnoli in Afghanistan. Le catene montuose afgane si rivelarono un ostacolo insormontabile all’avanzata sovietica, i cui strateghi decisero di incaricare un gruppo di comunisti andalusi di inviare loro un centinaio di asini maschi tra il 1981 e il 1982 per ottenere i muli che avrebbero necessari per porre fine alla loro guerra contro l’Afghanistan.

Questa storia, ripresa dall’Agi, è stata raccontata a Efe dal leader di quell’operazione, Francisco Gordo, un comunista di 76 anni veterano che è stato segretario dell’organizzazione del Partito comunista di Spagna (Pce) di Camas (Siviglia) 20 anni fa. A quanto pare, i sovietici avrebbero voluto far accoppiare gli asini spagnoli con le giumente per ottenere i muli con cui alleggerire il carico di una guerra che sembrava impantanata e che, in effetti, durò fino a dieci anni.

L’ordine arrivò attraverso il Psuc, un’organizzazione comunista catalana sorella del Pce che nel 1982 era diretta da Gregorio Lòpez Raimundo e alla quale il partito comunista dell’Unione sovietica aveva dato l’incarico per ottenere gli asini. “Non ho detto nulla dei miei viaggi alla ricerca degli asini, neppure a mia moglie”, ha ricordato Francisco Gordo sulle sue gite nelle città di Siviglia, Badajoz, Càceres e Salamanca – “Guijuelo era il posto più lontano che siamo andati a prendere un asino”, ha precisato, mentre chi comprava in Portogallo veniva fatto passare di notte oltre confine per evitare ogni controllo che avrebbe rovinato il trasferimento.

“Facevamo i trasferimenti con un camion che avevamo noleggiato perchè nessuno di noi aveva un mezzo di trasporto adeguato, e quasi sempre mettevamo la benzina di tasca nostra”, ha precisato, per sottolineare che l’operazione è stata effettuata per motivi strettamente ideologici , per obbedienza al partito e in solidarietà con i sovietici. Il Psuc avrebbe inviato circa tre milioni di pesetas per l’acquisto degli asini.

I cani anticarro

Un altro esempio emblematico risale al 1945. Durante la Seconda guerra mondiale, nella battaglia tra la Germania di Adolf Hitler e l’Unione sovietica, tra gli altri stratagemmi adottati i sovietici si affidarono ai cani per colpire il nemico.

Gli animali venivano addestrati per infilarsi sotto i carri armati nemici, con una decina di chilogrammi di tritolo legata al loro colpo. La tecnica era inumana, visto che, a fronte della distruzione del mezzo tedesco, le bestiole erano spesso destinate a morire. Secondo alcune stime, difficili da confermare, in questo modo Mosca avrebbe distrutto centinaia di cingolati rivali.

La strategia era dunque tanto semplice quanto brutale, ma necessaria a causa dell’insufficienza di armi a disposizione dei sovietici. L’idea originale era che questi “soldati a quattro zampe” portassero delle bombe, attaccate al loro corpo per mezzo di un’imbracatura, fino al raggiungimento di obiettivi militari nemici, spesso coincidenti con carri armati. I cani avrebbero quindi dovuto rilasciare gli ordigni tirando un guinzaglio a rilascio automatico e sarebbero tornati indietro, mentre la bomba sarebbe stata fatta esplodere da un telecomando.

Il metodo si rivelò inizialmente inefficace. Gli animali, infatti, si comportavano bene se c’era da prendere in considerazione un solo bersaglio, ma si confondevano se la posizione di quest’ultimo era in movimento. Spesso, inoltre, tornavano indietro senza sganciare la bomba. I sovietici furono così costretti a semplificare il tutto: le bestiole avrebbero continuato a portare le bombe attaccate ai loro corpi fino a raggiungere i bersagli designati. Ma sarebbero esplosi assieme alla bomba.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.