Dichiarando lo stato di guerra Israele, per mezzo del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha di fatto risolto dopo il brutale attacco di Hamas e della Jihad Islamica sul suo territorio la questione politica aperta dalla dura e clamorosa protesta dei riservisti contro la riforma della giudizia del governo nazional-conservatore e identitario guidato dal Likud.

Hamas attacca, in maniera imprevedibile e impetuosa, il territorio israeliano e Tel Aviv chiama la sua riserva alla difesa del Paese. Non esiste più la politica quando c’è lo stato di guerra. “Invito tutti i cittadini a obbedire agli ordini dell’esercito” nelle zone che saranno teatro di operazioni militari, dice Netanyahu. E assieme al dioscuro Itman Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale e falco antipalestinese, convoca una profonda mobilitazione della riserva militare che dovrà contribuire allo sforzo contro i militanti di Gaza.

La democrazia dialoga col pensiero militare, sottolineava l’indimenticato storico Giorgio Galli. Questo è quantomai vero in Israele, Paese dove uomini e donne sono cittadini con diritti e soldati in potenza con doveri al tempo stesso. Anche la più ampia organizzazione di volontari della riserva schierata contro Netanyahu e la sua riforma, “Brothers in Arms“, alla luce degli attacchi ha pubblicato un Tweet inequivocabile. Brothers in Arms “invita tutti coloro che sono tenuti a schierarsi in difesa di Israele senza esitazione e immediatamente. In questo momento la cosa più importante è la sicurezza dei cittadini del Paese”, ha comunicato l’organizzazione che faceva campagna contro la riforma, definita autoritaria, della giustizia. Una scelta di campo inequivocabile e che va oltre le responsabilità politiche degli estremisti del governo Netanyahu nell’alzare i toni con i palestinesi perché in Israele la sicurezza o è collettiva o non è. Ed esiste il vincolo fiduciario tra lo Stato che si sente sotto attacco e chi si impegna, in caso di necessità, a difenderlo sul campo.

Ben-Gvir e il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, lavorano alla mobilitazione dei militari secondo le esigenze delle Israeli Defence Force (Idf) nel contesto della rinnovata risposta agli attacchi palestinesi. Si capisce dunque oggigiorno quanto pesante fosse stata, a luglio, la dimissione di 10mila riservisti dalle forze armate orchestrata da Brothers in Arms: un boicottaggio della capacità di pronta risposta del Paese in tempo di pace per mostrare quanto Netanyahu stesse spaccando Israele. Ma arrivata la guerra, quella vera, non c’è più politica: c’è solo l’obiettivo di difendere il territorio metropolitano. Stop alle mobilitazioni sulla giustizia. Stop all’invito all’uscita in massa dal gruppo. Stop agli attacchi al primo ministro. C’è una guerra da combattere e vincere o comunque una società da tutelare nella sua domanda di sicurezza. Ragion per cui Brothers in Arms ha indorato la pillola del suo interventismo ai suoi iscritti più anti-Netanyahu annunciando come prima mossa un’iniziativa umanitaria a sostegno delle popolazioni colpite dai raid di Hamas, ivi compresa una raccolta di donazioni di sangue.

Ad oggi chi potrebbe essere maggiormente coinvolti sono i riservisti dell’aviazione, che con F-16 e F-35 sta colpendo duramente Gaza in risposta ai raid di Hamas. “Qualcuno sta dietro di te – lo Stato di Israele, è tuo. Non sei solo come mio padre, che ha perso tutta la sua famiglia nell’Olocausto”: così il comandante dell’aeronautica israeliana, il generale Tomer Bar, scrivendo giovedì una toccante lettera in occasione del cinquantesimo anniversario della guerra del Kippur, ha invitato alla concordia, capendo le ragioni delle proteste dei piloti riservisti che non si presentavano alle loro periodiche sessioni di addestramento. La fiducia, per definizione, è una lunga catena composta da maglie. Solo una connessione forte e duratura tra tutti gli anelli della catena garantirà la forza della catena di fiducia”: ebbene, la guerra ha mostrato che il Paese è disposto a accordare fiducia al comandante in capo Netanyahu, almeno per questo conflitto e la sua gestione. Dopo si vedrà. Ma primum vivere: nessuna rottura politica è così insanabile da far venire meno la gerarchia che garantisce la sicurezza di Israele. E che passa anche per il ruolo dei riservisti, già dimostratosi decisivo per il governo a poche ore dagli attacchi palestinesi.

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