Nel bel mezzo di questa strana fase del conflitto in Ucraina, dove si sovrappongono sforzi negoziali e intensificazione dei combattimenti, è ritornato in auge lo spauracchio della cosiddetta “bomba sporca“: un’arma non convenzionale che combina gli esplosivi tradizionali con materiali radioattivi che ha, dunque, un duplice effetto, quello di creare un’esplosione in prima battuta e, in un secondo tempo, creare degli effetti tipici della radioattività. Tuttavia, esattamente come le armi nucleari tradizionali, la bomba sporca ha un effetto ancora più potente degli eventuali danni che provocherebbe: quelli psicologici.
Mosca agita lo spettro della “bomba sporca”
Residuo bellico-e psicologico- della Guerra Fredda, la bomba sporca è un timore sollevato più volte negli ultimi decenni, soprattutto a seguito dello smantellamento del grande arsenale nucleare sovietico che ha generato una diaspora di materiali e informazioni, giunti spesso in mano a gruppi terroristici. Esistono migliaia di sorgenti radioattive “orfane” sparse in tutto il mondo, delle quali circa il 20% può essere classificato come un potenziale problema di alta sicurezza. Si ritiene che in particolare la Russia abbia migliaia di fonti orfane, che sono andate perdute in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Degne di nota sono le sorgenti beta emettitori di stronzio-90, utilizzate come generatori termoelettrici in aree remote della Russia (soprattutto nei fari).
In queste ore è stata Mosca a diffondere la notizia, attraverso un carosello telefonico a firma di Sergei Shoigu, secondo il quale Kiev starebbe progettando una provocazione, utilizzando proprio questo fantomatico ordigno. Non è noto su quali informazioni provenienti dall’intelligence russa possa basarsi l’avvertimento di Shoigu, ma le parole del ministro, bollate subito come fake news “per giustificare il genocidio” dal consigliere di Zelensky, Mykahilo Podolyak, accrescono ulteriormente la tensione. Allerta che è aumentata dalle notizie in arrivo dalla Romania, dove la 101esima divisione aerotrasportata dell’esercito americano è stata dispiegata in Europa per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale.
Quel legame tra Cecenia e presunte “bombe sporche”
Ma perché la “bomba sporca” fa così paura? Gli studi non annoverano la dirty bomb fra le armi di distruzioni di massa, piuttosto preferiscono utilizzare l’espressione weapon of mass disruption, poiché scatenare l’ansia della contaminazione sarebbe uno degli obiettivi principali di chi la sgancerebbe . Secondo le stime della Usa Nuclear Regulatory Commission, le organizzazioni terroristiche sono fortemente interessate all’acquisizione di materiale radioattivo e nucleare da utilizzare negli attacchi. Dall’11 settembre 2001, arresti e procedimenti giudiziari di terroristi hanno rivelato che individui associati ad al-Qaeda progettavano di acquisire materiali per costruire bombe sporche.
Ad oggi non esistono casi accertati di utilizzo di bombe sporche. Tuttavia, dalla fine degli anni Ottanta in poi, la notizia di presunti o sventati attacchi ha spesso agitato gli equilibri internazionali più dell’atomica. La maggior parte di queste notizie giungevano proprio dalla terra di Ramzan Kadyrov, la Cecenia.
Nel novembre 1995, nel primo tentativo in assoluto di terrore radiologico, un gruppo di separatisti ceceni contattò una stazione televisiva russa vantandosi della sua capacità di costruire una bomba radioattiva. I ribelli avvertirono la stampa di aver seppellito un deposito di materiale radiologico nel Parco Ismailovsky di Mosca. Proprio nel punto indicato le autorità ritrovarono un contenitore di cesio parzialmente sepolto. Non sono mai stati identificati né i ceceni che lo nascosero lì né la fonte originaria del cesio.
Nel dicembre 1998, ad Argun, in Cecenia, il capo del servizio di sicurezza ceceno sostenuto dalla Russia, Ibragim Khultygov, annunciò che una squadra del servizio di sicurezza aveva ritrovato un container pieno di materiale radioattivo collegato a una mina nascosta vicino a una linea ferroviaria. La bomba venne disinnescata, ma non vennero identificate le sostanze radioattive coinvolte. Il luogo della scoperta, in un’area suburbana a 10 miglia a est della capitale cecena Grozny, dove era noto che un gruppo ribelle ceceno gestisse un’officina di esplosivi, indusse gli specialisti a sospettare il coinvolgimento dei ribelli ceceni nell’incidente. Shamil Basayev, il leader ribelle che tre anni prima aveva telefonato a Mosca, era il noto capo dell’officina.
Settembre 1999: in quel di Grozny, ladri non identificati tentarono di rubare un contenitore di materiali radioattivi dalla fabbrica chimica Radon Special Combine. Mezz’ora dopo essere stato esposto al container, uno dei sospetti morì mentre il suo complice collassò, sebbene ciascuno avesse tenuto il container solo per pochi minuti mentre cercava di portarlo fuori dalla fabbrica. Il sospetto sopravvissuto venne ricoverato in ospedale in condizioni critiche, ma si riprese e venne posto agli arresti. I funzionari ceceni non discussero mai pubblicamente il suo caso, né identificarono il tipo di radioattività coinvolta nell’incidente, affermando solo che il contenitore conteneva 200 grammi di “elementi radioattivi”.
Perché Mosca agita il fantasma della bomba sporca
Nel novembre del 2002, il capo dell’agenzia di regolamentazione nucleare russa, Yuri Vishnyevsky, annunciò che dagli impianti atomici del Paese mancavano di piccole quantità di materiali nucleari per armi e per reattori. Vishnyevsky non fornì dettagli su quando e come erano scomparsi i materiali, ma affermò che si trattava di uranio. Secondo gli esperti, pochi grammi di uranio per armi non sarebbero sufficienti per realizzare una bomba nucleare efficace, ma potrebbero fornire materiale adeguato per una bomba sporca. Inoltre, piccole quantità di uranio per reattori possono essere arricchite per diventare armi da fuoco attraverso un processo che alcune nazioni “canaglia” possiedono, incluso l’Iraq. Un annuncio del genere nel pieno del primo anno di war on terror, assieme ad una miriade di piccoli ritrovamenti di materiale radioattivo qui e lì negli ex territori dell’Urss, bastò a creare il fantasma della bomba sporca, reso ancora più inquietante dagli evidenti problemi di decadenza della sicurezza russa in materia atomica.
In queste ore Mosca agita questo spettro accusando Kiev. Perché lo fa? Presumibilmente perché, esattamente come altri babau del calibro dell’atomica o la mobilitazione generale, evocano ricordi terribili nel resto dell’Europa. Servono a terrorizzare esattamente come le armi vere. Nulla vieta, infatti, di ipotizzare che Mosca utilizzi lo stratagemma per premere l’acceleratore nei negoziati sotterranei con Washington e instillare nei patron occidentali di Kiev il dubbio sulla condotta ucraina. Così come non è impossibile immaginare l’utilizzo della dirty bomb da parte russa per produrre un attacco false flag che poi dia conferma dei sospetti denunciati da Shoigu. Nella guerra della disinformazione di questi mesi tutto è possibile.
Ad ogni modo, se fabbricare una bomba sporca resta comunque possibile in teoria, la pratica resta alquanto complicata. Restano, infatti, alcune condizioni tecniche fondamentali affinché un ordigno del genere possa essere creato: innanzitutto, la sorgente dovrebbe essere sufficientemente radioattiva per creare danni radiologici diretti; quest’ultima dovrebbe essere trasportabile con una schermatura adatta per proteggere i trasportatori, ma non così tanto da essere troppo pesante da manovrare per mantenere gli spostamenti rapidi e segreti; infine, il materiale dovrebbe essere sufficiente per contaminare efficacemente l’area intorno all’esplosione.
Sebbene gli organismi internazionali come l’Aiea promettono di fare luce sulla vicenda, la dimostrazione dell’uso-come del non uso- delle bombe sporche resta di difficile, se non impossibile, indagine: per sua stessa natura la bomba sporca si nutre di segretezza, traffici, operatori occulti. Nulla di ciò potrà mai venire fuori da indagini ufficiali nonché “autorizzate”. Nel frattempo, però, gli effetti deflagrano lo stesso.