(Da Bruxelles) “Le nostre porte sono aperte per instaurare delle negoziazioni con il governo di Damasco”, dichiara a Gli Occhi della Guerra Sanharib Barsom, co-presidente della Federazione del Nord della Siria.
“Abbiamo sempre cercato una soluzione politica e ora, per evitare ulteriori violenze, Damasco dovrà parlare con noi altrimenti, se attaccati, non esiteremo a difenderci”, ha poi aggiunto il politico che rappresenta i cristiani siriaci nell’organo amministrativo più alto del Nord della Siria.
Con la conquista di Daraa, il governo di Damasco è vicino al ricontrollo effettivo del territorio siriano. La vera incognita rimane però il Nord della Siria che è sotto la guida dell’autoproclamata Federazione Democratica del Nord della Siria, un sistema federale, non riconosciuto ufficialmente da Damasco, che vede curdi, arabi, cristiani siriaci-assiri, turcomanni e yazidi governare una vasta area a est del fiume Eufrate.
“L’amministrazione della Federazione Democratica del Nord della Siria è pronta a incominciare le negoziazioni con il regime di Bashar al Assad ma solo alla presenza di mediatori internazionali e sotto certe condizioni”, è quanto detto anche da Salih Muslim, esponente di spicco del Pyd, il partito curdo dell’Unione Democratica durante un’intervista a Kurdistan24.
Tutto sembra pronto, tanto che lunedì si è anche riunito nella città di Tabqa il Consiglio Democratico Siriano, braccio politico delle Sdf, le forze militari siriane del Nord supportate dagli Stati Uniti, per definire la composizione della delegazione in caso di lancio delle negoziazioni con il governo centrale di Damasco.
Il presidente siriano Bashar al Assad aveva già aperto la porta a possibili negoziazioni con i curdi siriani durante un’intervista a Russia Today per valutare le possibilità di dialogo tra Damasco e Qamishli, la capitale della Federazione. “Prima di tutto cercheremo di instaurare un tavolo per le negoziazioni con le Sdf perché la maggioranza di loro è siriani e presumibilmente la pensano come il resto del paese e non vogliono essere dei burattini in mano a delle potenze straniere”, ha detto il presidente siriano. “Se le negoziazioni non dovessero funzionare allora saremo pronti anche a usare la forza”, ha poi però ribadito Assad.
Nonostante questi segnali di apertura, i rapporti tra governo centrale e i curdi siriani rimangono tesi. Le forze armate del Nord della Siria, le Sdf, sono supportate e addestrate dagli Stati Uniti e nel territorio da loro controllato vi sono contingenti americani e francesi invisi a Damasco e al suo principale alleato, la Russia.
Contrariamente a quanto si pensa, nemmeno i rapporti tra curdi e americani sono idilliaci. Quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel gennaio del 2018 lanciò l’operazione Ramoscello d’Ulivo volta a “liberare il nord della Siria dal controllo curdo” e conquistò il cantone curdo di Afrin, gli Stati Uniti non mossero un dito contro Ankara perché loro alleato nella Nato.

L’unico che si scagliò contro l’invasione dell’integrità del territorio siriano fu proprio Bashar al Assad, facendo diventare il principale nemico statunitense, ossia la Siria di Assad, un alleato dei curdi, che dovrebbero essere il partner principale di Washington sul territorio siriano. Un vero e proprio corto circuito insomma.
Allo scoppio del conflitto, i curdi siriani hanno dichiarato la loro non belligeranza a Damasco e, per tutta la durata della guerra, le forze di Assad hanno sempre tenuto il controllo dell’aeroporto della capitale Qamishli, considerato asset strategico, insieme ad alcuni quartieri e check point in diverse città. Inoltre, nel nome dell’autoproclamata Federazione del Nord della Siria non vi è alcun riferimento al Rojava, come era comunemente chiamata prima, poiché “Rojava” significa “Kurdistan dell’Ovest” implicando l’esistenza di un Kurdistan del Nord e dell’Est (Turchia, Iraq e Iran) e ciò avrebbe potuto anche rilanciare il nazionalismo dei curdi che, seppur predominante, è solo una delle fazioni che compongono l’odierna Federazione.
La coincidenza di tempi tra le dichiarazioni di apertura, la riunione per la composizione della delegazione negoziale curda e il summit tra Trump e Putin a Helsinki, dovrebbero far riflettere. L’intesa tra i due presidenti potrebbe facilitare un accordo tra Assad e curdi evitando l’apertura di un nuovo fronte con uno scontro armato. Scontro che che nessuno vuole in un territorio martoriato e tormentato da sette anni di guerra.