I curdi sono pronti a combattere a Idlib al fianco dell’esercito di Bashar al Assad pur di mettere un freno al potere di Recep Tayyip Erdogan nel nord della Siria. Lo annuncia Reuters, che cita un esponente di spicco delle Sdf, il gruppo armato curdi che controlla gran parte del nord e dell’est del Paese.

Notizia confermata anche dall’agenzia curda Rudaw, che cita direttamente le autorità politiche e militari del Rojava. Secondo le autorità curde, la mossa di unirsi all’esercito siriano nella riconquista di Idlib servirà come carta da giocarsi con Damasco per la liberazione di Afrin.





“Uno dei passi verso la liberazione di Afrin è che dobbiamo fare pressione sulla Turchia e chiedere loro di ritirarsi completamente dal suolo della Siria e in particolare delle nostre terre”. Questo il pensiero di Aldar Khalil, co-presidente dell’organo esecutivo del Movimento del Rojava per una Società Democratica (Tev-Dem).

“Per mandarli via, dobbiamo provare qualsiasi mezzo necessario, siano essi sforzi diplomatici, mezzi militari o attraverso i media”, ha aggiunto il leader curdo. E la sconfitta di Idlib, con la conseguente fine del sogno turco nel nord-ovest della Siira, rientrerebbe in questa strategia. Ma per farlo, occorre prima di tutto l’intesa con il governo.

Da settimane si parla di un avvicinamento tra Damasco e questa minoranza. I nodi da sciogliere sono però ancora molti. E toccano una dimensione non solo nazionale ma anche internazionale. I curdi, infatti, sono stati la longa manus degli Stati Uniti in Siria e sono stati equipaggiati e addestrarsi da diverse potenze internazionali. Per un accordo con Assad servirà dunque un placet internazionale. 

Uno Stato per i curdi?

Contrariamente a quelli iracheni, i curdi siriani non anelano a uno Stato, ma a maggiori autonomie, volte soprattutto a mantenere i traffici economici in mano ai vari clan che nel corso di questa guerra hanno guadagnato sempre più potere.

A lungo cittadini di serie B, ora i curdi possono trattare con Damasco in una posizione se non di forza comunque decisiva. Sono loro, infatti, a controllare la parte a est dell’Eufrate dove sono presenti diversi giacimenti petroliferi in grado, una volta tornati a regime, di produrre parecchi barili al giorno e, quindi, far girare una gran parte dell’economia siriana, fiaccata da sette anni di guerra.

È quindi probabile che i curdi chiederanno autonomia e più libertà economiche piuttosto che l’indipendenza. Sanno che per sopravvivere nel caos mediorientale, gli alleati sono pochi e, come mostrato dagli Stati Uniti, estremamente indecisi. Ilham Ahmed, ufficiale delle Sdf, ha ammesso alla stessa Reuters di non sapere cosa voglia Washington.

Nuovi soldati per Assad

Durante questi sette anni di conflitto, il governo siriano ha spostato i suoi militari da una parte all’altra del Paese per fronteggiare la minaccia dei ribelli e, in particolare, delle fazioni jihadiste. Ma non ha mai colpito direttamente i curdi, né questi ultimi hanno fatto mosse contro Damasco. C’è sempre stato un tacito accordo per rispettare le reciproche aree d’interesse contro un nemico comune: lo Stato islamico.

Per la battaglia di Idlib, che sarà certamente più sanguinosa e drammatica di quella di Aleppo, Assad ha bisogno di nuovi militari. E i curdi sono l’ideale, grazie all’esperienza acquisita sul campo della lotta alle bandiere nere dell’Isis. Hanno imparato a combattere nelle strade delle città e casa per casa, come a Raqqa. Ma, prima di pensare al lato pratico, c’è quello politico. E non è detto che Donald Trump e Vladimir Putin non ne abbiano parlato nel loro incontro a Helsinki.

Già prima del vertice finlandese, si era paventata la possibilità che l’intesa fra Putin e Trump prevedesse il passaggio dei curdi al fianco di Damasco con un accordo che ricalcava quanto avvenuto in Iraq, cioè il riconoscimento delle milizie curde nei ranghi delle forze armate siriane a fine conflitto.

La delegazione dei curdi a Damasco

Per la prima volta dall’inizio del conflitto, una delegazione curda si è recata nella capitale siriana per incontrare i “responsabili della sicurezza del regime” nel quadro di “fitti incontri tra le parti per normalizzare i rapporti e ripristinare le istituzioni del regime”.

L’idea, almeno secondo quanto riporta Shaam, un portale vicino all’opposizione, è quella di arrivare a un accordo pragmatico, che toccherà soprattutto le città di Raqqa e Deir Ezzor. Difficile dire se l’accordo sarà raggiunto in tempi brevi. Quel che è certo è che qualcosa si sta muovendo in Siria. E che i curdi, inizialmente intransigenti nei confronti di Assad, sì stanno dimostrando molto più pragmatici, forse anche in seguito alle operazioni di Ankara nel nord del Paese.

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