Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso in varie occasioni l’apprensione americana di una “inconbente” invasione della Russia in Ucraina, non da ultima la notizia di un possibile attacco per il 16 febbraio. La concentrazione di mezzi e truppe sul fronte occidentale della Federazione e la discreta occupazione della Bielorussia non possono essere ignorate. La loro corposità non può essere minimizzata a semplici manovre d’addestramento/ispezione delle forze armate dell’Unione Statale. Analisti e strateghi americani si cimentano nella difficile arte di delineare i potenziali scenari bellici di una aggressione, data ormai per certa. Tra le analisi pubbliche più esaurienti spicca quella del politologo Seth G. Jones per il Centro per gli studi internazionali e strategici (Csis), che necessita comunque di accorgimenti.



Nel caso in cui la tensione tra Russia e Stati Uniti toccasse il punto di non ritorno (o di accordo segreto), quali sarebbero le porte d’ingresso delle forze armate russe in Ucraina? L’occupazione del vasto paese confinante sarebbe totale o parziale? Secondo gli osservatori americani, i principali scenari bellici sarebbero tre, di intensità crescente.

1. Scenario delle tre C: il fronte meridionale

La prima fase (consenso) è stata portata a termine nella primavera del 2014 con l’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Pur non riconosciuta de jure da gran parte delle nazioni, il ritorno de facto della penisola sotto la sovranità russa è incontestabile. Inglobando la Crimea, la “verticale del potere” ha spiccato cospicui margini politici sia internamente (rally round the flag) sia esternamente (“piedi rossi” compiaciuti). Con l’ininterrotta fortificazione militare successiva alla comparsa dei “piccoli omini verdi”, il Cremlino può contare su una nuova repubblica federale, essenziale per lo sviluppo di tutti gli scenari di conflitto più o meno aperto con l’Ucraina.

La seconda fase (corridoio) ha come scopo principale quello di irrobustire i collegamenti viari tra la Federazione Russa e la sua strategica penisola. La realizzazione del viadotto di Kerch ha ridotto considerevolmente i problemi logistici crimeani, ma nessun beneficio ha portato alle repubbliche separatiste filorusse di Lughansk e Donetsk che necessitano delle strutture portuali sul Mar d’Azov – Mariupol e Berdyansk – per esportare gran parte della propria produzione siderurgica. Occupare la costa settentrionale della piccola appendice marittima sarebbe al contempo una mossa di ausilio del martoriato Donbass, di potenziamento della ritrovata Crimea e di messa in sicurezza dello sbocco eusino della rete fluviale dei “5 Mari”.

La terza fase (consolidamento) è la più rischiosa. Raggiungere militarmente la regione separatista della repubblica Moldova presenta diversi rischi dovuti all’emarginazione logistica della stessa. La Transnistria non ha né sbocchi sul mare né collegamenti aerei di linea con l’esterno. Qualsiasi azione di intervento repentino, volto a rompere l’isolamento di Tiraspol, richiederebbe forzature militari prive di consistenti preposizionamenti di truppe e mezzi nel piccolo avamposto filorusso. Sulla propria strada l’esercito russo troverebbe la ferrea difesa ucraina della russofona Odessa, città portuale essenziale per l’accesso al mare dell’Ucraina.

Il raggiungimento delle tre C (consenso, corridoio, consolidamento) comporterebbe la realizzazione della quarta (controllo). Il controllo monopolistico del Mar Nero passa dal dominio indiscusso della sua costa settentrionale. Raggiungere la sponda sinistra del fiume Nistru/Dnestr significherebbe replicare la dottrina settecentesca del generalissimo Alexander Suvorov, che ivi aveva individuato il confine naturale dell’Impero zarista e del mondo russo più in generale. La studiata concatenazione di obiettivi (4C) vanta forti aspirazioni geoeconomiche.

2. Scenario delle tre S: il fronte orientale

La prima fase (sovversione) sarebbe funzionale al contenimento di ogni rischio maggiore, mediante il rovesciamento militare dei decisori politici di Kiev. L’occupazione della capitale, che dista solo un centinaio di chilometri dal confine bielorusso, mutilerebbe gran parte delle operazioni belliche di resistenza ucraine. Un esecutivo filorusso contribuirebbe a organizzare un’occupazione indolore da parte delle superiori forze armate russe. Non deve stupire che gli alti comandi moscoviti stiano ammassando mezzi e truppe militari in gran quantità a Gomel e Rechytsa (sud-est della Bielorussia), nonostante siano aree escluse dalle imminenti esercitazioni congiunte di Russia e Bielorussia Union Resolve. Seguendo il tracciato stradale E95, o addirittura attraversando la zona radioattiva “proibita” di Chernobyl, gli eserciti di Mosca e Minsk potrebbero raggiungere Kiev in poche ore.

La seconda fase (sbarramento) consisterebbe nella forte spinta est-ovest della fanteria meccanizzata russa per attestare le difese e un nuovo confine federale sulla sponda sinistra del fiume Dnepr. Il lungo e ampio corso del Boristene si presta infatti a essere un ottimo confine naturale, riducendo costi e risorse per la sorveglianza doganale e militare. Il trasferimento di autocisterne e logistica tubolare – rapidamente assemblabile per il rifornimento a distanza di carri armati e blindati avanzati – è segno che Mosca vuole tenere aperta l’opzione bellica a ventaglio lungo tutto il fronte est dell’Ucraina. Il trasferimento verso il krai di Krasnodar delle truppe paramilitari del leader ceceno Ramzan Kadyrov, come il famigerato battaglione “Sever”, servirebbe a meglio sostenere le fasi di guerriglia del conflitto. L’uomo forte di Groznyj ha già anticipato a più riprese la disponibilità a combattere in e per l’Ucraina: “È la nostra gente, è la nostra terra. Dopo la Crimea io sarei andato a Kiev, perché finché sarà indipendente l’Occidente avrà una piattaforma per minacciarci. Sono sicuro che il presidente non lo permetterà. Noi siamo la sua fanteria e siamo pronti a marciare”.

Mappa di Alberto Bellotto

La terza fase (soluzione) rappresenterebbe la fine delle sofferenze idriche dell’assetata Crimea, penisola priva di sorgenti. La chiusura dei rubinetti dell’invaso di Kakhovka (oblast’ di Kherson) da parte di Kiev ha comportato il prosciugamento di gran parte dei canali idrici secondari, inaridendo i terreni e danneggiando la produzione agricola della bella regione annessa, vanto delle politiche di Putin. La conquista del tratto finale del grande fiume risolverebbe d’un colpo il gravissimo problema dell’approvvigionamento di acqua dolce e dei correlati danni ambientali.

Il conseguimento delle tre S (sovversione, sbarramento, soluzione) consentirebbe l’attuazione della quarta (sicurezza). La sicurezza territoriale della Federazione Russa si attesterebbe efficacemente lungo le sponde orientali del grande corso d’acqua, che taglia da nord a sud l’Ucraina bagnando la capitale stessa. La sciente sequenza dei fini (4S) consegue decise ambizioni geostrategiche.



3. Scenario delle tre F: il fronte occidentale

La prima fase (fratellanza) costituisce da sola l’intera realizzazione del secondo scenario; ovvero l’estensione del dominio diretto moscovita sulle regioni orientali dell’Ucraina, quelle più legate culturalmente e linguisticamente alla “Grande madre” Russia. Mosca può sperare di incontrare qui una resistenza popolare ridotta o addirittura l’intima e diffusa speranza di buona riuscita dell’operazione di annessione. Per i russofoni del Donbass, l’estensione del conflitto mediante intervento diretto della Russia rappresenterebbe un allentamento delle tensioni politico-militari sui capoluoghi Lughansk e Donetsk. Spostare la linea di contatto sul Dnepr significherebbe per loro tornare a respirare aria di (quasi) pace. La risposta positiva dei costituzionalisti di Mosca sulla possibilità di arruolamento nell’esercito russo dei (molti) residenti delle repubbliche separatiste in possesso di passaporto russo è un’ulteriore leva politico-militare nelle mani del Cremlino.

La seconda fase (frazionamento) è la più delicata di questo ambizioso scenario. Muovendo nel cuore ucrainofono dell’ex paese sovietico, le forze russe e bielorusse potrebbero incontrare maggiore resistenza popolare, nonostante il generico disincanto di un sostegno militare esterno. Secondo i calcoli di Mosca, gran parte dei cittadini – già provati dalla crisi economica (nel 2013 si viveva mediamente meglio che nel 2022) – rinuncerebbe semplicemente a combattere. Secondo un recente sondaggio dell’Istituto internazionale di Sociologia di Kiev solo il 50,2% della popolazione sarebbe disposta a reagire in caso di invasione russa e solo il 33,3% sarebbe disposta a imbracciare le armi (il resto della metà russofoba si limiterebbe a pacifiche contestazioni di piazza). Questo scenario prevede l’occupazione della città portuale “russa” di Odessa, riscontrando ragionevole simpatia dei cittadini; ma anche la conquista degli importanti snodi viari di Vinnytsia (Podolia), Rivne e Kovel (Volinia) a ridosso dell’istmo d’Europa. Non proseguendo oltre, il Cremlino spaccherebbe in due il nocciolo duro dell’Ucraina più nazionalista.

Mappa di Alberto Bellotto

La terza fase (furbizia) è al contempo lo stadio più ingannevole e più rispettoso del confronto sovraordinato fra Russia e Stati Uniti. Escludendo scientemente l’occupazione dei territori più orientali dell’Ucraina, La Russia spera di generare fratture nel blocco euroatlantico o, addirittura, di spingere l’Occidente all’involontaria complicità dell’occupante. Ad esempio, la Romania sarebbe costretta ipso facto a “invadere” il Budjak (Vecchia Bessarabia) allo scopo giustificato di tenere a distanza le minacciose truppe russe dal delta del Danubio e dalla infausta “porta di Focșani“, risvegliando però gli attriti mai sopiti tra Bucarest e Kiev. Ecco perché quasi certamente l’esercito russo si fermerebbe sulla sponda sinistra del fiume Nistru/Dnestr, ignorando la piccola ed etnicamente parcellizzata appendice ucraina. Medesime forzature securitarie verrebbero ragionevolmente applicate in modo concordato dalla Polonia verso l’oblast’ di Leopoli e da Ungheria/Slovacchia in Transcarpazia. L’ultimo dei pensieri russi poi è di andare allo scontro frontale con gli Stati Uniti, che a Yavoriv (Leopoli) sono presenti con istruttori militari. Meglio tenere sotto scacco il centro di addestramento Nato – che giace in un punto mediano dell’asse Danzica-Costanza – con l’efficiente missilistica tattica.

Il conseguimento delle tre F (fratellanza, frazionamento, furbizia) implicherebbe la concretizzazione della quarta (fissazione). La fissazione di una linea rossa invalicabile tra Occidente e Russkij Mir sulla retta più breve (e quindi efficiente) tra Baltico e Mar Nero è l’intimo desiderio dei notabili moscoviti. Ma soprattutto, il Cremlino vuole mostrare alla Casa Bianca l’intenzione di non superare a ovest la “linea rossa” ideale tacitamente concordata dagli apparati delle due superpotenze nucleari, ovvero l’asse Kaliningrad-Tiraspol. La mirata progressione degli obiettivi (4F) cela forti mire geoculturali.

Casus belli in cantiere

Per praticare una vasta azione bellica contro l’Ucraina, al Cremlino manca la cosa più importante: un valido casus belli. Ma nelle stanze moscovite non mancano né l’inventiva né il senso dell’ironia. Costruire un pretesto legittimante si può: basta prendere spunto dalle modalità impiegate dagli Stati Uniti per giustificare diversi interventi militari all’estero (es. Iraq), ricordando costantemente alla controparte americana i suoi errori passati. Quod licet Iovi non licet bovi?

Insinuare il sospetto impiego di armi chimiche (che uccidono tanto quanto quelle tradizionali) contro i residenti del Donbass possessori di passaporto russo potrebbe “costringere” Mosca all’intervento difensivo al di fuori dei confini federali, in ottemperanza ai dettami costituzionali. Per Vladimir Putin e i suoi siloviki, la nazione non è un’espressione geografica ma geopolitica: la Russia è dove ci sono i russi. E in Ucraina ne vivono parecchi, con o senza documentazione ufficiale.

Anche per questo il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky si sta smarcando dagli annunci occidentali (“non creare panico“) e sta compiendo una tardiva inversione a U rispetto alla dialettica battagliera da egli stesso adottata fino a qualche settimana prima. È “necessario ripristinare il dialogo” (formato di Normandia) e accantonare l’idea di riprendere con la forza Crimea e Donbass. Il nuovo atteggiamento ha generato appariscenti proteste tra alcuni deputati della Verkhovna Rada, che ostentando le bandiere dei partner occidentali più solidali con Kiev hanno denunciato in inglese l’invasione russa e lanciato un intrinseco messaggio al “Servo del popolo“: non smarcarti dalla superpotenza a stelle e strisce.