Status neutrale dell’Ucraina, eventuale adesione all’Unione europea, assoluta non adesione alla Nato. Se su questi punti sembra che le delegazioni russe e ucraine siano sostanzialmente d’accordo, e che da qui le due parti possano instaurare un dialogo concreto volto alla fine delle ostilità, restano tuttavia ancora delle zone d’ombra sulle quali vale la pena accendere i riflettori. Più che altro per capire come faranno Kiev e Mosca a raggiungere un compromesso con nodi spinosi del genere tra le mani. Ci riferiamo alla Crimea al Donbass e, più in generale, alla questione territoriale dell’Ucraina.

Ragioniamo per ipotesi: nel migliore dei casi, ovvero fumata bianca ai negoziati, si presume che la Federazione russa ritiri il proprio esercito dal territorio ucraino. Questo significa che le forze del Cremlino dovrebbero abbandonare le posizioni che, talvolta anche a fatica, hanno conquistato dallo scorso 24 febbraio in poi. Comprese le zone sotto assedio, come Mariupol, e pure quelle considerate come imminenti prede, vedi Odessa. In altre parole, la Russia si ritroverebbe ad abbandonare l’unica sostanziale striscia di territorio occupata dall’inizio dell’”operazione militare speciale”, e cioè la fascia costiera lungo il Mar Nero.



Il primo nodo: il ritiro di Mosca

È vero che l’Ucraina garantirebbe a Mosca due condizioni gradite al Cremlino (neutralità e niente ingresso nella Nato), ma al tempo stesso, la Russia dovrebbe di fatto ritirarsi dal terreno di battaglia fino a veder evaporare le posizioni strappate a Kiev nel corso del conflitto. Detto altrimenti, Putin tornerebbe alla situazione precedente al 24 febbraio, restando con in mano Crimea e una parte del Donbass.

Due territori ambiti, che potrebbero essere riconosciuti indipendenti o essere inglobati nella Federazione russa ma che, di certo, non valgono le risorse impiegate nell’ultimo mese di guerra. Senza contare, inoltre, le vittime registrate che, secondo alcune stime, potrebbero superare le diecimila unità. I russi libererebbero davvero le aree conquistate?

Il secondo nodo: la reazione degli ucraini

Allo stesso tempo è lecito interrogarsi sulla reazione di Kiev (non solo del governo, ma anche dell’Ucraina più profonda, popolare e nazionalista) di fronte all’eventuale occupazione russa di Crimea e Donbass. Ricordiamo, infatti, che l’Ucraina non ha mai riconosciuto l’annessione russa per nessuno dei due territori.

Nel caso di una fumata bianca con i termini sopra esposti, Volodymyr Zelensky si impegnerebbe probabilmente a non riconquistare con la forza Crimea e Donbass, ma difficilmente ne riconoscerebbe l’annessione. Per non parlare, poi, dei nazionalisti ucraini mobilitati per arginare l’avanzata delle forze del Cremlino: saranno disposti – pensiamo al Battaglione Azov e ad altri reparti simili, ferventi nazionalisti – a lasciare a terra le armi concedendo, in pratica, due territori – dal loro punto di vista interamente ucraini – a Mosca?

Anche perché il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha ribadito che la Crimea è un territorio della Federazione Russa e che la Costituzione russa esclude qualsiasi discussone sul futuro di un territorio russo. “La Crimea fa parte della Federazione Russa. E secondo la nostra costituzione, non possiamo discutere con nessuno del futuro del territorio della Federazione Russa, del futuro delle regioni russe. È escluso. Ed è ciò che dice la nostra costituzione”, ha tuonato Peskov.

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