Chiuso il lungo capitolo della Guerra Fredda che poteva deflagrare in Europa, negli ultimi anni si è aperta la stagione della contrapposizione tra Cina e Stati Uniti. Giornalisti e analisti si sono interrogati se il nuovo secolo verrà segnato come il precedente dalla battaglia a distanza fra potenze. E se (e come) questa battaglia possa ad un certo punto deflagrare, magari con un violento e complesso scontro nel Pacifico.
Con la presidenza di Donald Trump, Washington ha aumentato la pressione su Pechino in modo sempre più forte. Dalla decisione di definire la Repubblica popolare come un rivale sistemico nella National Security Strategy del 2017, alle successive guerre su dazi e tecnologia, più di qualcuno ha parlato di nuova Guerra Fredda. L’analogia regge solo fino a un certo punto dato che la Repubblica popolare di oggi è molto diversa dall’Urss del ‘900, ma il gelo diplomatico tra i due Paesi resta e difficilmente verrà dissipato nei prossimi mesi.
Negli ultimi anni, in particolare dopo l’ascesa di Xi Jinping, Pechino ha spinto l’acceleratore non solo sul piano tecnologico ma anche su quello militare, una mossa che ha alterato in modo decisivo gli equilibri di potere sulla direttrice Washington- Pechino.
Per questo molti analisti sono convinti che se dovesse scoppiare una guerra il terreno di scontro sarebbe il Pacifico. Come ha evidenziato il Financial Times la marina della Repubblica popolare ha ora più navi di quella americana (350 a 293) e molte di queste possono essere concentrate nel nei settori occidentali. Non solo. Nel corso degli anni la Cina ha migliorato e implementato il suo arsenale missilistico e difensivo al punto da poter essere una minaccia credibile per navi e portaerei americane nell’area e in generale per le operazioni statunitensi in tutta la zona.
A questo punto la vera incognita non è tanto stabilire il luogo in cui potrebbero esplodere le tensioni tra le due superpotenze, ma quale potrebbe essere la linea del fronte. Sì, perché non è affatto detto che gli scontri avvengano nei pressi delle coste cinesi. Nel mirino finirebbero alcuni dei centri nevralgici americani dell’area come ad esempio l’isola di Guam.
Cos’è e come funziona l’A2/AD
La Cina negli ultimi anni ha migliorato la sua strategia di Anti-Access/Area Denial (A2/AD), ovvero un’insieme di armamenti e meccanismi per negare la libertà di movimento all’avversario sul campo di battaglia. In pratica creando delle bolle sicure che impediscano agli americani di intervenire. Normalmente questa strategia è divisa in due componenti. La prima è l’anti accesso, cioè l’ingresso del nemico in un’area di operazioni, e viene garantita con aerei d’attacco, navi da guerra e l’artiglieria con missili balisti e da crociera. La seconda, la “negazione” dell’area – che prevede di negare a forze ostili l’accesso ad aree sotto controllo amico – viene realizzata con mezzi protettivi come la difesa aerea o marittima.
Oggi l’A2/AD cinese è concentrata prevalentemente in due fasce, nei pressi del Mar Cinese Orientale e più a Sud verso il Mar Cinese Meridionale. A inizio settembre il dipartimento della Difesa Usa ha pubblicato il dossier annuale per il Congresso che analizza nel dettaglio forze e strategie dell’esercito di liberazione popolare.
Uno dei passaggi del documento è dedicato in particolare a definire come la Cina abbia migliorato la sua A2/AD lungo la cosiddetta catena delle prime isole, quella che idealmente collega il Giappone a Taiwan e prosegue lungo le Filippine occidentali e arriva al Borneo. Nella fascia che va dalla costa cinese a questa linea, scrive il Pentagono, la Cina ha costruito un muro difficile da penetrare.
Nel dossier vengono poi elencati i mattoni di questa punto per punto. “La modernizzazione militare”, si legge nel testo, «ha portato a una profonda trasformazione della forza missilistica dell’esercito cinese». Questa trasformazione fa si che le basi americane in Giappone siano sempre più sotto tiro da parte di LAC, missili per obiettivi terrestri lanciati da mezzi navali, MRBM, missili di medio raggio e vettori di raggio intermedio come il DF-26. Non solo. Altri LAC possono essere lanciati da bombardieri H-6K capaci di raggiungere Guam.
A garantire la struttura A2/AD ci pensa anche il sistema di difesa missilistico sviluppato in modo attivo dal 2016. Ad esempio l’intercettore HQ-19, secondo quanto dichiarato dalle autorità della Repubblica popolare, sarebbe in grado di difendere attacchi contro missili balistici con gittata superiore ai 3mila chilometri. In più, sempre secondo informazioni cinesi, a dare manforte al sistema ci sono due sistemi radar, il JY-27A e il JL-1A (secondo i cinesi capace di intercettare anche più missili) che aiuterebbero i sistemi di difesa nelle operazioni di aggancio del bersaglio.
All’interno dei dispositivi di protezione un ruolo importante è giocato anche dal comparto della difesa aerea. Tutto il paese, scrive ancora il Pentagono, ha una vasta architettura IDAS, cioè un sistema integrato di difesa aerea dispiegato su tutta la costa e composto da vari elementi. Il primo è quello dei sistemi SAM, cioè missili per il contrasto di velivoli nemici. Tra questi la Cina schiera diversi pezzi, dal proprio CSA-9 ai russi S-300 (nelle varianti P e PMU-1) e S-400.
Il secondo elemento è quello della rete radar. Le forze cinesi hanno schierato una notevole varietà di sistemi di tracciamento a lungo raggio. I materiali informativi forniti dalle aziende cinesi sostengono che questi sistemi sono in grado di individuare sia missili balistici che velivoli, ma anche attacchi aerei a lungo raggio. La copertura può essere poi estesa anche grazie ai mezzi di preallarme come il KJ-2000 e il KJ-500.
Il terzo punto della difesa aerea è direttamente collegato alle operazioni dell’aeronautica cinese. Presto sui cieli della Repubblica popolare dovrebbero alzarsi i caccia di quinta generazione che andrebbero ad aggiungersi a quelli della quarta come i russi Su-27 e Su-30 e i cinesi J-10, J-16, J-20 e J-31.
C’è poi un ultimo ma importante tassello: le forze marittime. La Cina, sottolinea ancora il dipartimento della Difesa, ha lavorato per aumentare capacità della sua marina nella fascia interna alla prima catena di isole. Questo incremento è dovuto in particolare a un ampio assortimento di missili antinave come il CSS-5 progettato per tenere sotto tiro le portaerei nemiche con una gittata di 1.500km. Pechino ha investito molto anche sui sommergibili, ma pare che per il momento manchino le capacità per condurre operazioni di guerra in acque profonde.
Limiti e usi della bolla cinese
Questi elenchi forse non rendono l’idea di come operativamente la Cina possa bloccare o rendere più difficile gli interventi americani. Paradossalmente analizzando i limiti di uno dei tanti vettori in dotazione alle forze armate cinesi si può capire meglio lo scenario. Defence News in particolare ha analizzato i limiti del vettore DF-21D, pensato per colpire navi in movimento come le portaerei americane, spiegando che non sarebbe mai stato testato su bersagli mobili, di fatto rendendo incerta la possibile capacità di colpire un mezzo americano che viaggia a oltre 30 nodi.
Nonostante questo il missile e la rete difensiva crea le condizioni ideali per sorvegliare e migliorare la deterrenza che eviti l’accesso di nemici in settori molto delicati, creando bolle difensive in alcune strozzature marittime, come lo stretto di Miyako tra l’isola giapponese di Okinawa (ove c’è una base americana) e Taiwan, e il canale di Bashi, che collega Formosa con le Filippine. Due stretti passaggi fondamentali per la Cina perché cerniere tra l’Oceano Pacifico e il Mar cinese Occidentale e Meridionale.
L’A2/AD garantito da queste bolle permette anche di colpire un elemento chiave della potenza militare americana, la logistica. La deterrenza costringerebbe infatti a restare a distanza i gruppi di attacco delle portaerei e quindi a limitare il raggio di azione dei velivoli a bordo, che non potrebbero neanche godere dell’appoggio dei mezzi di rifornimento.
Il nodo del Mar Cinese meridionale
La preoccupazione americana riguarda soprattutto la possibile espansione di queste bolle. Non a caso a inizio ottobre il segretario di Stato Mike Pompeo era volato in Asia per una un viaggio diplomatico poi ridotto per la positività del presidente Trump al coronavirus. In più nel corso dell’estate le esercitazioni americane avevano portato nell’area diverse portaerei. Nel dossier del Pentagono le preoccupazioni sono concentrate in particolare su due punti.
La prima sul fatto che la Cina sta lavorando per allargare le sue bolle insidiando anche la fascia delle seconde isole, quella che parte dal Giappone, piega verso Guam e chiude verso le isole dell’Indonesia orientale.
La seconda è invece legata alle caldissime acque del Mar Cinese meridionale. Qui le forze armate cinesi hanno piazzato radar e sistemi di difesa in molte delle isole artificiali cercando così di blindare ancora di più le acque contese.
Per il momento gli atti di navigazione libera rivendicati dagli americani procedono (proprio a metà ottobre è previsto un nuovo passaggio del gruppo di attacco della Uss Ronald Reagan), ma l’assertività cinese resta massima. In particolare quest’anno non sono mancati atti violenti e intimidazioni contro imbarcazioni dei paesi vicini come pescherecci vietnamiti o navi malesi. Per non parlare delle flottiglie di pescherecci cinesi che si aggirano intorno a isole rivendicate da Manila.
Qualche mese fa era spuntata l’ipotesi che la Cina potesse creare una Adiz sopra il Mar Cinese Meridionale. L’Adiz è una “zona di identificazione della difesa aerea”, in pratica un Paese che la rivendica chiede particolari regole di movimento agli aerei che si avvicinano allo spazio, come ad esempio comunicare via radio rotta e destinazione.
Come scritto dall’Economist questa Adiz verrebbe garantita dai sistemi radar presenti sull’isola di Hainan, lungo la costa meridionale e grazie agli impianti piazzati sulle isole Spratlys e Paracels. L’Adiz di base non implica sovranità sullo spazio aereo, ma permette di influenzare parte del traffico e soprattutto, se non fosse osteggiata da Usa e Paesi limitrofi, darebbe spazio di manovra all’aviazione cinese per ammassare mezzi e velivoli nell’area. Per ora le rivendicazioni restano vaghe ma l’eventuale nascita di un’Adiz rappresenterebbe un assaggio di cosa significherebbe estendere e migliorare l’A2/Ad in quest’area.