Oggi percorrere l’autostrada tra Damasco e Aleppo è possibile. Fino a pochi anni fa non era affatto scontato. Anzi, per andare da un punto all’altro della Siria occorreva passare tra deviazioni, posti di blocco, strade interne impervie, addirittura tra il 2012 e il 2013 le due principali città erano raggiungibili solo per via aerea e non più terrestre. Il “termometro” della guerra civile scoppiata nel marzo 2011 è dato proprio dall’autostrada M5, la più importante e la vera spina dorsale del Paese. Potersi muovere vuol dire per un siriano oggi avere la possibilità di evadere dai quartieri in cui per anni è stato confinato per via dei combattimenti. Una “quasi normalità” che però non deve illudere: il conflitto non è affatto finito.
In Siria la guerra è ancora purtroppo ben presente. E non soltanto perché si sta continuando a sparare, ma anche perché l’isolamento internazionale, le sanzioni e le misure attuate nei confronti di Damasco stanno rendendo difficile la ricostruzione. Per cui si muore per ordigni non rimossi dalle strade, per mancanza di medicine e di cure adeguate oppure ancora per il freddo patito da chi non ha più una casa. In Siria l’inferno non è finito, ma del conflitto si parla sempre meno. E questo ne fa uno dei (tanti) tra i più dimenticati a livello internazionale.
Dove ancora si combatte
Ci sono almeno tre aree di grande tensione nel Paese. La prima si trova nella parte nord occidentale, corrispondente a poco più della metà del territorio della provincia di Idlib. Il capoluogo dal marzo del 2015 è controllato dalle milizie legate soprattutto all’ex Fronte Al Nusra, oggi conosciuto con il nome di Tahrir Al Sham. Si tratta della costola siriana di Al Qaeda, fondata e guidata da Al Jawlani. Quest’ultimo ha creato un vero e proprio piccolo emirato e attualmente Idlib è l’unico capoluogo di provincia totalmente fuori dal controllo del governo di Damasco presieduto da Bashar Al Assad. Gli ultimi grandi combattimenti nella regione si sono avuti nel gennaio del 2020, con l’esercito siriano in grado di riconquistare la strategica città di Saraqib e di mettere in sicurezza l’autostrada M5. Da quel momento in poi la principale arteria del Paese ha ripreso a funzionare e il conflitto si è spostato sempre più nella parte interna della provincia di Idlib. Attualmente qui vice un cessate il fuoco mediato da Russia e Turchia. La prima dal 2015 è scesa direttamente in campo per sostenere Assad, Ankara invece è sponsor di molti gruppi che controllano Idlib. L’accordo, firmato nel marzo 2020 a Sochi, prevede pattugliamenti congiunti russo-turchi lungo le linee di contatto e la possibilità per l’esercito siriano di spingersi unicamente fino al confine segnato dall’autostrada M4, altra grande arteria del Paese.
C’è poi il fronte relativo alla grande campagna di Homs. Le offensive governative, coadiuvate dai russi, tra il 2015 e il 2017 hanno permesso a Damasco di riprendere un vasto territorio desertico in mano all’Isis. Tuttavia diverse cellule jihadiste sono ancora attive e nascoste tra grotte e località difficili da espugnare nel cuore delle zone rurali a est di Homs. Negli ultimi mesi decine di soldati siriani sono morti a causa di imboscate e di azioni da parte dell’Isis. Damasco, supportata sempre da Mosca, fatica a mantenere ben saldo il controllo del territorio, nonostante alcuni progressi fatti nella lotta contro le ultime cellule jihadiste.
Infine c’è forse quello che attualmente è il fronte più caldo. Nel nord della Siria si vive, da diversi mesi a questa parte, con lo spettro di una nuova azione turca contro i curdi dell’Sdf. Questi ultimi controllano vaste aree settentrionali del Paese e gran parte della Siria orientale. Si tratta di zone confinanti con la Turchia, con il presidente Erdogan timoroso di contatti diretti tra i curdi siriani e quelli turchi. Per Ankara le forze Sdf, nonostante abbiano preso possesso di questa parte di Siria avanzando contro l’Isis negli anni precedenti, sono da considerarsi alla stregua dei gruppi terroristici. Dopo le operazioni del 2016, del 2018 e del 2019, Erdogan sarebbe pronto a inviare truppe e milizie a sé fedeli nelle zone di Jarabulus, Tal Rifat, Manbij e Ayn Isa. Da settimane si registrano colpi di artiglieria lanciati dalla Turchia o dalle zone controllate da gruppi filoturchi.
Le trattative tra Erdogan e Assad
La Siria da alcuni anni è divisa sostanzialmente in diverse aree di influenza. Lì dove l’esercito e il governo hanno nuovamente preso il controllo, allontanando gruppi di opposizione e cellule jihadiste, corrisponde all’area di influenza russa. Mosca, come detto, è diretta alleata di Damasco e ha permesso ad Assad di riprendere il controllo di quasi tutte le principali città. Da non trascurare poi, nei territori in mano al governo, la presenza iraniana. Teheran negli anni ha fornito mezzi e soldati ai siriani e sono ancora oggi presenti in alcune basi. A est dell’Eufrate vi è invece l’area filo Usa, con Washington presente soprattutto grazie al supporto dato alle forze Sdf in funzione anti Isis. Infine, nei territori di Idlib e del nord della provincia di Aleppo in mano ai miliziani islamisti l’influenza è turca.
Ricomporre il mosaico siriano non è quindi affatto semplice. Occorre la volontà politica di trovare un accordo tanto interno alla Siria, quanto tra le forze internazionali presenti. Una novità nelle ultime settimane è arrivata dalla possibilità di un incontro tra Bashar Al Assad ed Erdogan. Quest’ultimo dal 2011 non intrattiene più rapporti con il governo siriano e negli anni ha finanziato gruppi di opposizione, soprattutto di ispirazione islamista. Dal 2016 tuttavia, dall’anno in cui cioè Ankara ha migliorato le relazioni con Mosca, la Turchia ha in qualche modo preso atto della permanenza di Assad a Damasco. In cambio però ha avuto via libera dal Cremlino per le operazioni anti curde portate avanti nel nord del Paese.
Un ritorno di normali relazioni tra Siria e Turchia aprirebbe la strada a novità importanti in prospettiva futura. Dallo stop a nuove azioni contro l’Sdf a intese più specifiche e mirate sullo status di Idlib e delle zone occupate dalle milizie pro Ankara, potrebbero essere molti i punti su cui potrebbero arrivare nuovi importanti accordi. Nei mesi scorsi, Damasco ha già parzialmente normalizzato i rapporti con gli Emirati Arabi Uniti e con la Giordania.
Lo spettro delle sanzioni
Sono proprio i rapporti internazionali della Siria oggi a rappresentare la principale preoccupazione per il governo di Damasco. Se il conflitto può essere infatti ritenuto “a bassa intensità”, tuttavia l’isolamento e le sanzioni oggi continuano a rendere la guerra molto percepita tra la popolazione. L’Unione Europea ad esempio ha continuato a rinnovare anno per anno le misure contro il governo di Assad. Circostanza criticata anche da diverse associazioni umanitarie, in quanto impedisce a Damasco di rifornirsi di molti generi di prima necessità, quali tra tutti le medicine per gli ospedali. In questa maniera poi la società siriana stenta a rialzarsi. Diminuita l’intensità della guerra, il rischio ora è che le tensioni sociali tornino a mettere a ferro e fuoco il Paese. Senza commerci, senza introiti e con lo spettro delle sanzioni, in Siria non è possibile avviare una seria opera di ricostruzione.
La vita di oggi nelle principali città siriane
L’unico elemento realmente nuovo nella realtà siriana riguarda la percezione della sicurezza. Oggi è possibile attraversare le autostrade principali, recarsi da una città all’altra, così come passeggiare nelle metropoli senza lo spauracchio di missili e colpi di artiglieria pesante. Damasco, Aleppo, Homs e altre grandi località siriane non hanno più trincee e filo spinato in pieno centro o nel bel mezzo di quartieri popolari. La guerra si è combattuta casa per casa nei momenti più difficili e cruenti, la vita per diversi anni è stata di fatto interrotta.
Oggi però, per i motivi elencati prima, non è del tutto ripartita. Non ci sono abbastanza soldi per ricostruire tutte le abitazioni, per ridare linfa a un’economia disastrata e per far tornare la Siria un Paese normale. Mentre il mondo si è dimenticato di questa guerra, la gente continua a scappare oppure a sopravvivere senza reddito e senza prospettive. Il confitto oramai ha superato il decennio di vita. E senza una soluzione la Siria è destinata al fallimento.