“Avanti, avanti, avanti!”. Sono le uniche parole che escono dalle bocche degli allievi lagunari, mentre portano qualcosa che ha dell’incredibile. A guardare la scena pare di essere su un altro pianeta: un barcone trasportato a spalla. Un lavoro da uomini…e da donne, dato che fra gli allievi del corso anfibio ci sono ragazze, che condividono con i “fratelli” maschi gioie e oneri di un addestramento che non eguali nell’Esercito. Quattro settimane di “Percorsi anfibi” che seguono il già duro mese nel quale alla formazione tecnica in aula si è affiancato un intenso allenamento fisico. E osservando cosa si portano a spasso, si può immaginare quale centralità abbia la preparazione atletica per un lagunare.
Trattandosi di un gommone, dimensioni e peso potrebbero trarre in inganno, facendolo apparire come più leggero. A svelare i numeri dello scafo è Andrea Salmaso, caporal maggiore scelto da dieci anni nella specialità anfibia: “Si chiama Zodiac e pesa all’incirca 160 kg. Non va dimenticato, poi, che i corsisti devono sostenere anche il peso dell’equipaggiamento: zaino, armi, jacket. Insomma, una bella prova di resistenza alla fatica!”. Che, in altre parole, vuol dire almeno 30 chili supplementari…
È notte e fa freddo. Quel freddo che ti aspetti in un ambiente marino dove l’umidità aumenta la percezione di disagio e di stress fisico. E il livello di quest’ultimo è sempre piuttosto alto sia per lo sforzo, sia per la pressione degli istruttori che non mollano mai gli allievi.
Una “filosofia” particolare la loro, che abbiamo già avuto in parte modo di conoscere seguendo il modulo Ks dei paracadutisti, ma qui ampliata dalla combinazione dei due elementi acqua e terra. Si dice che i lagunari vadano sempre di corsa e, in effetti, non sfugge il passo perennemente svelto.
“È una questione di obiettivi. Fissato il ‘traguardo’ della prova bisogna fare in modo di raggiungere il punteggio fissato dagli istruttori. Questo il motivo per il quale i fanti corrono: vanno svelti, per non perdere neanche un momento del loro prezioso tempo”, continua Andrea.
Seguendoli a terra abbiamo notato l’importanza data ad una attività apparentemente semplice come la zavorrata (la marcia con un zaino carico). Importante perché, anche in questo caso, è il tempo tiranno a pregiudicare l’esito della prova.
Gli istruttori fissano il ritmo del passo: 10 chili per 4 chilometri in 28 minuti. Standard che esigono esigono una certa celerità, seppure ancora accettabile dalla maggior parte degli allievi. Il problema arriva poco dopo, quando il “tonnellaggio” aumenta e le distanze si allungano nell’ordine di 8-10 chilometri.
A questo giro non tutti riescono, molti rimangono indietro, arrivano con un margine di ritardo più o meno elevato. Altri, purtroppo, lasciano perdere e la delusione e la rabbia sono sempre brutti da vedere, specie sul volto di un ventenne.
“Ricordo che sui 10 chilometri giunsi con uno stacco di 7-800 metri, ma portai portai a termine la zavorrata. Posso invece dirle che dei 90 iniziali del mio corso, solo in 42 siamo arrivati alla fine”, ricorda il caporal maggiore scelto.
Il freddo, prima appena sopportabile, comincia a farsi davvero pungente; la mente è messa sotto sforzo dalla stanchezza accumulata dalle diverse ore in azione. Lo Zodiac è in mare ma la navigazione sarà tutt’altro che una Love Boat.
Infatti, l’imbarcazione si capovolge improvvisamente. La temperatura decisamente bassa rallenta ancor di più i movimenti di corpi chiusi nella mimetica e appesantiti dall’equipaggiamento, schiacciati fino all’osso dalla tensione per il superamento della prova e dalla fatica di una notte che sembra non passare mai.
Ma gli allievi ci sanno fare. Malgrado la “scuffiata” – come i velisti chiamano il rovesciamento – riescono a stare a galla senza perdere la concentrazione. Il perché ce lo hanno mostrato poche ore prima, durante la prova di “galleggiamento”: anfibi, cerata e panta-cerata (speciale mimetica anfibia) hanno ricevuto l’ordine di immergersi in uno specchio d’acqua dove non si tocca. Non sono richiesti i 100 stile, solo restare in emersione per almeno trenta secondi e senza appigli e aiuti di sorta.
Trenta secondi passano subito, penserete: vi invitiamo a provare, un tempo biblico quando sei stanco, hai freddo e diversi chili addosso.
Sapersi destreggiare in acqua è indispensabile per questi particolarissimi fanti ai quali sono richieste anche ottime capacità natatorie.
Il Comandante del Reggimento, colonnello Roberto Cocco*, ricorda che i “lagunari sono abituati ad operare in piccole unità che ben si adattano al proprio ambiente operativo. Tale autonomia determina anche la necessità di dover prendere decisioni fin dai più bassi livelli organizzativi senza perdere di vista il contesto generale”.
Pur non essendo una forza speciale, il Reggimento Lagunari della Serissima è caratterizzata da una disciplina e da una durezza addestrativa che lo rendono un unicum nel panorama delle Forze armate italiane trovando, forse, un corrispettivo solo nel Reggimento San Marco con il quale – non a caso – costituisce la Capacità nazionale di proiezione dal mare (Cnpm), unità interforze fra Esercito italiano e Marina militare.
Unici, dunque, come unico è il contesto nel quale si formano e come unica è l’eredità che portano con sé: nonostante siano nati ufficialmente nel 1964, preservano “le tradizioni delle milizie imbarcate della Serenissima repubblica di Venezia: i ‘Fanti da Mar’ che hanno combattuto per quasi 800 anni sotto le insegne del leone alato di San Marco” continua il Comandante.
Leone che oggi svetta fiero sulle uniformi della fanteria lagunare.
*Terminato il periodo di comando il 16/10/2020