I cittadini di Mosca che riprendono dalle proprie case i droni che sorvolano la capitale russa sono rimasti senza dubbio sorpresi. Avere sopra le proprie teste degli oggetti potenzialmente dannosi rende molto precaria la percezione della sicurezza. In poche parole, i russi adesso temono che la guerra sia ora anche all’interno delle proprie città. Prima spettri del genere erano diffusi soprattutto nelle province al confine con l’Ucraina, adesso con l’episodio di lunedì a Mosca il pericolo viene percepito in tutte le grandi città della federazione. Ed è forse questo uno degli aspetti più importanti dell’attuale fase del conflitto: la possibile volontà ucraina di portare in Russia gli echi degli scontri. Oppure, dall’altro lato, la volontà russa di compattare l’opinione pubblica.

Tutti gli episodi sospetti

Fino alla primavera del 2022 in pochi ritenevano realmente esposto il territorio russo a possibili azioni belliche. La guerra cioè, a prescindere dal suo esito e dal suo andamento, sembrava destinata a riguardare unicamente il territorio ucraino. Anzi, la massima preoccupazione era orientata su un possibile sconfinamento a ovest, con il coinvolgimento della Polonia e dei Paesi Nato. Al contrario, le operazioni belliche hanno subito sì un parziale sconfinamento, ma verso oriente. E quindi verso la Russia. Quando le forze di Kiev hanno ripreso il controllo dell’oblast di Kharkiv, confinante con quello russo di Belgorod, sono iniziati i timori per i cittadini di quest’ultima provincia. Non pochi raid sono infatti stati attuati dagli ucraini per colpire postazioni russe oltre confine. Poi è stata la volta di presunti episodi di sabotaggio. Da Belgorod a Krasnodar, passando per altre località anche lontane dalla frontiera, sono state contate decine di danneggiamenti di strutture sensibili, soprattutto raffinerie e depositi di carburante.

Poi è stata la volta di attentati che hanno preso di mira personaggi russi ritenuti vicini alla linea politica di Putin. Il 20 agosto è stata fatta saltare in aria l’auto di Daria Dugina, figlia del politologo Alexander Dugin. Un attentato che non ha lasciato scampo alla giovane giornalista e che è avvenuto vicino Mosca. Nei mesi successivi sono stati osservati altri episodi del genere, sempre in zone ritenute sicure dai russi. Il 3 aprile una bomba in un locale di San Pietroburgo, di proprietà peraltro del fondatore della Wagner Eugenji Prigozhin, ha ucciso il blogger Vladlen Tatarsky.

Nel frattempo le presunte azioni di sabotaggio sono andate avanti colpendo infrastrutture molto importanti. A ottobre, un camion bomba ha seriamente danneggiato il ponte sullo stretto di Kerch, essenziale a livello strategico per trasportare il materiale bellico dalla Russia continentale alla Crimea e quindi nelle regioni ucraine occupate da Mosca. Il ponte di Kerch è anche un simbolo della Russia post 2014, essendo stato costruito per collegare la Crimea con il resto della federazione russa e dare quindi seguito all’annessione della penisola da parte del Cremlino.

Con il nuovo anno si è passati ad azioni ancora più eclatanti. La stessa Mosca è stata presa di mira due volte. Il 3 maggio due droni sono stati intercettati e distrutti a poca distanza dal Cremlino, il simbolo per eccellenza del potere russo. Il 29 maggio invece la capitale è stata presa di mira da diversi droni abbattuti dalla contraerea. A Belgorod invece per la prima volta gruppi pro Kiev, lo scorso 22 maggio, hanno oltrepassato il confine costringendo le forze russe a difendere il proprio territorio.

Volontà di Kiev o false flag russo?

Su questi episodi non si è mai avuta da parte di Kiev una precisa rivendicazione. Al momento, la mano ucraina risulta più evidente nell’attentato contro Daria Dugina. A settembre, fonti dei servizi segreti Usa hanno iniziato seriamente a sospettare del coinvolgimento dell’intelligence di Kiev nell’assassinio della ragazza. Circostanza peraltro che avrebbe irritato la stessa Casa Bianca, sia per la morte di un soggetto considerato civile e non coinvolto in guerra e sia per le possibili conseguenze derivanti dall’attentato.

Su tutti gli altri episodi si sa poco. Il sospetto che dietro i sabotaggi ci siano gli ucraini è comunque molto forte. Poco dopo l’esplosione avvenuta sul ponte di Kerch, Mychajlo Podoljak, uno dei più stretti collaboratori del presidente ucraino Zelensky, ha postato su Twitter un messaggio di implicita rivendicazione dell’attentato.

L’irruzione di Belgorod invece il governo ucraino l’ha attribuita a gruppi di “partigiani russi” anti Putin. Ma anche in questo caso, la mano dei servizi ucraini appare molto evidente. Diverso il caso dei droni su Mosca. Da Kiev sono arrivate smentite su un proprio coinvolgimento, mentre a livello internazionale non sono pochi gli analisti che hanno ipotizzato un “false flag” russo, un’azione del Cremlino cioè volta a rispolverare il consenso dell’opinione pubblica all’azione bellica contro l’Ucraina.

Le possibili conseguenze di una “strategia del terrore”

Ad ogni modo, a prescindere dalle responsabilità delle azioni, è chiaro come chi ha agito lo ha fatto per portare la guerra anche nelle case dei russi. E, di conseguenza, far sentire vulnerabili i cittadini della federazione. Una strategia del terrore che potrebbe avere importanti conseguenze, sia un senso che nell’altro. Da un lato infatti, mostrare al mondo l’inconsistenza delle difese di Mosca potrebbe essere un punto a favore di Kiev. Non solo, ma potrebbe portare l’opinione pubblica russa a premere per la fine della guerra.

Dall’altro però, gli attacchi diretti contro grandi città della federazione, potrebbe invece compattare i cittadini russi a difesa del proprio territorio. Portare la guerra in Russia quindi potrebbe avere due conseguenze diametralmente opposte. Di questo ne sono consapevoli tanto a Kiev quanto a Mosca. Saranno i futuri sviluppi a far comprendere a chi gioverà la strategia del terrore.

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