Il Giappone è tra i Paesi con più restrizioni sull’accoglienza migranti, spesso ha manifestato la sua avversione ai rifugiati. Dall’inizio della guerra, però, sono stati accolti un gran numero di ucraini, più di 1300, offrendo servizi sociali e supporto per integrarsi meglio. Apparentemente, potrebbe sembrare uno spiraglio di luce in merito alle restrizioni del Paese.
Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha annunciato ufficialmente il cambiamento il 2 marzo e da quel momento Tokyo ha accolto ucraini a partire da chi aveva amici o familiari in Giappone. Sono state fornite indennità, supporto per la salute mentale, corsi di lingue e alloggi per aiutare i nuovi arrivati. Il 13 aprile, invece, veniva dato agli ucraini lo status di “quasi rifugiati”. Questo perché, per il Giappone, chi evacua a causa di conflitti internazionali non rientra nella definizione di rifugiati stabilita dalla Convenzione delle Nazioni Unite. In effetti, nell’articolo 1 viene stabilita la condizione di rifugiato per “chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza […] oppure chiunque […] non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”. Il governo definisce in modo estremamente restrittivo i “rifugiati”, etichettando gli ucraini come “hinanmin”, ovvero “sfollati” (letteralmente “persone che sono state evacuate).
Le leggi per l’accettazione dei rifugiati in Giappone sono state promulgate nel 1982. Da allora, secondo l’agenzia per l’immigrazione, sono state accettate 915 persone su 87.892 delle richiedenti. Lo scorso anno è stato concesso lo status di rifugiati a 74 richiedenti. La Japan Association for Refugees si occupa di dare sostegno a chi richiede lo status di rifugiato nel Paese; un gran numero di loro proviene dall’Africa e difficilmente ottengono ciò che desiderano. Durante il 2021 sono state accettate come rifugiati solo sei persone in fuga dall’Africa, ma ad alcuni manca ancora lo status di residente, che permetterebbe loro di trovare lavoro e alloggio. Ciò dimostra solo quanto siano difficili le condizioni anche di chi è riuscito ad entrare nel paese.
Nonostante il Giappone abbia le politiche più restrittive nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo, la risposta nei confronti degli ucraini è stata rapida, tanto da poter rappresentare un modello per futuri conflitti e crisi umanitarie. Il presidente del consiglio dell’Associazione giapponese per i rifugiati, Eri Ishikawa, sostiene che l’attuale situazione possa rappresentare un punto di svolta per l’accettazione dei rifugiati in futuro. “Ci auguriamo che il governo tenga in considerazione l’accresciuto interesse del pubblico ad accettare i rifugiati e che proceda rapidamente a una revisione fondamentale dell’intero sistema”.
Il grande sostegno manifestato nei confronti della popolazione ucraina, però, è stata oggetto di non pochi dubbi riguardo la sua natura. In passato, infatti, l’interesse e la risposta da parte di Tokyo non sono state altrettanto calorose; lo dimostrano le mancate attenzioni durante le crisi che hanno provocato deflusso di rifugiati, come in seguito al ritiro delle truppe statunitensi in Afghanistan. È solo in questa particolare e circoscritta occasione che il Giappone ha aggirato le rigide regole e le motivazioni sono da ricercare nel passato.
Le ragioni dell’apertura giapponese
L’Ucraina è stato il paese a cui il Giappone si è rivolto in seguito al disastro nucleare di Fukhushima del 2011, appellandosi alla sua grande esperienza nel montaggio delle radiazioni. Questo potrebbe essere un punto di partenza dell’analisi delle motivazioni che stanno spingendo al sostegno della popolazione ucraina.
In secondo luogo, ci sarebbe l’attenzione del governo giapponese alle azioni della Russia nella regione indo-pacifica. Nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea. In quell’occasione il governo giapponese seguì la politica delle sanzioni occidentali, che però vennero considerate insufficienti. L’approccio fu cauto per evitare di compromettere i rapporti con Mosca, nella speranza di risolvere la questione sul possesso delle isole Curili meridionali occupate sul finire della Seconda guerra mondiale dalla Russia e rivendicate da Tokyo. Il Cremlino ha infatti definito le relazioni bilaterali tra Mosca e Tokyo “al punto più basso possibile” in seguito all’aumento delle tensioni sulla guerra in Ucraina e della disputa sulle isole Curili, che il Giappone chiama “i territori settentrionali”.
Prima che le tensioni si concretizzassero nella guerra, Tokyo aveva già cominciato trattative con Joe Biden, sostenendo che avrebbe cooperato in caso di crisi e che avrebbe messo a disposizione parte delle proprie forniture di gas naturale liquefatto per i paesi europei dipendenti dal gas russo. Anche in merito alle sanzioni, il governo giapponese ha dimostrato una prontezza inaspettata e in linea con gli altri paesi occidentali. La politica giapponese è dunque passata da una cauta azione per raffreddare le tensioni con la Russia ad affermare che atti ignobili come l’invasione in corso dovranno essere severamente puniti.
Ad alimentare la posizione c’è poi la presenza militare russa, insieme a navi cinesi, nei mari che circondano il Giappone. Difatti, anche i rapporti tra Giappone e Cina sono tesi: in primis per il possesso delle isole Senkaku-Diaoyu, che sono sotto l’autorità giapponese e rivendicate dalla Cina, ma anche sul futuro di Taiwan, che il Giappone non vorrebbe cedere a Pechino. È probabile che Tokyo percepisca la violenza dell’esercito russo come un precedente da tenere sotto controllo, che potrebbe avere conseguenze al di là dei confini dell’Europa orientale.