Il potere in Ucraina è stato radicalmente trasformato dalla guerra d’aggressione scatenata dalla Russia il 24 febbraio 2022. Volodymyr Zelensky, divenuto icona della resistenza di Kiev, ha beneficiato dell’effetto rally’ around the flag della popolazione e delle istituzioni. E ha radicalmente modificato il suo approccio al potere.
Prima del conflitto Zelensky e il suo partito, Servitore del Popolo, vivevano la classica situazione della formazione di rottura giunta al potere e costretta a scontrarsi col crollo di molte illusioni di trasformazione radicale della società. L’evento straordinario della guerra ha dato alla presidenza poteri pressoché illimitati nella gestione dei gruppi di influenza, dei rapporti tra lo Stato e gli apparati economici, nella conduzione del conflitto. A cui nel corso dei mesi sono però subentrati altri centri di potere a partire dall’intelligence militare, ghiandola pineale dello Stato e perno del rapporto securitario con l’Occidente, e delle forze armate.
Quel che è certo è che il percorso del potere ucraino verso il crescente accentramento delle funzioni attorno la presidenza non è stato, come si è visto, indolore. E la gestione della catena del comando e dei rapporti politici più strutturati è passata attraverso incidenti, scandali e rese dei conti.
Sono almeno tre gli eventi chiave del percorso di sviluppo del potere in Ucraina dallo scoppio della guerra in avanti. Il primo è legato alla ridefinizione del rapporto tra Zelensky e gli oligarchi di Kiev. Il secondo all’onda lunga dello scandalo corruzione che ha colpito diversi ministeri. Il terzo alle dimissioni di Oleksij Arestovych, consigliere strategico numero uno di Zelensky. A cui si aggiunge il tema del misterioso incidente d’elicottero di Brovary, a Kiev, del 18 gennaio che ha decapitato i vertici della sicurezza interna.
Come cambia il potere degli oligarchi con la guerra
Tenersi vicini gli amici e ancora più vicini i propri nemici. Questa la logica che Zelensky ha seguito nel contesto della gestione dei rapporti di potere tra Stato e oligarchi a partire dall’invasione.
A luglio Zelensky è arrivato a inserire il suo storico patron Igor Kolomoisky nella lista di dieci figure a cui è stato tolto ogni diritto di cittadinanza per presunte attività sovversive. Kolomoisky, editore delle Tv dai cui canali “Servitore del Popolo” divenne da serie Tv con Zelensky protagonista un partito con l’ex comico come leader, si trova ora in Israele.
Tra gli oligarchi invece è diventato sempre più potente Rinat Akhmetov, patron dello Shaktar Donetsk e storico avversario del presidente, che a novembre 2021 lo aveva addirittura accusato pubblicamente di trame golpiste. Akhmetov, magnate della metallurgia e patron dell’Azovstal di Mariupol, ha perso due terzi del suo patrimonio con la guerra, ma con circa 4,5 miliardi di dollari è ancora l’uomo più ricco del Paese e tra i 700 più facoltosi del pianeta. Ha finanziato attivamente la guerra di resistenza dell’Ucraina e le sue proprietà, assieme a quelle appartenenti all’ex primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk, sono state sequestrate dai russi in Crimea.

Akhmetov ha negoziato il ritorno nell’alveo dei buoni rapporti col potere in cambio dell’uscita dal business dei media proprio per sottrarsi alla formale etichetta di “oligarca” prevista dalla legge contro gli oligopoli dalla dubbia legittimità democratica prevista dal governo di Kiev per accelerare la lotta alla corruzione e varata nel 2021. Mano libera al presidente sulla comunicazione e sostegno fermo a Zelensky, tregua con il potere sulle ambizioni politiche, difesa del business industriale e finanziario della sua System Capital Management (Scm): questa la terna di priorità su cui Akhmetov ha patteggiato il suo riconoscimento dell’autorità presidenziale, al contrario di quanto fatto da Kolomoisky. Zelensky ha così trasformato un suo strenuo oppositore in un fedele e indispensabile alleato.
Al contempo, l’ex presidente Petro Poroshenko, sconfitto da Zelensky nel 2019, appare rientrato a fianco dell’esecutivo dopo anni di braccio di ferro col suo successore. Ha lealmente sostenuto la difesa ucraina, si è prestato a consigliare Zelensky su come chiedere all’Occidente spingere sulle sanzioni alla Russia per colpire l’economia russa e si è rilanciato per un futuro imprenditoriale e politico. Sfuggendo alla mannaia anti-corruzione dell’esecutivo.
Lo tsunami corruzione
La corruzione si conferma un tarlo nel Paese. La Corte dei Conti Ue a fine 2021 scriveva che “in Ucraina la corruzione rimane presente ad ogni livello dello Stato” e rappresentava una minaccia al processo di adesione europea di Kiev. L’Unione europea, scriveva la Corte, “ha cercato di combattere il fenomeno nel Paese, convogliando fondi e interventi in svariati settori, dalla concorrenza al sistema giudiziario, ma il sostegno fornito e le misure attuate non hanno prodotto i risultati attesi”.
Zelensky è stato eletto anche con l’obiettivo di ripulire il Paese dalla corruzione, ma la guerra ha fatto venire alla luce i problemi endemici dei profittatori di guerra e dello sciacallaggio. Il 21 gennaio il viceministro per lo Sviluppo delle infrastrutture, Vasyl Lozynski, è stato arrestato e silurato dal governo nel quadro di un’inchiesta che lo ha visto indagato per presunte manipolazioni di bandi per l’acquisto di generatori elettrici per garantire la sicurezza di Kiev contro i raid russi invernali.
A cascata, il sottogoverno del Paese è stato falcidiato. Tra fine gennaio e inizio febbraio si sono dimessi o sono stati rimossi il vicecapo dell’Ufficio presidenziale, Kyrylo Tymoshenko, altri quattro viceministri (dalla Difesa, Vyacheslav Shapovalov, dalle politiche sociali Vitaliy Muzychenko, dallo Sviluppo delle Comunità, Ivan Lukerya e Vyacheslav Negoda), il procuratore generale in seconda Oleksiy Simonenko e i vicecapi del Servizio statale dei Trasporti Marittimi e Fluviali, Anatoliy Ivankevych e Viktor Vyshnyov.
Ora su questi fatti indaga la magistratura interna. Zelensky ha preso al balzo la palla per ripulire l’amministrazione centrale dell’annoso radicamento di sistemi di corruttele interne agli apparati. E a rischiare di cadere è stata anche la testa del ministro della Difesa Olekseij Reznikov, colpito dalle accuse di omessa vigilanza sulle mosse del suo vice per presunte manipolazioni al rialzo di commesse per le forniture dell’esercito e retrocesso all’Industria. Si è detto per diversi giorni che Reznikov avrebbe perso la guida della Difesa venendo sostituito da Kyrylo Budanov, già capo dell’intelligence militare. Ma a quanto sembra Zelensky avrebbe optato per non muovere troppe pedine.
La militarizzazione del potere
Budanov, giovane maggior generale, ha comunque in questa fase contribuito alla militarizzazione del potere di Kiev. Sempre più marziale e oltre la linea della gestione diplomatica del conflitto. La Difesa e l’intelligence sono ad oggi le centrali più importanti vicine alla presidenza, mentre il ministero degli Esteri è oggigiorno in declino. E Dmitry Kuleba, titolare del dicastero, subisce le intemperanze e le gaffe del “falco” suo vice, Andriy Melnyk.
A contribuire a questo processo anche la morte, nella caduta dell’elicottero a Kiev del 18 gennaio scorso, del ministro dell’Interno Denys Monastyrsky, del suo vice, Yevhen Yenin, e del segretario di Stato del ministero, Yurii Lubkovich. Al cui posto è stato chiamato Igor Klymenko, ex capo delle polizia e militare di carriera, “falco” antirusso come Budanov e Melnyk. La cui ascesa ha seguito di poco l’uscita dal governo del consigliere militare più ascoltato da Zelensky, Oleksij Arestovych, l’uomo che aveva previsto la guerra, “reo” di aver aperto all’ipotesi di una soluzione diplomatica del conflitto.
Le stelle polari? Zaluzhny e Podolyak
Chi invece è rimasto stabile nella sua posizione e intoccabile è il duo che guida la resistenza operativa di Kiev. Da un lato, il generale Valery Zaluzhny, comandante in capo delle Forze Armate. Uomo pragmatico e soldato tutto d’un pezzo. A cui si aggiunge lo stratega della guerra-ombra ucraina, Mykhalio Podolyak, tra i capo-consiglieri del presidente, regista della guerra asimmetrica condotta dalle spie ucraine contro Mosca e in sostegno all’Occidente. Punto di convergenza tra politica, diplomazia e intelligence, il cui ufficio è la camera di compensazione tra desideri di Zelensky, richieste occidentali e appunti degli apparati riguardo la gestione del conflitto.
Zelensky, Zaluzhny, Podolyak: questo il triumvirato di testa del potere ucraino. Un triangolo, più che un cerchio magico, attorno cui la sfera del potere di Kiev ruota vorticosamente.
Tra militarizzazione, purghe, tragedie e lotte tra clan di potere il conflitto è un acceleratore. E il sistema di potere di Zelensky si accorge del fatto che il suo equilibrio interno è ad oggi legato alla guerra stessa, mentre le prospettive per il post-conflitto appaiono ad oggi assai incerte.