L’Ucraina ha ricevuto dall’Occidente aiuti militari nell’ordine di decine e decine di miliardi di dollari. Tutto è iniziato con l’invio di armi difensive che avrebbero dovuto consentire a Kiev di respingere l’iniziale assalto russo, scongiurare la caduta della capitale, la defenestrazione del governo guidato da Volodymyr Zelensky e, in poche parole, la conquista dell’intero Paese. Nell’arco di qualche settimana, grazie alle preziose informazioni raccolte dalle varie intelligence occidentali e poi condivise con l’esercito ucraino, l’inerzia della guerra è però progressivamente cambiato.
Le forze del Cremlino non sono più riuscite ad avanzare, e Mosca – che secondo qualcuno aveva assediato Kiev soltanto come diversivo – è stata costretta a riposizionare i suoi uomini, spostandoli dal quadrante settentrionale dell’Ucraina a quello orientale (leggi: Donbass). Nel frattempo, tolta la battaglia di Mariupol terminata con una vittoria, anche l’avanzata russa lungo la fascia costiera si è arenata di fronte alla roccaforte Odessa. In altre parole, i missili Stinger, gli anti carro Javelin, gli obici e tutti gli altri armamenti ricevuti dal blocco occidentale hanno consentito all’Ucraina di rovinare i piani rivali. Il conflitto, intanto, è ancora in corso, e si segnalano feroci combattimenti proprio nel Donbass, l’area che a questo punto i russi intendono fagocitare nella sua interezza.
Fatta questa lunga e doverosa premessa, è adesso fondamentale fare un paio di considerazioni tenendo presente che l’Ucraina, già prima dello scoppio della guerra, doveva fare i conti con problemi interni piuttosto delicati. Tra la corruzione dilagante, lo sperpero di ingenti finanziamenti ricevuti dal Fondo Monetario Internazionale finiti chissà come e chissa dove, e il fardello di esser considerata uno dei principali hub dedicati al mercato nero delle armi, è quanto mai necessario monitorare la situazione, onde evitare che le suddette criticità possano ulteriormente acuirsi, danneggiando il presente e il futuro di Kiev. E non soltanto il suo.
Black market
Il Washington Post ha pubblicato un articolo emblematico. La tesi del pezzo è tanto semplice quanto preoccupante: le vaghe assicurazioni fornite dagli Stati Uniti in merito al corretto utilizzo delle armi spedite a Kiev suscitano enormi timori per la possibile perdita di quelle stesse armi. Le quali potrebbero finire al un centro del traffico di armi, un mercato che a queste latitudini non è solo fiorente ma anche piuttosto ricco.
Alcuni media hanno quindi iniziato farsi un po’ di domande. Considerando che gli Stati Uniti aumenteranno il flusso di missili, razzi e droni diretti verso l’Ucraina, bisognerebbe interrogarsi sulle capacità di Washington di tracciare le sempre più potenti armi spedite a Zelensky. Anche perché, come detto, questi armamenti finiscono in un Paese attraversato da un fiorente black market di armi e, per di più, adesso dilaniato dalla guerra.
In generale il mercato illegale di armi in Ucraina è cresciuto a dismisura in seguito all’invasione della Russia nel 2014, spinto da un’eccedenza di armi e da scarsi controlli sul loro utilizzo. Quali sono i pericoli? L’afflusso senza precedenti di armamenti fa impennare il rischio che una buona parte degli stessi possa cadere nelle mani degli avversari dell’Occidente o, peggio ancora, riemergere in conflitti lontani per i prossimi anni a venire. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha affermato che gli Stati Uniti hanno condotto un controllo approfondito delle unità ucraine che riforniscono e costretto Kiev a firmare accordi che “non consentono il ritrasferimento di apparecchiature a terzi senza previa autorizzazione del governo degli Stati Uniti”. Ma i dubbi restano comunque in piedi.
- Come si sta sviluppando la guerra in Ucraina
- Le origini della guerra
- L’ombra del mercato nero sulle armi inviate in Ucraina
Il futuro delle armi
Rachel Stohl, esperta di controllo degli armamenti e vicepresidente dello Stimson Center, ha spiegato che è pressoché impossibile tracciare non solo di dove sono dirette le armi e chi le sta usando, ma anche come queste vengono impiegate. Sappiamo, ad esempio, che in Ucraina stanno operando combattenti stranieri (siriani, ceceni e mercenari del gruppo Wagner); ebbene, esiste la concreta possibilità che le armi confluite in massa all’esercito regolare di Kiev possano finire nelle loro mani e quindi, una volta terminato il conflitto, sparire nei Paesi d’origine di quei militari. Il punto è che non stiamo parlando di fucili di precisione o pistole, visto che i missili Stinger a spalla, giusto per intenderci, sono in grado di abbattere aerei di linea commerciali e risultano particolarmente ambiti dai gruppi terroristici.
Ma come ha fatto l’Ucraina a trasformarsi in un hub per il traffico di armi? Bisogna tornare indietro nel tempo alla caduta dell’Unione Sovietica. All’epoca – siamo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 – l’esercito sovietico si ritirò dal territorio ucraino lasciando in loco enormi quantità di armi leggere. Secondo quanto ricostruito dallo Small Arms Survey, un’organizzazione di ricerca con sede a Ginevra, una parte delle 7,1 milioni di armi leggere dell’esercito ucraino nel 1992 “sono state dirottate verso aree di conflitto” con “il rischio di fuoriuscite nel mercato nero locale”.
Il problema, come detto, si è aggravato dopo l’invasione della Russia del 2014. I combattenti irregolari di entrambe le parti hanno progressivamente ottenuto l’accesso a un’ampia gamma di equipaggiamenti di livello militare, compreso l’intero spettro di armi leggere e di piccolo calibro”, ha spiegato ancora lo Small Arms Survey in un rapporto del 2017. In quell’occasione furono saccheggiati depositi di munuzioni dei ministeri dell’Interno, dei Servizi di Sicurezza e pure della Difesa. È stato stimato che almeno 300.000 armi leggere e di piccolo calibro siano state saccheggiate o andate perdute nel periodo compreso tra il 2013 e il 2015. Tutto questo ha fornito una grande spinta al mercato nero locale, gestito da gruppi di stampo mafioso e da altre reti criminali, localizzato per lo più nella regione del Donbas.
- La resa definitiva di Mariupol
- Severodonetsk rischia di essere la nuova Mariupol
- Chi gestisce il dossier ucraino a Washington
Corruzione e finanziamenti al vento
Assieme all’invio di armi è dunque di vitale importanza che sussistano adeguate garanzie di monitoraggio e controllo degli strumenti bellici. Ma non è finita qui, perché l’Ucraina soffre di un altro male atavico che la guerra potrebbe a sua volta peggiorare. Stiamo parlando della corruzione, un fenomeno che da queste parti è presente – ancora una volta – dal crollo dell’Urss. Quando nel 1991 l’economia statale evaporò come neve al sole, le imprese statali furono privatizzate sulla base di un principio che Foreign Policy ha così sintetizzato: “Primo arrivato, primo servito”.
In mezzo ad un’illegalità dilagante, ha preso forma l’oligarchia nazionale che, per anni, ha plasmato settori economici del Paese danneggiando ogni possibile processo di democratizzazione. Negli anni ’90 potenti uomini d’affari hanno preso il controllo di settori chiave dell’economia, come quella relativa all’estrazione di risorse minerarie e all’energia. Decenni dopo gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno più volte chiesto a Kiev di attuare riforme efficaci per combattere la corruzione. Washington e Bruxelles hanno addirittura legato significativi aiuti finanziari e militari (in chiave anti russa dopo il 2014) proprio alla lotta alla corruzione del Paese.
Nel 2015 il Fondo Monetario Internazionale ha approvato un prestito quadriennale dal valore di 17,5 miliardi di dollari da destinare all’Ucraina. Questi soldi avrebbero dovuto risollevare l’economia nazionale, affossata dal conflitto con la Russia, ma in due anni gran parte dei denari – pare circa la metà – è misteriosamente sparita dai radar. Nel 2018 lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha concordato un nuovo programma di prestiti, questa volta pari a 3,9 miliardi di dollari, mentre in tempi più recenti, lo scorso marzo, l’FMI ha approvato un pacchetto di aiuti urgenti all’Ucraina per 1,4 miliardi di dollari.
La speranza, ovviamente, è che questi soldi aiutino davvero Kiev a ripartire. Ma la corruzione continua ad essere una grave piaga. La stessa che qualche anno fa ha persino spinto Joe Biden a minacciare l’Ucraina di togliere le sanzioni alla Russia se gli ucraini non avessero risolto il loro problema con la corruzione. Le ultime rilevazioni non sono tuttavia particolarmente incoraggianti. Stando alla classifica stilata da Transparency International, nel 2021 l’Ucraina ha ottenuto 32 punti su 100 possibili nell’indice di percezione della corruzione, piazzandosi al 122esimo posto su 180 Paesi. Meglio della Russia (136esima), ma ancora troppo in basso per poter davvero voltare pagina.