Sei anni fa, Kim Jong-un diventava guida suprema della Repubblica popolare della Corea del Nord. La televisione di Stato annunciò la morte di Kim Jong-il solo due giorni dopo, ma già da quel 17 dicembre del 2011, il figlio era diventato leader della nazione più controversa al mondo. Dieci giorni dopo l’annuncio, il feretro di Kim Jong-il percorreva le strade di una gelida Pyongyang ricoperte da un tappeto di petali bianchi, come ricorda il Corriere della Sera. In quel viaggio finale, con il figlio Kim al fianco della bara del padre, si stava compiendo un passaggio di consegne di fondamentale importanza nella storia del regime nordcoreano: un passaggio di consegne accolto con scetticismo, inaspettato e, per certi versi, ampiamente sottovalutato. Kim Jong-un è giunto al potere accolto da scetticismo sia all’interno del Paese che all’esterno. Fuori dalla Corea del Nord i media l’hanno descritto da subito come un ragazzo inesperto, un “pazzo”, un incompetente. Ma anche all’interno, dalle poche notizie che il mondo è riuscito a ottenere, Kim fu accolto con molta freddezza, ed erano in molti a volere la sua eliminazione, in particolare i vertici della burocrazia militare, vero potentato interno nel sistema di Pyongyang.
Con il passare degli anni, il mondo si è dovuto ampiamente ricredere. Kim Jong-un si è dimostrato un accorto stratega che anzi, appare oggi molto più scaltro e smaliziato del padre. A differenza del suo predecessore, ormai soggiogato dalla vecchiaia e dallo strapotere dei vertici militari del regime, il giovane Kim ha vinto lo scetticismo degli inizi attraverso una presa del potere assoluta e molto più decisa di quanto ci si potesse immaginare, a tal punto che in pochi anni ha azzerato ogni persona in grado di frapporsi fra lui e i suoi piani. Tra purghe, arresti, fucilazioni e utilizzo dei servizi (vedasi l’uccisione del fratello), Kim ha eliminato l’opposizione interna che voleva farlo fuori, con forti collegamenti a Pechino, ed ha sostituito ogni personaggio scomodo con persone fedeli alla sua linea politica, imponendosi come guida indiscussa del Paese. E l’irrigidimento di questi ultimi tempi, con l’ampliamento dei test missilistici e l’incredibile, fino a pochi anni fa, test nucleare di settembre, è probabilmente il frutto di una presa di coscienza del giovane leader sulla necessità di cambiamento di rotta del regime rispetto agli anni precedenti.
Kim Jong-un vuole essere riconosciuto come leader di una potenza nucleare. Ormai lo è, ma formalmente nessuno vuole accettarlo. E questo non gli serve per scatenare una guerra, come spesso viene detto in maniera anche fin troppo superficiale, ma semplicemente come garanzia per la propria sopravvivenza. L’assicurazione sulla vita della sua dinastia e del regime passa per l’ottenimento dello status di potenza nucleare, rendendo impossibile ogni guerra nei suoi confronti a meno di non voler rischiare un conflitto catastrofico. In questo senso, il leader nordcoreano sta ampiamente riuscendo nel suo scopo, ma deve fare i conti con i rapidi cambiamenti della politica del Pacifico. Sei anni fa, la Cina non era ancora riconosciuta quale potenza mondiale come adesso. E, sempre al momento della sua ascesa, non c’era Donald Trump e la sua politica muscolare a contrapporsi alla logica del programma di Pyongyang. Adesso le cose sono cambiate. Xi Jinping ha sempre condannato i test di Kim al pari delle esercitazioni militari degli Stati Uniti, e, pur disapprovando la scelta delle sanzioni contro il regime, ha messo in atto tutte quelle imposte dalle Nazioni Unite.
In questo momento, la partita di Kim Jong-un si trova a un momento di svolta. L’ultimo test missilistico con cui ha mostrato al mondo gli avanzamenti delle capacità balistiche dell’esercito nordcoreano, è stato un campanello d’allarme per tutti. E il rischio di una guerra è sempre più all’ordine del giorno, così come quello dell’isolamento totale. Cina e Corea del Sud si stanno riavvicinando. La Russia ha avvertito dei danni di una guerra e ha inviato delegati della Difesa a discutere con i generali di Pyongyang. Gli Stati Uniti militarizzano la penisola coreana. A questo punto, da parte del governo di Kim Jong-un ci si aspetta una svolta necessaria, a meno di non voler entrare in un buco nero da cui uscirne solo con una guerra senza via di scampo. E questa svolta potrebbe arrivare in concomitanza con le Olimpiadi invernali in Corea del Sud. Seul ha mostrato aperture verso il governo del Nord sfruttando l’invito ai Giochi. E il viaggio di Moon a Pechino potrebbe essere il preludio di un possibile riavvicinamento tra le due Coree. Kim Jong-un è consapevole che questa situazione di stallo non possa proseguire oltre, e che, dopo i test, deve mostrare al mondo di non volere una guerra. Il 2018 potrebbe essere l’anno della svolta per il graduale allentamento della tensione, come ha affermato l’Asan Institute for Policy Studies di Seul. E questo perché i rischi dell’escalation stanno diventando molto alti, tanto da indurre la Cina e la Russia ad esercitarsi al confine con la Corea del Nord. Se il regime nordcoreano vuole sopravvivere, deve dimostrare di saper concedere qualcosa, altrimenti la prossima provocazione potrebbe rappresentare il famoso superamento della “linea rossa”. Le notizie che arrivano dalla Corea del Nord non inducono all’ottimismo, nel senso che il programma nucleare e balistico sembra sia in continua evoluzione. Ma c’è chi scommette sul fatto che, una volta completati, il regime potrebbe fare una mossa per aprirsi ai negoziati, perché avrebbe raggiunto lo scopo della cosiddetta “assicurazione sulla vita”. Bisognerà capire se quest’assicurazione saranno disposte ad accettarla anche le potenze vicine.