L’esportazione di armi nel mondo negli ultimi 5 anni (2015-2019) è aumentata del 5,5% rispetto al quinquennio precedente (2010-2014). Sono questi i dati che emergono dall’ultimo report pubblicato dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri, Stockholm International Peace Research Institute), numeri che confermano il trend degli ultimi anni con un incremento esponenziale della vendita di armi ai Paesi del Medio Oriente e dell’Africa. A farla “da padroni” nell’esportazione di armi sono sempre gli Stati Uniti che, da soli, occupano il 36% del mercato mondiale con un “vantaggio” del 76% rispetto al secondo esportatore di armi al mondo, ovvero la Russia.

Dati che rimangono in generale in crescita, con le principali eccezioni rappresentate da Regno Unito (-15%), Italia (-17%) e soprattutto dalla Russia che ha visto diminuire le esportazioni del 18%. Un calo legato anche all’imposizione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti e dalla riduzione degli accordi con l’India, tradizionale bacino di sbocco dei prodotti militari russi.

Europa: chi sale e chi cala

Dietro a questo calo, però, non ci sono solamente gli Stati Uniti, ma anche l’industria francese che supportata da decise iniziative governative è riuscita a siglare molti contratti con il governo di Delhi, tra cui quello da 7,8 miliardi di Euro per la fornitura di 36 Dassault Rafale con relativi armamenti.

La Francia, stando a quanto emerge dal report Sipri, è il Paese occidentale che ha registrato la crescita maggiore nell’ultimo quinquennio, chiudendolo con un aumento del 72% rispetto al periodo 2010-2014. La politica dell’Eliseo degli ultimi cinque anni ha dato, però, i suoi frutti non solo nei rapporti con l’India ma anche con l’Egitto, che riveste il 26% del totale delle esportazioni, e con il Qatar. Rimanendo in Europa, anche la Germania mostra dati in crescita con un incremento del 17%, trainato soprattutto dagli accordi con la Corea del Sud, la Grecia e l’Algeria. Nonostante il rallentamento del Regno Unito e dell’Italia, però, in totale i cinque principali Paesi dell’Europa occidentale insieme hanno rappresentato il 23% delle esportazioni globali, incrementando la loro presenza di un 3% rispetto al quinquennio precedente.

La riduzione dell’export italiano di armi dal 2,7% al 2,1%, però, è considerabile accettabile e in linea con il trend generale che vede un andamento sinusoidale delle vendite di armi. Infatti, la percentuale è identica a quella tenuta nel quinquennio 2006-2010. A mutare sono stati gli acquirenti con la Turchia che, negli ultimi 5 anni, ha fatto la voce grossa rappresentando il 20% dell’intero export italiano, seguita da Pakistan e Arabia Saudita rispettivamente al 7,5% e al 7,2%.

La crescita cinese

La Cina, invece, è al quinto posto occupando il 5,5% del mercato bissando lo stesso dato percentuale rispetto a quello dello scorso quinquennio. Ciò non significa che gli accordi di Pechino siano diminuiti, perché in realtà per i dati Sipri c’è stato un aumento del 6,3% legato all’accresciuto valore economico di ogni esportazione. Di certo l’ultimo quinquennio non è paragonabile per crescita a quello precedente, quando la Cina crebbe del 133% grazie all’ingresso in molti mercati emergenti.

Nonostante il rallentamento, il governo di Pechino, grazie alle politiche della Nuova Via della Seta e ai conseguenti investimenti nei Paesi in via di sviluppo, è riuscito ad aumentare il numero di Stati interessati da accordi militari, portandoli dai 40 del 2010-2014 agli attuali 53. L’incremento dei Paesi di sbocco, però, non ha portato a una redistribuzione geografica più omogenea, perché l’Asia e l’Oceania (soprattutto grazie a Pakistan e Bangladesh) rimangono il 74% del mercato cinese, seguite da lontano dall’Africa (16%) e dal Medio Oriente (6,7%). Il restante 3,3% delle esportazioni di armi della Cina è rappresentato dall’Europa, il Sud America e la Russia.

Quella di puntare sui mercati in via di sviluppo rappresenta però una scelta politica precisa, soprattutto per quel che riguarda al Medio Oriente che ha rappresentato il 35% delle importazioni globali di armi. Ma non c’è solamente l’Arabia Saudita a riarmarsi registrando un aumento del 130% rispetto a cinque anni fa, perché anche l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iraq e il Qatar hanno intrapreso politiche di modernizzazione e di aumento delle capacità militari. La crescita in termini percentuali delle importazioni nei Paesi mediorientali è impressionante con un aumento medio del 210,6%, specialmente per via del boom qatariota (+631%) ed egiziano (+212%), oltre alla già citata Arabia Saudita.

Come tenere le attuali posizioni?

Il conflitto nello Yemen e le tensioni con l’Iran, oltre alle guerre civili in Libia e in Siria, hanno reso florido il mercato mediorientale, permettendo alle industrie militari dei principali Paesi esportatori di concludere affari miliardari. Questo nonostante i tentativi di alcune parti politiche di fermare le vendite all’Arabia Saudita; un’eventualità considerata “pericolosa” per via delle sicure ripercussioni economico-politiche, favorendo l’ingresso della Russia e della Cina.

L’obiettivo dei Paesi europei e degli Stati Uniti è di non perdere per nessun motivo i rapporti con gli Stati del Medio Oriente, aumentando nel frattempo anche le relazioni politiche e commerciali con l’India così da “allontanarla” dalla Russia. Una politica che sta dando i suoi primi frutti a giudicare dai dati dell’ultimo quinquennio, ma che difficilmente potrebbe a radicali cambiamenti anche in virtù della continua crescita cinese.