Quando si parla di armamenti, il fronte progressista è tutt’altro che compatto. A sinistra, infatti, sull’argomento persiste una storica idiosincrasia in grado di creare cortocircuiti ideologici non indifferenti. I motivi di tale fenomeno sono molteplici, spesso riconducibili a un anti-militarismo di fondo che da sempre pervade alcuni settori della gauche italica. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, di cui è ricorso il primo triste anniversario, anche i progressisti di casa nostra hanno però dovuto fare i conti con la realtà. Ovvero, con la pragmatica decisione di scegliere da che parte stare. All’indomani dell’attacco russo, Pd e Cinque Stelle avevano quindi indossato l’elmetto e di getto avevano assecondato l’unica scelta di buon senso: quella di difendere il Paese aggredito. Ma è col passare dei mesi che il vecchio istinto al pacifismo tout court è tornato a fare capolino, spaccando la linea progressista sull’argomento.
In particolare, i dem hanno dovuto fare i conti con i malumori di alcuni loro esponenti rispetto alla decisione del loro partito di rinnovare il sostegno militare all’Ucraina almeno fino al 31 dicembre prossimo. Lo scorso 11 gennaio, a palazzo Madama, due senatori Pd avevano votato contro la proroga agli armamenti e altri due si erano astenuti. Tra questi ultimi anche l’ex sindacalista Susanna Camusso. E alla Camera, pochi giorni dopo, il deputato Paolo Ciani aveva analogamente espresso parere negativo.
Stranamente a quelle voci dissenzienti non era stato dato risalto, peraltro proprio mentre i vertici dem si stracciavano le vesti che per chiunque – fuori dal Pd – sollevasse anche solo qualche dubbio sul tema. Allo stesso modo, un silenzio imbarazzato aveva accolto le fragorose affermazioni di Vincenzo De Luca contro il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Ha detto che dobbiamo produrre più munizioni, più armi e più cannoni. Queste sue dichiarazioni mi confermano l’urgenza di affidarlo ai servizi sociali”, aveva picconato il governatore della Campania. Ma tra i piddini nessuno aveva battuto ciglio. Sul tema degli armamenti va poi registrata la schizofrenia politica di chi, come Elly Schlein, appoggia il sostegno a Kiev ma con ampie riserve. “Credo che sia stato giusto sostenere la resistenza ucraina, ma penso che la guerra non si risolve con le armi”, aveva detto in tempi non sospetti la deputata.
Chi invece si è spostato sull’irremovibile contrarietà alle forniture militari all’Ucraina sono stati i Cinque Stelle, con il loro leader in testa. I grillini in realtà sono abituati a sostenere tutto e il contrario di tutto, dunque il loro mutato orientamento non ha stupito i più. Il punto è che, a oggi, i pentastellati non hanno offerto soluzioni alternative all’invio di armi, se non quelle generiche dei negoziati che al momento non hanno prodotto gli esiti sperati. Peraltro anche tra i 5s non sono mancate le contraddizioni sull’argomento. Non più tardi di un mese fa, Giuseppe Conte aveva incontrato i Verdi europei in vista di un possibile ingresso del Movimento nel gruppo. Piccolo dettaglio: i Verdi, soprattutto in Germania, sono in prima linea nel sostegno militare all’Ucraina. Non accade così in Italia, dove invece l’alleanza Verdi-Sinistra Italiana aveva sin da subito osteggiato qualsiasi soluzione armata.
Nel nostro Paese, più che altrove, la sinistra sembra costretta un equilibrio precario dovuto alle varie anime che la popolano. Dai filo-atlantisti agli irriducibili “No war”, passando per gli indecisi sul da farsi, i progressisti di casa nostra si dividono pure sulla guerra. Ma così non fanno pace nemmeno con se stessi.