Nessuno si augura di rivivere in prima persona i drammi della Guerra di Corea. Di tornare a quei terribili momenti quando, tra il 1950 e il 1953, la penisola coreana si trasformò in un enorme campo di battaglia. Stati Uniti, Corea del Sud e Nazioni Unite da una parte, Corea del Nord, Cina e Unione Sovietica dall’altra. Per tre lunghissimi anni la storia delle due Coree è stata travolta da un dramma comune. Le stime – ancora oggi non ci sono certezze assolute – parlano di due milioni di civili tra dispersi, morti e feriti, 500mila soldati uccisi per ciascuna delle due Coree, da uno a tre milioni di soldati cinesi, 54.246 americani e 3.194 militari di altra nazionalità.

L’ecatombe della Guerra di Corea è stata congelata soltanto da un armistizio al quale, almeno fino ad ora, non è mai seguita la firma di un trattato di pace. Questo significa che le ostilità tra Pyongyang e Seoul potrebbero ripartire da un momento all’altro, come dimostrano le cicatrici che la guerra ha lasciato tanto nel Nord quanto nel Sud. Con due Paesi perennemente pronti al peggio, che si studiano, si osservano, e che sono separati da un confine invalicabile che taglia in due tronconi la penisola.

Nessuno, dicevamo, vuole tornare con la mente a quei giorni di guerra. Gli Stati Uniti sganciarono 635 mila tonnellate di bombe convenzionali, più delle 503 mila usate nel Pacifico nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, fu travolta da una pioggia di bombe: 200mila, una per ogni abitante. Seoul, capitale della Corea del Sud, fu distrutta per oltre il 70%. Al termine del conflitto, calcolatrice alla mano, morirono, rimasero feriti o dispersi circa 3 milioni di coreani. Ovvero: il 10% della popolazione della penisola coreana.

Video di Alberto Bellotto

Se 70 anni fa la guerra tra le due Coree provocò un disastro del genere, che cosa potrebbe succedere, con le armi attuali, nel caso in cui dovesse andare in scena il “secondo tempo” della Guerra di Corea? Gli effetti sarebbero probabilmente molto più devastanti di quanto visto negli anni ’50. Anche perché, nel frattempo, i nordcoreani sono riusciti a sviluppare un arsenale missilistico di tutto rispetto e, soprattutto, a dotarsi dell’arma nucleare. I sudcoreani continuano ad essere coperti dall’ombrello degli Stati Uniti, e quindi dai jolly militari statunitensi, ma bisogna tuttavia considerare che Washington affronta la partita coreana con i panni della squadra in trasferta. Detto in altre parole, Stati Uniti e Corea del Sud sono separati da un oceano. E un eventuale attacco a sorpresa sferrato da Kim Jong Un ai danni del Sud potrebbe bucare le difese statunitensi.

Il rischio esiste e sarà sempre più grande mano a mano che Pyongyang affinerà la sua potenza balistica. Proprio perché nessuno vuole correrlo, è fondamentale ragionare sul Worst Case Scenario – leggasi: ripresa delle ostilità – per capire come prepararsi al peggio. E, se possibile, per evitare di cadere in un nuovo abisso.

Gli attori in campo

Che sia fantapolitica o un’ipotesi più probabile di quanto non si possa pensare cambia poco: una Guerra di Corea 2.0 si rivelerebbe una vera e propria catastrofe sia per le due Coree che per il mondo intero. Intanto perché la ripresa delle ostilità intercoreane coinvolgerebbe altri attori, di sicuro gli Stati Uniti in prima linea, al fianco della Corea del Sud, e Cina e Russia a supportare, probabilmente dalle retrovie, la Corea del Nord.

Una rottura dello status quo nella penisola coreana non porterebbe infatti alcun beneficio a Pechino. Al contrario, il Dragone verrebbe catapultato in una situazione spiacevole per almeno due ragioni. Intanto se Pyongyang dovesse cadere il governo cinese dovrebbe fare i conti con un’ondata di rifugiati nordcoreani pronti a fuggire nelle provincie settentrionali della Repubblica Popolare Cinese superando il confine naturale rappresentato dal fiume Yalu. Dal punto di vista strategico, inoltre, la Cina si ritroverebbe di fatto Washington sulla porta di casa, al posto dello spinoso ma utile cuscinetto nordcoreano.

È lecito quindi supporre che Xi Jinping possa intervenire pro domo sua per limitare i danni. La Russia potrebbe, al contrario, imitare il ruolo giocato dai cinesi ai tempi della Guerra di Corea, inviando a Pyongyang aiuti militari, risorse e, nei limiti del possibile visto l’impegno in Ucraina, soldati e truppe pronte all’uso. Sul fronte meridionale ci sono pochi dubbi sulla discesa in campo degli Stati Uniti, che potrebbero chiamare in causa anche il Giappone e altri partner.

Mappa di Alberto Bellotto

Il Worst Case Scenario: una nuova guerra tra le due Coree

È necessario fare un’altra premessa. Negli ultimi 50 anni gli Stati Uniti hanno combattuto una sola grande guerra convenzionale: quella in Kuwait nel 1991. Con l’operazione Desert Storm, Washington ha guidato una coalizione contro l’esercito iracheno reo di aver occupato il Kuwait ricco di petrolio. Il combattimento è stato rapido (circa sei settimane) e ha avuto successo nel suo limitato obiettivo: espellere le forze di Saddam Hussein dal piccolo Paese del Golfo. Il bilancio delle vittime è stato di appena 150 americani morti in battaglia.

Le altre grandi guerre americane nello stesso periodo sono state guerre non convenzionali. Menzioniamo il Vietnam, negli anni Sessanta e Settanta, l’Afghanistan, dopo l’11 settembre e l’Iraq, a fasi alterne dal 2003.

In questi ultimi scenari un esercito ben addestrato ed equipaggiato con le armi più letali del mondo ha combattuto contro ribelli, milizie, terroristi o forze armate mal organizzate, con molti meno mezzi e nessuna potenza aerea. Ebbene, i conflitti asimmetrici hanno sempre ostacolato gli Stati Uniti. Il minimo comun denominatore americano di questi conflitti coincide con guerre trascinate per anni, migliaia e migliaia di vittime, costi esorbitanti e terremoti globali.

Tornando in Corea, una guerra combattuta nella penisola coreana sarebbe probabilmente una combinazione di entrambi i tipi di conflitto e giocata in più fasi. In un’eventuale prima fase prenderebbe il via una guerra convenzionale tra le forze del Nord e quelle americane/sudcoreane. La durata ipotizzata dagli analisti è di almeno un mese, forse molte settimane in più.

La Corea del Nord potrebbe condurre un conflitto convenzionale in maniera molto simile a quanto fatto negli anni Cinquanta. Pyongyang può contare su circa 1,2 milioni di soldati, quasi 600 mila riservisti e quasi 6 milioni di riservisti paramilitari. Seoul risponderebbe con la metà degli effettivi del Nord, 4,5 milioni di riservisti e altri 3 milioni di riservisti paramilitari.

Al termine di un braccio di ferro terribile, dove verrebbero rase al suolo le principali città dei due Paesi con tutta l’artiglieria possibile (le difese anti aeree sudcoreane potrebbero ben poco di fronte ad una intensa pioggia di missili), e dando per scontato che nessuno sostenga la Corea del Nord e che non venga impiegato il nucleare, Kim si troverebbe sconfitto.

Ma una seconda guerra di Corea potrebbe produrre decine di migliaia di morti solo a Seoul, e forse un milione di vittime solo al di sotto del 38esimo parallelo. A quel punto, poi, il conflitto convenzionale potrebbe mutare in un conflitto asimmetrico, con uno scenario simile a quello che gli Stati Uniti hanno già assaggiato in Medio Oriente e in Asia Meridionale. Detto altrimenti, i lealisti al governo di Kim potrebbero continuare a combattere affidandosi a tecniche di guerriglia.  

Mappa di Alberto Bellotto

I possibili scenari

La guerra potrebbe iniziare in più modi. Due sembrano però gli scenari più plausibili. Nel primo scenario, gli Stati Uniti potrebbero impegnarsi a contrastare il lancio di un missile coreano in un test, prima del suo decollo o nei primi secondi di volo. In che modo? Mediante un attacco informatico, ad esempio. A quel punto, però, la Corea del Nord reagirebbe scatenando una guerra e utilizzando tutte le armi a disposizione, nel timore di una loro distruzione causata da attacchi aerei statunitensi.

Il secondo scenario da prendere in considerazione è il seguente:  la Corea del Nord potrebbe avviare un’azione militare pensando che gli Stati Uniti siano vicini a sferrare un attacco. I segnali letti dal Nord comprenderebbero il ritiro da parte di Washington di dipendenti diplomatici dalla Corea del Sud, ma anche azioni quali il dispiegamento di più aerei militari, attrezzature, personale o perfino armi nucleari nel Sud. A quel punto Pyongyang potrebbe attaccare preventivamente per respingere una supposta invasione su vasta scala.

In ogni caso la Corea del Nord difficilmente cadrebbe, in caso di sconfitta, così velocemente come accaduto con il regime di Saddam (in meno di un mese dall’invasione degli Stati Uniti) o dei talebani ( in due mesi ).

C’è poi da considerare il fattore Cina. Gli attacchi aerei statunitensi contro alcuni obiettivi nordcoreani potrebbero richiedere un’azione operativa non lontana dal confine con la Cina. Facendo scattare i campanelli d’allarme nel cuore della Città Proibita.

Indipendentemente dallo scenario e dalle variabili impazzite, Seoul è a rischio. Ecco perché difendere la capitale sudcoreana è l’imperativo delle forze congiunte. Le recenti esercitazioni Ulchi Freedom Shield, si sono concentrate sul respingimento di un attacco nordcoreano, ma anche su come contrattaccare il nemico. Un rapporto del Natilus Institute , intanto, ha concluso che un attacco missilistico di Pyongyang avrebbe un’alta probabilità di successo, nonostante le attuali difese in atto.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.