La base aerea alle porte di Mosca è territorio militare off limits. Nel cuore della notte, sulla pista imbiancata di neve e spazzata dal gelo, ci attende un grosso aereo da trasporto spartano, ma comodo. Si decolla con il buio per un volo di sei ore verso il Medio Oriente in fiamme. All’alba, accolti dal tepore dei primi raggi di sole, atterriamo nella base aerea siriana di Hmeymim. Sulla lama d’asfalto in mezzo al verde del Mediterraneo, a soli 30 chilometri dal mare, decollano con un rombo assordante i caccia con la stella rossa sulla coda carichi di bombe. Mai avrei pensato di trovarmi faccia a faccia con i russi in Siria per raccontare la guerra contro il Califfato.

Quando il Cremlino comandava ancora sul vasto impero dell’Unione sovietica e aveva invaso l’Afghanistan, il faccia a faccia con i militari di Mosca si era risolto in sette mesi di galera a Kabul. Dopo un lungo reportage con i mujaheddin di Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjsher, che combattevano l’Armata rossa fra le montagne dell’Hindu Kush, ero stato catturato dai governativi in un angolo sperduto del paese al crocevia dell’Asia. I paracadutisti sovietici vennero a prelevarmi con tanto di elicotteri d’assalto di copertura in un’azione da film.

Lo stesso genere di elicotteri che sorveglia volando a bassa quota la base aerea di Hmeymim, da dove partono i martellanti raid sulla testa dei seguaci del Califfo in Siria.All’aeroporto afghano di Jalalabad mi interrogò un tosto ufficiale del Kgb, che di buono aveva solo il faccione ovale simile a quello di Mikhail Gorbaciov, il discusso leader comunista della fine dell’Urss. In Siria il truppone di giornalisti internazionali ha un Cicerone d’eccezione, il generale Igor Konashenkov, portavoce della Difesa. Da giovane ufficiale ha servito in Tajikistan, al confine con l’Afghanistan travolto dai talebani negli anni Novanta. La missione era aiutare i profughi in fuga davanti all’oscurantismo islamico collaborando proprio con i mujaheddin di Massoud che aveva fermato i sovietici nella valle del Panjsher, ultimo scudo contro i seguaci di mullah Omar.

Dall’invasione dell’Armata rossa in Afghanistan degli anni Ottanta a oggi ne è passata di acqua sotto i ponti della storia, dal crollo del Muro del Berlino alla travagliata dissoluzione dell’impero sovietico fino alla rinascita della Russia. I soldati di Mosca sono impegnati in un nuovo conflitto, ma questa volta lo combattono contro la minaccia delle bandiere nere, che hanno insanguinato non solo il Medio Oriente, ma pure l’Europa.

I marinai della flotta russa davanti alle coste siriane espongono sotto coperta, come reliquie, le vecchie foto in bianco e nero dei tempi con la falce martello dell’Urss.

Sulle botole dei missili del ponte principale resistono ancora gli stelloni rossi, ma l’armata russa ha fatto dei passi da gigante nei rapporti con la stampa portando i giornalisti di mezzo mondo al fronte in Siria. Anche se ogni tanto riaffiora il tic sovietico della segretezza e della proibizione a fare questo o quello, come parlare con i soldati. I baschi rossi della polizia militare «circondano» i tendoni della mensa nella base aerea, dove mangiamo il rancio dei soldati, per evitare contatti con la truppa.

I fanti di Marina, che ci scortano armati fino ai denti e con il volto coperto, per non farsi riconoscere dai terroristi, non potrebbero neppure essere fotografati. In realtà i soldati di Mosca, nonostante la disciplina ferrea, non sono più sottoposti al lavaggio del cervello comunista come ai tempi dall’Armata rossa. Uno è tifoso di Francesco Totti, capitano della Roma, altri tirano su pesi, all’aperto, come i nostri soldati in missione all’estero per tenersi in forma. Sono tanti a fare la fila per venire in Siria, dove la paga è tre volte superiore rispetto alla Russia.

E Dima, il marinaio più giovane sul ponte della nave da guerra Vize Admiral Kulakov, a 19 anni spiega orgoglioso in inglese di «far parte di una missione antiterrorismo». Dopo la leva al largo della Siria sogna di entrare nel ministero degli Esteri per girare il mondo.

Nell’ottica del nuovo corso nella «guerra» dell’informazione, che si combatte parallela a quella vera, il generale Konashenkov mette a disposizione per il Giornale un blindato italiano Lince con tre fanti di Marina russi per scorrazzare nella base di Hmeymim. Non è un blindato qualunque, ma lo stesso utilizzato dai nostri soldati in Afghanistan assemblato su licenza italiana a Voronezh, in Russia.

Anche per questo il reportage in Siria con i russi è il più intrigante, per chi appena catturato in Afghanistan, quasi trent’anni fa, venne sottoposto dai sovietici a una finta fucilazione. L’armata russa non è più rossa e oggi combatte una guerra anche per noi.