Una coalizione internazionale che avrà come scopo quello di monitorare il traffico navale nel Golfo Persico. È questo l’auspicio del generale Joseph Dunford, capo di Stato maggiore degli Stati Uniti, che in un video diffuso da Reuters ha detto che il governo americano sta “contattando un certo numero di paesi per vedere se possiamo costituire una coalizione che garantisca la libertà di navigazione nello stretto di Hormuz e Bab al-Mandeb”. L’annuncio è stato dal generale dopo che le tensioni fra Iran e Paesi occidentali e monarchie del Golfo non accennano a diminuire. Dopo gli attacchi alle petroliere prima a largo degli Emirati Arabi Uniti e poi nelle acque del Golfo dell’Oman, gli Stati Uniti e i suoi maggiori alleati coinvolti nella crisi hanno puntato il dito su Teheran, in particolare sulle frange più estreme dei Guardiani della Rivoluzione. Secondo il Pentagono, la Cia e anche il Mossad dietro quelle esplosioni che hanno colpito i cargo nel Golfo ci sarebbe una manovra dei Pasdaran iraniani. Anche se sulla reale regia iraniana dietro gli assalti vi sono ancora dei dubbi: quantomeno perché è difficile credere che questi potesse avere degli effetti positivi dal punto di vista di Teheran. Per ora, l’unico effetto sortito è stato quello di innalzare la tensione nell’area e provocare il rischio di una militarizzazione della regione. Cosa che gli Stati Untii e il Regno Unito hanno iniziato a fare sin da subito e che per l’Iran non può che rivelarsi un problema.
Proprio per questo motivo, non deve sorprendere l’annuncio di Dunford. Che anzi, rientra perfettamente in uno schema strategico che da tempo interessa ai piani alti di Casa Bianca e Pentagono. L’idea di una “coalizione di volenterosi” è un concetto che ricalca una linea più volte espressa dagli Stati Uniti, in particolare dall’amministrazione di Donald Trump. Il presidente Usa ha sempre richiesto ai partner in Medio Oriente e in altre aree del mondo (dall’Europa all’Oceano Pacifico) di iniziare a essere maggiormente coinvolti nelle dinamiche militari delle diverse aree di crisi. Washington – e di questo sentimento Trump ne è espressione – ha fatto capire non di disinteressarsi delle aree di escalation, ma di voler essere meno “gendarme” del mondo coinvolto direttamente nelle singole aree. Lo ha chiesto ai partner della Nato, con i continui ultimatum sull’aumento del budget per la Difesa e per i conflitti in cui sono coinvolte le forze americane (non ultima la Siria). Lo ha fatto con gli alleasti del Pacifico per quanto concerne la sfida con la Cina, dal momento che è obiettivo americano rafforzare l’alleanza militare con Australia, India e Giappone per formare quella Nato dell’Indo-Pacifico che è da tempo un cardine dei piani del Pentagono e della Casa Bianca. E adesso lo fa con Il Medio Oriente, dopo il fallimento di un’altra “Nato”, quella araba, che avrebbe dovuto sostituire le forze Usa mandando i soldati dei partner mediorientali in Siria e Iraq: boots on the ground.
Ora, la richiesta arriva anche nei confronti dell’escalation del Golfo. Come spiega Il Corriere della Sera, il piano Usa “dovrebbe partire entro una ventina di giorni. Attualmente sono in corso contatti con una ventina di governi chiamati a dare una risposta”. E per molti si tratta di quanto già avvenuto negli anni Ottanta nella cosiddetta “guerre delle petroliere deflagrata nel conflitto tra Iran e Iraq.
I segnali in questo senso non mancano. E arrivano come sempre dal Regno Unito, potenza alleata di Washington che ha subito intrapreso una stretta collaborazione con l’alleato atlantico nell’escalation del Golfo Persico. Prima è arrivato l’annuncio dei Royal Marines impegnati in Baharain insieme alla nuova base della Marina. Poi è stata la volta del sequestro della petroliera Grace I a largo di Gibilterra, che ha scatenato le ire del governo iraniano il quale ha minacciato di rappresaglie nel prossimo futuro. E subito dopo, la prima mossa in riferimento alla proposta coalizione navale: la petroliera britannica Pacific Voyager ha viaggiato nella regione di Hormuz scortata da due navi della Marina reale britannica: la Hms Montrose e la Hms Ramsey. I timori per una sfida sui mari diventano alti. E non va dimenticato un dato: il traffico di petrolio di Hormuz interessa un’altra grande potenza, la Cina.