Il ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan si completa mentre crescono i timori che l’esercito di Kabul non riesca a prendere il controllo del territorio. In questi giorni, i Talebani hanno assunto il controllo di diverse aree vicino al confine con il Tagikistan. Le forze ribelli avanzano da quando gli Stati Uniti e le truppe Nato hanno iniziato a smobilitare dall’Afghanistan. E secondo le informazioni che arrivano dalle aree degli scontri, molti soldati dell’esercito afghano hanno ripiegato nel vicino Tagikistan per sfuggire all’avanzata talebana, mentre altri sono andati in Pakistan e in Uzbekistan. I talebani hanno confermato che in molti distretti la conquista è avvenuta senza spargimenti di sangue: i soldati dell’esercito regolare si sono spesso arresi senza combattere.
Per i ribelli si tratta di prime vittorie dall’alto valore politico e militare. Il messaggio lanciato nei confronti delle forze occidentali è che è bastato il ritiro per riconquistare completamente il territorio perduto in questi anni. Ma è importante anche il profilo strategico, perché la conquista delle zone di confine pone i talebani anche al centro di un intricato sistema di alleanze e rapporti di forza, mettendo a repentaglio la sicurezza dei Paesi limitrofi. Il Tagikistan, che condivide con l’Afghanistan 900 chilometri di confine, ha richiamato 20mila riservisti. L’ordine è arrivato dal presidente Emomali Rahmon dopo l’arrivo dei soldati afghani in fuga. Una preoccupazione condivisa anche dalla Russia, che ha un accordo con il Paese asiatico per il controllo della frontiera. Il viceministro degli Esteri, Andrei Rudenko, ha rassicurato sul fatto che la 201esima base militare in Tagikistan è in grado di far fronte alle richieste di aiuto del governo alleato, ma la situazione è tutt’altro che rosea. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha detto ai giornalisti che il governo è molto preoccupato dopo il ritiro americano e che “è in corso un tentativo di destabilizzare il Paese”. Ma per Mosca non sembra esserci l’intenzione di inviare uomini sul campo: il trauma sovietico ancora terrorizza i vertici militari russi e il rischio di cadere in una trappola è preso seriamente in considerazione dalla Difesa di Vladimir Putin.
Quello che teme la Russia è soprattutto cadere in un abisso da cui gli Stati Uniti sembrano essere usciti anche con una certa fretta. In queste ore sono giunte le parole del generale Asadullah Kohistani, nuovo comandante della base di Bagram, che ha denunciato l’abbandono a notte fonda delle forze Usa senza nemmeno notificarlo a Kabul. E la base, a detta del comando afghano, è stata lasciata anche piena di oggetti, veicoli e senza luce elettrica. L’immagine che ne scaturisce è quella di un abbandono disordinato che contrasta con il programma del ritiro voluto da Casa Bianca e Pentagono.
E adesso sono in molti a chiedersi cosa possa accadere con il ritiro americano e della Nato e chi può prendere il posto per colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. A Kabul si inizia a parlare con sempre maggiore insistenza della Turchia come Paese che prenderà il controllo dell’aeroporto e forse di altri settori strategici della capitale. Ma quello che preoccupa è soprattutto la voce fatta circolare dal redivivo Osservatorio siriano dei diritti umani con sede a Londra su presunti mercenari siriani arruolati dalle compagnie di sicurezza private turche per controllare l’aeroporto di Kabul insieme ai militari di Ankara. Secondo il direttore dell’osservatorio, l’operazione dei miliziani siriani e delle forze turche per controllare aeroporto e varie sedi istituzionali a Kabul dovrebbe iniziare a settembre e solo con contratti ufficiali da parte delle agenzie di contractor ufficiali. Un modo per evitare la condanna da parte delle altre nazioni come avviene invece per la Libia. Il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha comunque ribadito l’interesse di Ankara per l’Afghanistan, tanto da definirlo un Paese “di importanza cruciale” e “il cuore dell’Asia”.
C’è poi il grande tema della possibile avanzata della Cina. Secondo le rivelazioni del Daily Beast, l’idea di Pechino è quella di connettere l’Afghanistan al corridoio economico tra Cina e Pakistan per raggiungere i porti di Karachi e Gwadar. L’idea è che i cinesi vogliano costruire un’autostrada che colleghi Kabul alla città pakistana di Peshawar, realizzando una serie di infrastrutture strategiche e blindando i rapporti economici con l’Afghanistan, che già da tempo rifornisce la Cina di idrocarburi e materie prime. Ma la situazione risulta complessa sia per l’opposizione di alcuni gruppi etnici, sia per il pericolo percepito da Kabul di cadere nella cosiddetta “trappola del debito”. E gli Stati Uniti non sembrano molto contenti di cedere Kabul alla Cina. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha detto che “la Cina è determinata a supportare la transizione pacifica in Afghanistan“, ma è chiaro che Washington non ha abbandonato il terreno per agevolare Pechino.