Cina e Stati Uniti hanno effettuato test missilistici quasi in contemporanea. L’Esercito popolare di liberazione cinese ha sparato due missili, un DF-26 e un DF-16, rispettivamente capaci di raggiungere Guam, un territorio statunitense situato nel Pacifico occidentale, e vari obiettivi in Giappone, tra cui le basi militari americane a Okinawa.
Dall’altra parte lo Us Air Force Global Strike Command ha risposto con il lancio di un missile balistico intercontinentale capace di trasportare testate nucleari. Il vettore ha volato per oltre 6mila chilometri, partendo da una base in California, prima di terminare la sua corsa in un campo di prova controllato da Washington nelle Isole Marshall, nel cuore dell’Oceano Pacifico.
Il South China Morning Post ha sottolineato come le due superpotenze restino “bloccate in un’aspra rivalità”. Una rivalità che ormai si è estesa a 360 gradi, toccando ogni campo possibile e immaginabile. Dalla tecnologia (vedi gli esempi di Huawei e Tik Tok) all’economia (guerra dei dazi) passando per la cultura (accuse reciproche di spionaggio all’interno delle università), la rivalità sino-americana si ritrova ovunque, elevata alla massima potenza. I test missilistici, inoltre, arrivano in un momento delicatissimo, a pochi mesi dalle elezioni americane e nel bel mezzo dell’accesa disputa che ha nel Mar Cinese Meridionale il teatro di nuove contese geopolitiche.
I test cinesi
Non sappiamo a quando risalgono i test missilistici cinesi. Il sito 81.cn, incentrato sulle notizie militari, ha semplicemente fatto sapere che le forze armate cinesi hanno tenuto un’esercitazione in cui sono stati sparati due missili. Il primo, il DF-16, è un missile balistico a corto e medio raggio, ed è stato progettato per colpire target collocati nei pressi del Giappone. Il secondo, cioè il DF-26, può contare su una portata di 4mila chilometri; si tratta del primo missile balistico armato cinese in grado di centrare Guam.
I test sono stati accompagnati dalle emblematiche dichiarazioni rilasciate da Liu Yang, comandate della brigata che ha effettuato i lanci: “Siamo in uno stato di estrema allerta per un possibile combattimento, per garantire che le nostre azioni siano rapide e precise”. Come se non bastasse, le truppe mobilitate hanno effettuato anche un’esercitazione ad hoc per testare la risposta di fronte a un’emergenza provocata da un eventuale attaccato nucleare (lo scorso a gennaio i cinesi avevano testato le loro capacità di lanciare un contrattacco nucleare).
Pechino non ha intenzione di farsi inghiottire in una guerra sul campo che prosciugherebbe tutte le sue risorse, vanificando il sogno cinese di benessere cullato da Xi Jinping. Però il messaggio lanciato dal gigante asiatico è chiaro: non vogliamo la guerra, ma siamo pronti a farla in ogni momento in caso di provocazioni.
La risposta americana
Il punto è che i confini che delimitano le “provocazioni” sono assai labili e arbitrari. E questo vale per entrambi le parti chiamate in causa. In ogni caso, gli Stati Uniti hanno risposto al test cinese con un lancio altrettanto illuminante che fa luce sulle potenzialità belliche americane. Lo scorso martedì, infatti, un intercontinentale è partito da una base in California e ha terminato il suo percorso nel Pacifico. Considerando che Washington può contare su 5.800 testate nucleari (più di qualunque altro Paese al mondo), e che il Pentagono è in grado di piazzare uno di questi ordigni miniaturizzati su un missile, è facile capire la preoccupazione cinese.
Gli Usa hanno comunque fatto sapere che il proprio test non era una risposta a quello cinese, visto che i calendari di lancio “sono costruiti con tre o cinque anni di anticipo” e che “la pianificazione per ogni singolo lancio inizia da sei mesi a un anno prima del lancio”, hanno ribadito fonti Usa.
Al momento il braccio di ferro più caldo tra Cina e Stati Uniti riguarda il Mar Cinese Meridionale, dove portaerei e aerei stanno pattugliando l’area, tra minacce e provocazioni reciproche. A giudicare dagli ultimi test, una scintilla qualunque (anche la più banale) potrebbe davvero far scoppiare un incendio mostruoso. Con effetti indesiderati, tanto per Pechino quanto per Washington.