Gli studi dei principali esperti di politica internazionale e gli avvenimenti verificatesi in campo politico ed economico nel primo scorcio del Terzo Millennio concordano nell’indicare nell’Oceano Pacifico il baricentro degli equilibri geopolitici planetari del XXI secolo.Per approfondire: Il grande gioco è ricominciatoLa dilatazione degli scambi economici tra le sue sponde, l’ascesa della Cina al ruolo di potenza planetaria e l’accensione di numerosi contenziosi diplomatici inerenti proprio il più grande oceano del mondo testimoniano l’avvenuta transizione degli equilibri planetari: oggigiorno, il Pacifico rappresenta dunque un decisivo crocevia di scambi, interessi e relazioni che risulteranno decisivi per la determinazione degli assetti planetari nei prossimi decenni. Divisi dalle migliaia di chilometri di estensione dell’Oceano, ma al tempo stesso avvicinati dal comune interesse per le sue acque, Cina e Stati Uniti rappresentano i principali interessati delle dinamiche geopolitiche che lo interessano: è nel Pacifico, infatti, che le linee di faglia dei progetti strategici di Pechino e Washington vengono a contatto, animando una relazione decisamente complessa alimentata sia da numerose convergenze che da diverse, aspre contrapposizioni. La dialettica sino-americana, infatti, è al contempo causa tanto di importanti intese, ultima in linea di tempo l’accordo per la ratifica del trattato siglato alla Conferenza Internazionale sul Clima COP21 di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra, quanto di tensioni e contrapposizioni strategiche. Sul versante pacifico, negli ultimi mesi è stata particolarmente delicata la questione del Mar Cinese Meridionale, oggetto di una diatriba internazionale che ha di fatto sancito la fondamentale inconciliabilità di numerosi punti fondamentali della “grande strategia” pacifica delle due potenze.Il verdetto sfavorevole per Pechino espresso dal Tribunale dell’Aja nello scorso luglio sul tema della sovranità sul Mar Cinese Meridionale ha scoperto il vaso di Pandora, acuendo la tensione nella regione e rivelando le trame di un vero e proprio “Grande Gioco” pacifico e sud-est asiatico che vede coinvolte, oltre a Cina e Stati Uniti, le numerose nazioni dell’area e i loro diversi interessi strategici.Il verdetto del Tribunale Internazionale ha posto fine a una vertenza tra il governo di Pechino e quello delle Filippine, che si erano appellate contro la rivendicazione della Repubblica Popolare della sovranità completa ed esclusiva sull’ampia porzione del Mar Cinese Meridionale compresa all’interno della “linea dei nove tratti”, che i cinesi ritengono estendersi sino a oltre duemila chilometri dalle loro coste, al cui interno sono compresi anche gli arcipelaghi a sovranità contesa delle Isole Parcel e delle Isole Spratly. La chiave di volta dello scenario del Mar Cinese Meridionale è rappresentato proprio da questi due piccoli e apparentemente insignificanti gruppi di isolotti: la nazione che riuscisse a garantirsene il possesso, infatti, potrebbe estendere i propri diritti di sovranità sulle decine di chilometri di oceano circostanti, acquisendo la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio un’area dall’altissimo valore strategico.Per approfondire: La Terza Guerra Mondiale scoppierà nel Mar Cinese? Oltre a possedere ingenti riserve di petrolio e gas naturale, infatti, il Mar Cinese Meridionale è una via d’acqua di primaria rilevanza commerciale, visto l’elevato transito di navi petroliere e portacontainer che lo interessa; inoltre, le sue acque ricche di fauna marina sono oggetto di mire da parte di tutte le flotte pescherecce dei paesi che vi si affacciano, per la precisione Cina, Filippine, Malesia, Brunei e Vietnam, aggiungendo un’ulteriore connotazione economica alla disputa sul controllo dell’area. Numerosi governi dell’Asia Sud-Orientale e indopacifica temono la penetrazione economica di Pechino, che pure rimane tra i loro principali partner commerciali, e hanno assunto negli ultimi anni posizioni nettamente filoamericane: Brunei, Vietnam e Malesia hanno infatti firmato, lo scorso 2 febbraio a Auckland, in Nuova Zelanda, il Partenariato Trans-Pacifico (TPP), un accordo di libero scambio sostanzialmente analogo al TTIP la cui entrata in vigore ha rappresentato da un lato uno dei pochi obiettivi di politica estera centrato Barack Obama e dall’altro un campanello d’allarme per la Repubblica Popolare Cinese. I vertici di Pechino vedono infatti nell’ostilità dei governi dell’Asia Sud-Orientale una componente primaria di una strategia di contenimento operata da Washington e attuata attraverso il mezzo indiretto del contrasto diplomatico agli interessi cinesi da parte dei paesi alleati degli USA. Proprio le Filippine, opposte alla Cina nel contenzioso al Tribunale dell’Aja, sono state le più aperte al dialogo con Pechino nelle tese settimane seguite alla sentenza: la forte personalizzazione del ruolo di presidente operata dal leader di Manila Rodrigo Roa Duterte e le vibranti polemiche che hanno contrapposto recentemente questi a Barack Obama hanno giocato un ruolo nel raffreddamento delle relazioni filippino-statunitensi e nell’avvio di un dialogo con i cinesi.Considerando i presenti equilibri geopolitici, è in effetti impossibile da negare il fatto che un contenimento dell’influenza cinese nelle aree strategiche a lei geograficamente più vicine rappresenterebbe un vantaggio di primaria importanza per il mantenimento della supremazia Usa sullo scenario dell’Oceano Pacifico. Ciò appare ancora più lampante se si considerano le implicazioni militari di una limitazione dell’influenza di Pechino sul Mar Cinese Meridionale. Questa via d’acqua, infatti, risulta fondamentale per lo sviluppo delle strategie della Marina Popolare di Liberazione, la flotta militare cinese, divenute nel corso degli anni sempre più globali a seguito di un impetuoso sviluppo che non ha mancato di destare preoccupazioni nelle alte sfere delle forze armate statunitensi, rimaste in particolar modo impressionate dalla condotta eccellente dimostrata dalle unità marittime cinesi nel corso dell’esercitazione congiunta “Rim on the Pacific” (RimPac) tenutasi dal 26 giugno al 1° agosto 2014.L’espansione della potenza militare cinese sui mari, infatti, rappresenta una seria sfida alla talassocrazia americana, sviluppata attraverso il dislocamento dei gruppi da battaglia basati sulle superportaerei (CVBG): a partire dal 2012, la Cina schiera la sua prima portaerei, la Liaoning, dislocante 65.000 tonnellate, e entro il 2020 è prevista l’entrata in servizio di una seconda imbarcazione ad essa molto simile.Contemporaneamente, le forze armate cinesi, e la Marina in particolare, hanno dimostrato le proprie capacità di azione in campo intercontinentale attraverso la partecipazione alle operazioni anti-pirateria nella delicata regione del Corno d’Africa, ove nei prossimi anni la Cina installerà inoltre la sua prima base permanente in territorio straniero, stabilendo un avamposto logistico a Gibuti.I segnali che giungono da Pechino mostrano dunque una Cina sempre più arrembante, pronta a espandere il proprio potere politico non solo grazie alla dilatazione dell’influenza economica ma anche per mezzo della proiezione di potenza concessa dallo sviluppo di efficienti e moderne forze armate. Di conseguenza, il contrasto strategico attuato nei confronti della Repubblica Popolare proprio nelle acque prospicienti le sue coste sarebbe decisamente funzionale alla preservazione della superiorità Usa sui mari e, in particolare, sul Pacifico crocevia della geopolitica moderna. In questa ottica, si può leggere in maniera molto più ampia l’ira di Pechino a seguito del verdetto sfavorevole del Tribunale Internazionale: la limitazione dell’influenza sul Mar Cinese Meridionale, infatti, rappresenta un ostacolo alle ambizioni del governo della Repubblica Popolare, e c’è sicuramente da attendersi in futuro una serie di contromosse volte a neutralizzare gli effetti di una sentenza vista dai vertici del Partito Comunista Cinese come favorevole agli USA ancor prima che ai paesi sud-est asiatici loro alleati. Parallelamente all’intensificazione delle loro relazioni economiche e politiche, Cina e Usa conducono una delicata partita di scacchi sulle acque dell’Oceano Pacifico.Il nuovo “Grande Gioco” è solo agli inizi, ma certamente destinato in futuro a espandersi mano a mano che nuovi attori aumenteranno il proprio coinvolgimento nello scenario chiave della moderna politica internazionale: il Mar Cinese Meridionale ne rappresenta oggigiorno la maggiore linea di faglia, ma nuovi scenari sono sempre pronti ad aprirsi mano a mano che anche altre regioni vedranno gli interessi di Pechino e Washington in conflitto tra loro in maniera diretta o per mezzo dell’intermediazione di paesi terzi alleati ad una delle due superpotenze.
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