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Il 9 febbraio il Csg (Carrier Strike Group) della portaerei Uss Theodore Roosevelt (Cvn-71) ha condotto operazioni insieme al Csg della Uss Nimitz (Cvn-68) nel Mar Cinese Meridionale.

Le navi e gli aerei dei due gruppi d’attacco, come si può leggere in dettaglio nel comunicato stampa della Settima Flotta, hanno coordinato le loro operazioni in un’area altamente trafficata per dimostrare la capacità della Marina degli Stati Uniti di operare in ambienti difficili.

Come parte delle operazioni, i gruppi di volo hanno condotto una moltitudine di esercitazioni volte ad aumentare l’interoperabilità, nonché le capacità di comando e controllo.

Non è la prima volta che vengono effettuate operazioni di questo tipo con due portaerei nel Pacifico Occidentale – l’ultima volta è stata a luglio del 2020 – e se guardiamo allo storico delle esercitazioni di lungo periodo possiamo notare che, negli ultimi anni, la loro frequenza è aumentata per i ben noti attriti tra Cina e Stati Uniti che hanno condotto a una nuova Guerra Fredda.

Questa volta, però, la reazione cinese, affidata ai canali diplomatici, è stata più piccata del solito: mercoledì, il quotidiano di Stato cinese Global Times ha affermato che le manovre avevano “più significati simbolici e politici piuttosto che un significato militare”, per via della supposta “potenza dei missili balistici anti-nave cinesi”. Un esperto di armi cinese citato sempre dal Global Times ha detto che i missili Df-26 “killer per portaerei” di Pechino riescono a coprire l’intero Mar Cinese Meridionale e potrebbero annullare il vantaggio tattico dato dalla portaerei Usa. “In caso di guerra, le portaerei statunitensi devono stare lontane dalla regione per tenersi fuori portata dei missili cinesi”, ha detto Xu Guangyu, un consigliere senior della China Arms Control and Disarmament Association.

Gli Stati Uniti hanno risposto alle dichiarazioni cinesi per bocca dei comandanti dei due gruppi di portaerei. In una videoconferenza hanno respinto le critiche cinesi, e in particolare Doug Verissimo, comandante del gruppo d’attacco della Roosevelt, ha detto che l’incontro tra le due portaerei è avvenuto più per comodità che per intento di provocare i cinesi, che rivendicano la maggior parte dell’area e si oppongono alla presenza navale statunitense.

Come riporta Stars & Stripes, il comandante ha riferito che “il fatto che ci siamo riuniti nel Mar Cinese Meridionale era basato esclusivamente sul nostro piano di navigazione e sul percorso più efficiente da e per le nostre aree di competenza”.

La Uss Theodore Roosevelt è infatti in servizio di pattugliamento nell’area di operazioni della Settima Flotta, mentre la Uss Nimitz, la scorsa settimana, ha iniziato il suo viaggio verso casa a Bremerton, nello stato di Washington, dopo un esteso dispiegamento in Medio Oriente.

Il comandante del gruppo d’attacco della Nimitz, il contrammiraglio James Kirk, ha detto che le operazioni con due portaerei “non erano dirette contro nessuna nazione o in risposta a un qualsiasi evento”, ma intendevano “migliorare i nostri livelli di prontezza nella regione”.

L’ammiraglio Verissimo ha poi respinto l’accusa cinese: “dal mio punto di vista a livello tattico, non è simbolica”, mentre l’ammiraglio Kirk ha detto che “i gruppi di attacco non sono preoccupati per i missili cinesi” aggiungendo che “siamo sempre consapevoli delle capacità degli altri eserciti e operiamo in modo rispettoso di queste capacità, quindi non credo che preoccuparci sia qualcosa che facciamo”.

Sappiamo già che la politica statunitense verso la Cina non risulta cambiata col cambio di amministrazione alla Casa Bianca: gli Stati Uniti e i loro alleati nel Pacifico occidentale continuano a opporsi alla militarizzazione delle isole e delle barriere coralline nel Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino e al tentativo di nazionalizzazione di quelle acque internazionali.

Verissimo ha poi affermato che la presenza e la capacità militare della Cina “è chiaramente aumentata” dai suoi precedenti schieramenti nella regione nel 2017 e nel 2018.

“Abbiamo visto un’espansione della loro capacità militare; un maggior numero di aeromobili, un maggior numero di navi utilizzate quotidianamente”, ha detto “non vorrei dedurre quale sia il loro intento […] ma il numero di forze che vediamo in tutti i domini è aumentato in modo significativo”.

In una conferenza stampa martedì, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha accusato gli Stati Uniti di aver inviato “navi e aerei nel Mar Cinese Meridionale per mostrare i muscoli” aumentando quindi il livello della tensione.

Del resto prima dell’esercitazione tra le due portaerei, la Marina statunitense aveva spedito, giovedì scorso, il cacciatorpediniere Uss John S. McCain attraverso lo Stretto di Taiwan ed il venerdì in una operazione Fonop (Freedom of Navigation Operation) nel Mar Cinese Meridionale.

“Questo non favorisce la pace e la stabilità nella regione”, ha detto ancora Wang, concludendo che “la Cina continuerà ad adottare le misure necessarie per difendere fermamente la sovranità e la sicurezza nazionali e collaborerà con i Paesi regionali per salvaguardare la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale”.

Se poco dopo le esercitazioni delle portaerei statunitensi del luglio 2020, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese (Pla) aveva lanciato più missili balistici antinave nel Mar Cinese Meridionale in un’esercitazione militare, dimostrando la sua capacità di colpire obiettivi marittimi con missili balistici tipo Df-26 e Df-21D, questa volta Pechino sembra affidarsi più alla diplomazia, forse per cercare di dare un segnale di apertura al nuovo inquilino della Casa Bianca che ha avuto il suo primo colloquio col presidente cinese Xi Jinping, dove si sono confrontati su temi riguardanti Hong Kong, Taiwan e i diritti umani.

Il premier cinese ha immediatamente fatto sapere che considera le questioni “affari interni” della Cina, e quindi insindacabili, come era ampiamente prevedibile, pertanto la strada sembra già segnata, e non è escluso che questa attuale “guerra di nervi” a colpi di dichiarazioni della diplomazia non finisca presto in qualche altra azione militare dimostrativa come già avvenuto in passato, magari proprio in prossimità dello Stretto di Taiwan.





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