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Sembra che ci sia il primo vero segnale di distensione tra Cina e India: entrambi i Paesi hanno cominciato il ritiro delle truppe di prima linea lungo il loro confine conteso, nella regione del Kashmir, che è stata teatro di mesi di tensione a seguito dello scontro “armato” avvenuto lo scorso giugno. Le truppe hanno iniziato il disimpegno mercoledì, a cominciare da quelle schierate sulla sponda meridionale e settentrionale del lago Pangong Tso, nella regione del Ladakh.

L’India e la Cina rimuoveranno il loro dispositivo militare avanzato “in modo graduale, coordinato e verificato”, ha detto giovedì al parlamento il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh, come riportato da Associated Press.

Sempre mercoledì gli ha fatto eco il ministero della Difesa cinese, quando ha dichiarato che entrambe le parti hanno avviato un disimpegno “sincronizzato e organizzato”.

La tensione sulle montagne del Karakorum è iniziata all’inizio di maggio, quando soldati cinesi hanno attraversato la frontiera in tre diversi punti, erigendo tende e posti di guardia e ignorando le intimazioni indiane di ritirarsi. In particolare la valle di Galwan, in quella parte di Kashmir sotto controllo cinese che si chiama Aksai Chin è una delle zone di confine che è stata più volte focolaio di tensioni tra i due colossi asiatici. In quella occasione le immagini satellitari hanno mostrato chiaramente ed inequivocabilmente una piccola escalation in cui entrambi i contendenti stavano mobilitando truppe e costruendo piccoli insediamenti proprio nella valle di Galwan. Le fotografie da satellite mostravano, infatti, due grossi accampamenti, uno indiano e uno cinese, composti rispettivamente da 60 e 80 tende di varie dimensioni oltre a evidenziare diversi veicoli militari. Quest’azione è stata il prodromo per il parossismo di violenza che è nato il 15 giugno, quando soldati di entrambe le parti sono entrati in contatto diretto e si sono presi letteralmente a colpi di “sassi e mazzate” causando diverse decine di morti.

Da quel momento, quello che era cominciato come un piccolo spostamento di truppe, è diventata una vera e propria escalation che ha innescato una tensione durata mesi e uno stallo diplomatico tra Pechino e Nuova Delhi. Cina e India hanno spostato, infatti, decine di migliaia di soldati sostenuti da artiglieria, carri armati e aerei da combattimento, nei pressi della linea di controllo effettivo, o Lac, che li separa sul “tetto del mondo”.

La decisione indiana di dichiarare il Kashmir un territorio federale a tutti gli effetti ponendo fine al suo status giuridico particolare presa ad agosto del 2019 ha sicuramente spinto Pechino ad accelerare i tempi della militarizzazione della sua frontiera meridionale che condivide con l’India, e gli scontri di giugno 2020 sono pertanto la conseguenza inevitabile di queste mosse. La Cina infatti, in quella occasione, è stata tra i primi Paesi a condannare fermamente la decisione di Nuova Delhi, sollevandola nei forum internazionali tra cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Da parte indiana si può però pensare che proprio il lento ma continuo afflusso di truppe nell’Aksai Chin abbia spinto il governo Modi a dare un segnale forte, spendibile più sul fronte interno che a livello internazionale. La militarizzazione e la costruzione in tempi rapidi di nuove infrastrutture viabilistiche “dual use” nel Tibet è però un dato di fatto. Le linee ferroviarie che vengono rapidamente messe in posa, insieme alla fondazione di aeroporti ed eliporti, non sono affatto una novità: lo scorso anno lo stesso presidente Xi Jinping aveva posto l’accento sulla necessità di aumentare gli sforzi per l’ultimazione della linea ferroviaria Chengdu-Lhasa, facente parte del progetto Sichuan-Tibet Railway, che andrà a collegare l’esistente rete della Cina orientale con la capitale del Tibet passando per Ya’an e Nyingchi. La linea, formalmente, è per scopi civili: secondo i progetti sarà ad alta velocità, ma, come quasi sempre accade quando si tratta di un certo tipo di infrastrutture costruite dalla Cina, avrà un utilizzo duale.

La ferrovia, di cui si prevede il completamento entro il 2030, metterà in comunicazione gli snodi aeroportuali della zona e fornirà un importante aiuto alla logistica in campo militare, permettendo il rapido dispiegamento di mezzi pesanti. Guardando ad una carta geografica si capisce bene come l’infrastruttura sarà strategica per l’Esercito Cinese: collegherà località situate a poche decine di chilometri dal confine con l’India e dai territori contesi come il Dokalam, dove si ebbero scontri nel 2017. Pechino lavora alacremente alla costruzione del suo reticolo stradale e ferroviario in tutta la regione di confine: proprio a ridosso del confine, presso il lago Pangong Tso, uomini del genio hanno costruito a tempo di record una nuova strada più al riparo dallo sguardo dei militari indiani, arroccati sulla montagna in posizione dominante, e lo stesso tipo di lavori è stato effettuato anche in altri settori della Lac.

Parallelamente la Cina ha fatto affluire nella regione, lentamente ma con costanza, sempre più uomini e armamenti: oltre ad aver costruito nuovi acquartieramenti proprio nella zona contesa, le basi aeree circostanti hanno visto aumentare la presenza di velivoli e altri mezzi. Sempre per quanto riguarda il dispiegamento di armamenti e altri sistemi, la Cina ha anche rinforzato il suo fronte meridionale dislocando nuove postazioni di radar a medio/lungo raggio, in modo da avere una qualche forma di allarme precoce in caso di attacco indiano. Va anche ricordato che lungo tutta la regione che va dall’Aksai Chin sino al confine con l’Arunachal Pradesh, siano spuntati eliporti a macchia di leopardo: un altro segnale dell’importanza data da Pechino alla regione ed indice della non sottovalutazione, da parte del Politburo, della diatriba di confine che la contrappone a Nuova Delhi.

Sul versante indiano sono stati spostati in posizione avanzata uomini, elicotteri e cacciabombardieri nonché divisioni meccanizzate e pesanti, ma a differenza della Cina, l’India non ha dato il via a una massiccia campagna di miglioramento infrastrutturale, avendo già una rete di collegamenti, sebbene non moderna e quindi, possibilmente, non molto efficace per spostare velocemente i vari assetti da una parte all’altra del Paese.

Il ritiro delle truppe di confine e la sospensione dei pattugliamenti rappresenta il primo vero segnale forte nel senso di una de-escalation e riteniamo sia l’effetto dell’onda lunga dei colloqui tra le parti che si sono tenuti a Mosca a settembre del 2020. Sebbene nelle settimane successive non ci siano stati risultati evidenti nonostante il raggiungimento di un accordo in 5 punti per disinnescare la tensione, il Cremlino potrebbe avere avuto una parte fondamentale, in questi mesi, per far arrivare i due contendenti alla decisione odierna: da un lato, infatti, la Russia resta un partner strategico fondamentale per l’India, nonostante il suo netto avvicinamento agli Stati Uniti e ai suoi alleati in funzione anticinese, dall’altra Mosca e Pechino stanno stringendo ulteriormente i loro legami, anche di tipo militare, per via della progressiva emarginazione della Russia, voluta dagli Stati Uniti e dall’Ue, sul piano internazionale. Il Cremlino, che si è quindi ritrovato costretto a guardare a Est con più attenzione, ha una carta molto importante da giocare in questa diatriba, essendo il maggiore fornitore di armamenti dell’India, e molto probabilmente ha trovato terreno fertile con entrambi proprio per questo.

Questo primo segnale di disinnesco della tensione non deve però essere sopravvalutato: la Cina di certo non cesserà la costruzione delle infrastrutture ad utilizzo duale nel Sud del Paese (del resto non si capisce perché dovrebbe farlo), e parimenti non ritornerà alla situazione precedente, ovvero quella in cui la presenza militare nell’Aksai Chin e nelle regioni adiacenti non era così forte, pertanto l’India non cesserà di percepire la minaccia cinese ai suoi confini settentrionali, anche considerando che è proprio Pechino che sta armando (e penetrando in profondità) il suo rivale di sempre: il Pakistan.

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