Suscita scalpore, ma non sorpresa, la notizia di un incontro avvenuto nel maggio 2017 tra una delegazione di funzionari italiani ed una libica, con quest’ultima comprendente Abdou Rahman, uno dei più pericolosi trafficanti di esseri umani. L’incontro avviene l’11 maggio 2017 all’interno del Cara di Mineo, le foto diffuse da Avvenire non lasciano dubbi: Rahman, meglio noto con il nome di battaglia di “Bija“, è riconoscibile soprattutto dalle menomazioni che ha alla mano destra a causa delle ferite riportate nella guerra del 2011. La sua è una delle tante storie che è possibile ravvisare nella Libia post Gheddafi, le quali aiutano a capire meglio cosa accade da quasi dieci anni a questa parte nel Paese nordafricano.
“Bija” tra i ribelli anti Gheddafi
Fino al 2011 Rahman è un perfetto sconosciuto, nato e cresciuto nella cittadina costiera di Zawiya, poco ad ovest rispetto alla capitale Tripoli. Fa parte di una tribù molto numerosa nella zona, quella degli Abu Hamyra la quale, durante l’era Gheddafi, sembra essere una delle tante rese “quiete” grazie alle prebende del petrolio ed alla politica attuata dal rais che riesce durante i suoi 42 anni di potere ad accontentare (quasi) tutti.
Poi nel febbraio del 2011 scoppiano le prime proteste in Cirenaica, in Tripolitania qualche tribù inizia contestualmente a mostrare segni di insofferenza verso Gheddafi e, quando il gruppo di ribelli appare consistente, passa dall’altro lato della barricata. Gli Abu Hamyra sono tra questi, gran parte dei loro componenti si schierano contro i lealisti e combattono per demolire il regime.
Abdou Rahman imbraccia le armi ed inizia a partecipare alle battaglie che coinvolgono la sua zona. Prende il nome di battaglia di Bija e scala i ranghi dei cosiddetti ribelli.
Bija diventa uno degli uomini più temuti di Zawiya
L’epilogo di quel conflitto è ben noto: arrivano i raid della Nato nel marzo del 2011, l’esercito di Gheddafi non riesce più a controllare la situazione, Tripoli viene espugnata dai ribelli nell’agosto di quell’anno, il rais viene ucciso a Sirte pochi mesi dopo. In Tripolitania a prendere le redini della situazione sono le tribù, specie quelle che dall’inizio si schierano contro Gheddafi. Si formano gruppi e milizie che, nei rispettivi territori di appartenenza, iniziano a prendere il sopravvento.
Bija durante una delle battaglie del 2011, viene ferito ad una mano: una granata esplode a poca distanza dalla sua postazione e perde alcune dita. Con il suo gruppo, inizia a controllare ogni genere di affare: a Tripoli, per controllare il territorio di Zawiya, iniziano a dover fare i conti sia con Bija che con la sua tribù.
L’ingresso di Bija nelle “Petroleum Facilities Guard”
Una buona parte della fortuna di Bija arriva dalla sua appartenenza alle guardie pagate per garantire la sicurezza nei campi petroliferi della zona, le “Petroleum Facilities Guard” per l’appunto.
In un contesto come quello della Libia post Gheddafi, chi riesce ad avere la responsabilità di mettere in sicurezza i giacimenti di petrolio acquisisce un prestigio ed un potere sempre più forti. A capo delle Petroleum Facilities Guard di Zawiya, che ad un certo punto possono contare su almeno duemila miliziani, vi è Mohamed Khushlaf: come spiega la giornalista Nancy Porsia sul The Post Internazionale, quest’ultimo è il nome di battaglia di Al Qasseb, il quale fa parte della stessa tribù di Bija. Al Qasseb domina il contesto di Zawiya assieme alla sua tribù aiutato proprio da Bija, oltre che da un parente a lui stretto: l’avvocato Walid Khushlaf.
In questo modo, la tribù controlla sia il petrolio così come anche il porto di Zawiya: da qui arriva il forte peso economico e politico della famiglia a cui appartiene Bija. E lui, nel frangente, inizia a mettere le mani anche sul traffico di esseri umani.
Il ruolo di Bija nel traffico di migranti
Diverse inchieste giornalistiche mostrano come già nel 2016 Bija appare come uno dei principali e pericolosi trafficanti di esseri umani. In particolare, viene descritto come uno dei più spietati e cinici, il quale non ha remore e scrupoli nel mandare in mare donne, bambini e nel picchiare ogni soggetto che oppone una qualsiasi resistenza.
Diversi migranti giunti in Italia lo riconoscono e lo indicano come uno degli uomini più temuti lungo le coste della Tripolitania. Segno di come Bija riesce ad avere, e non solo a Zawiya, il controllo di una buona fetta degli affari fatti sulla pelle dei migranti.
Il suo viaggio in Sicilia
E qui si arriva ai giorni in cui, all’interno del Cara di Mineo, Bija viene visto scendere da un van con vetri oscurati ed entrare all’interno di una stanza dove ad attenderlo sono alcuni funzionari sia libici che italiani. Il trafficante fa parte, l’11 maggio del 2017, di una delegazione libica in un incontro organizzato per studiare il “modello Mineo”. Bija partecipa alla riunione in qualità di rappresentante della Guardia costiera libica.
Questo perché nel frattempo, il trafficante diventa anche guardiano: il governo di Tripoli, per controllare la zona di Zawiya, scende a patti con la sua tribù e lui diventa organico alla Guardia costiera. Nel febbraio del 2017, sul The Times viene mostrato un video in cui si riconosce Bija mentre picchia alcuni migranti a bordo di un gommone con la divisa della Guardia costiera.
Ed ecco il punto focale della sua storia: Bija diventa il più classico degli esempi in grado di spiegare la Libia di oggi, dove il ruolo di trafficante si sovrappone, a seconda delle convenienze personali, a quello di membro della Guardia costiera. Pur essendo nota la sua storia, Bija entra ugualmente in Italia per rappresentare la delegazione libica presente in Sicilia nel maggio 2017.
Il ruolo di Bija oggi
Il trafficante/guardiano è ancora in servizio: alcuni migranti arrivati in Italia a luglio riconoscono Bija come uno degli uomini che decide chi far salire e chi trattenere in Libia prima delle partenze. Il suo nome dunque emerge ancora oggi, segno di come le attività dell’uomo forte di Zawiya non si siano affatto fermate.
Probabile che la sua tribù operi sempre dalla sua cittadina di origine e controlli gran parte dei traffici illeciti di quella zona.